Praticamente ignorato dal pubblico quando è uscito al cinema alla fine dell'estate scorsa, Le vie della violenza è un thriller senza assoluzione e senza vincitori. Un incontro post