[…] per tranquillizzarci, ci siamo illusi che i mutamenti improvvisi avvenissero solo al di fuori del normale ordine delle cose. Consideriamo un mutamento improvviso come un incidente, come uno scontro d’auto. O al di là del nostro controllo, come una malattia mortale. Ma non concepiamo il cambiamento improvviso, radicale, irrazionale come qualcosa che appartiene al tessuto stesso della nostra vita. E invece lo è. E la teoria del caos ci insegna […] che la linearità, che noi diamo per scontata in tutto, dalla fisica alle opere di fantasia, semplicemente non esiste. La linearità è un modo artificiale di vedere il mondo. La vita vera non è una serie di eventi legati tra di loro che si verificano uno dopo l’altro come perline di una collana. Gli eventi della vita sono in realtà una serie di incontri in cui ogni evento può modificare in modo imprevedibile, e talvolta tragico, tutti gli eventi successivi.
Le parole che in Jurassic Park Michael Crichton mette in bocca a Ian Malcolm riverberano in questi tempi di confusione e incertezza, caratterizzati da una costante difficoltà nel decodificare le dinamiche del presente. Sintetizzano una “profonda verità sulla struttura del nostro universo”, che diventa ogni giorno più ineludibile anche se, “per qualche ragione, insistiamo nel comportarci come se non fosse vero”: il mondo in cui viviamo, sempre più interconnesso, formato da molti strati interdipendenti tra di loro, è un sistema complesso, forse il più complesso a cui si sia giunti nella storia della civilizzazione.
Siamo soliti pensare alla nostra epoca come all’era dell’informazione, ma niente di ciò che associamo al funzionamento di questo congegno universale, questa giostra attiva 24 ore al giorno, sette giorni su sette, che include motori di ricerca, social network, e-commerce, streaming, notizie in tempo reale, mmorpg, archivi, servizi e in fin dei conti anche conoscenza, continuerebbe a funzionare se venisse meno il rifornimento sicuro di energia a buon mercato che è reso possibile dai combustibili fossili, che di fatto trattengono questi stessi anni nell’orizzonte novecentesco dell’era degli idrocarburi. Carbone, petrolio e gas naturale hanno a loro volta reso possibile l’egemonia della civiltà occidentale, che di fatto è isomorfa (mimetica, se non proprio organica) al sistema economico-finanziario del capitalismo globale: un’organizzazione gerarchica, verticistica, funzionale a un controllo centralizzato. Democrazie liberali, economia di mercato, web, combustibili fossili, formano un unico groviglio in cui i diversi strati si compenetrano l’un l’altro, amalgamandosi e rafforzandosi oppure indebolendosi. Laddove le dinamiche generano dei punti deboli vengono a crearsi delle linee di frattura. È lì che si annida tutto il potenziale dei futuri cambiamenti.
In questi giorni ricorre il trentesimo anniversario di uno dei più grandi cambiamenti del Novecento. È interessante constatare quale fu la catena di eventi che portò a quell’evento di portata incalcolabile che fu la caduta del Muro di Berlino: l’errore di un funzionario della DDR durante una banale conferenza stampa del Politburo innesca uno tsunami in grado di intercettare tutta la domanda di cambiamento che da anni andava montando nella Germania dell’Est, raggiungendo esiti visibili proprio nel mese precedente al 9 novembre 1989 (che tra le altre cose aveva visto il congedo dalla politica di Honecker, il leader in carica dal 1971), e lo proietta verso il confine presidiato dal muro della vergogna, dove le guardie armate, anziché aprire il fuoco, assecondano i manifestanti e ne favoriscono il passaggio a Berlino Ovest (https://www.ilpost.it/2019/11/09/la-caduta-del-muro-di-berlino/). È la fine di un’epoca, che giungerà a compimento due anni più tardi con il collasso dell’URSS, fino a quel momento considerata too big to fail, una costante assoluta nelle equazioni geopolitiche presenti e future, e che invece stava già intonando il suo canto del cigno.
Insieme all’avvento di internet, ma con qualche ragione in più, il crollo del Muro e la dissoluzione dell’Unione Sovietica sono portati a esempio dei limiti delle facoltà predittive della fantascienza. Quale scrittore aveva previsto un mondo senza comunismo e un’Europa unita intorno a un’unica Germania? La confusione di un burocrate sotto pressione (e ancora prima la scelta dei suoi superiori di mandare in conferenza stampa un funzionario che non aveva nemmeno preso parte ai lavori degli ultimi giorni) aprì la strada a un cambiamento irreversibile, che nessuno era stato in grado di anticipare – perché mai avrebbe dovuto farlo uno scrittore di fantascienza?
Novembre 2019 alla fine è arrivato ed è uno di quei traguardi con cui l’appassionato di fantascienza non può evitare di misurarsi. Pensiamo a questa data dal giorno in cui il cartello di apertura di Blade Runner ci spalancò la vista sulla Los Angeles del futuro sulle note inconfondibili di Vangelis. Come il 2001 di Kubrick, il 2019 di Blade Runner ha sfondato la barriera tra il genere e la cultura di massa, imponendo una visione del futuro che è entrata di diritto nell’immaginario collettivo. E forse gli effetti del cambiamento climatico, con le piogge monsoniche che investono le strade della megalopoli californiana, non sono l’unica predizione riuscita del capolavoro di Ridley Scott, tratto come tutti sappiamo dal romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick. Pur non avendo conosciuto le conseguenze dell’inverno nucleare e della Terza Guerra Mondiale, forse il nostro stesso mondo, che brucia cento milioni di barili di petrolio al giorno, avvinto in un abbraccio mortale con l’era dei combustibili fossili, è figlio del mondo di Dick molto più di quanto lo stesso autore californiano avrebbe mai potuto spingersi a immaginare: un mondo in cui la finzione si sostituisce continuamente alla realtà, in cui le fake news vengono promosse al rango di “fatti alternativi”, in cui la propaganda scambia la menzogna con la verità e poco importa se invece di indurci a sognare l’eldorado delle colonie extramondo nutre invece la nostra paura dello straniero con la minaccia priva di fondamento di un’invasione di profughi. È un mondo abbastanza brutto, in effetti, da suscitare l’invidia di un demiurgo maligno.
Mancano tuttavia i replicanti, obietterà qualcuno. E in effetti dove sono queste romantiche figure di antieroi in lotta per la libertà, pronti a sacrificarsi per insegnare all’uomo il valore di parole perdute, di ideali andati smarriti lungo la spirale di un tempo che si ripiega continuamente su se stesso?
Sono finiti per farsi sostituire da una nuova generazione di umanoidi sintetici, se ci pensate bene. Un modello più servile, più affidabile, più spietato.
Nel nostro 2019 dobbiamo difenderci dagli androidi programmati per incendiare le librerie (com’è accaduto poche notti fa alla Pecora Elettrica di Centocelle, a Roma, per la seconda volta in sei mesi https://roma.repubblica.it/cronaca/2019/11/07/news/la_pecora_elettrica-240471738/) e mettere al rogo i libri (com’è accaduto al progetto di bookcrossing nel parco Amendola di Modena: https://bologna.repubblica.it/cronaca/2019/11/10/news/modena_quei_libri_da_scambiare_bruciati_nella_notte-240780861/), e purtroppo non come forma di tributo situazionista a Fahrenheit 451. Quelli programmati per ripetere alla perfezione le istruzioni di un codice fallato, che traveste da diritto d’opinione e libertà di parola la più becera e insulsa propaganda xenofoba e fascista, che diffonde notizie prive di fondamento, solleticando gli istinti più bassi, cavalcando lo spirito di rivalsa sociale e, dietro gli orpelli delle rivendicazioni sovraniste, tutelando gli interessi delle potenze straniere.
Nel nostro 2019 ci tocca saltare di continuo dal registro della tragedia a quello della farsa, e da questo al grottesco e poi all’horror, in un moto perpetuo che non è confinato all’Italia, purtroppo, ma coinvolge un po’ tutti, dal Regno Unito ostaggio del processo infinito di Brexit agli USA guidati da un presidente virtuale, dal Sudamerica alla Spagna, dalla Turchia alla Cina, dalla Russia all’Iran. Il tutto mentre le multinazionali del capitalismo di piattaforma prosperano non meno delle grandi sorelle del settore petrolifero e le compagnie di stato cinesi preparano il terreno per la prossima egemonia.
Se il mondo fosse un paziente, i segni di squilibrio che si sono intensificati nelle ultime settimane basterebbero per la diagnosi di un disturbo psichico acuto.
Davanti a tutto ciò, allo scrittore di fantascienza non resta che prendere atto dello stato dei fatti, cosa che in genere fa, con un certo sussiego e un’alzata di spalle. Ma forse, per evitare di finire loro per primi assimilati nella massa degli umanoidi che eseguono all’infinito il codice di un programmatore folle, proprio gli scrittori di fantascienza potrebbero provare a riprogrammare la realtà. Detta così potrebbe sembrare una missione eroica e, date le dimensioni del progetto, una causa persa in partenza. Invece il ruolo che lo scrittore di fantascienza dovrebbe ritagliarsi in questo spettacolo infernale non sarebbe poi così irragionevole: non dovrebbe fare altro che ciò per cui ha sempre sognato di diventare quello che è, ovvero immaginare mondi che non esistono ma che offrono un punto di vista obliquo sul nostro, prospettando alternative a sistemi che tutti riteniamo impossibili da scalfire, facendo esplodere le contraddizioni intrinseche nei sistemi che oggi tutti reputiamo inattaccabili, mostrando come esista sempre un’opzione e un diritto di scelta da esercitare. In poche parole: mettersi alla ricerca delle linee di frattura del presente. Infilare lo sguardo nelle crepe e catturare spiragli delle possibilità future.
È in momenti come questo che gli scrittori di fantascienza dovrebbero parlarci attraverso le loro opere. Non per indicarci la strada verso un futuro che nessuno può conoscere, tantomeno loro. Ma per dimostrarci che un futuro diverso è sempre possibile. Basta cercarlo.
I sistemi complessi tendono a situarsi in un punto che definiremo il margine del caos. Immaginiamo questo punto come un luogo in cui vi è sufficiente innovazione da dare vitalità al sistema, sufficiente stabilità da impedirgli di precipitare nell’anarchia. È una zona di conflitto e di scompiglio, dove il vecchio e il nuovo si scontrano in continuazione. Trovare il punto di equilibrio è una faccenda delicatissima: se un sistema vivente si avvicina troppo al margine, rischia di precipitare nell’incoerenza e nella dissoluzione; ma se si ritrae troppo diventa rigido, immoto, totalitario. Entrambe queste evenienze portano all’estinzione. L’eccessivo cambiamento è letale quanto l’eccessivo immobilismo. I sistemi complessi prosperano solo al margine del caos.
Michael Crichton, Il mondo perduto
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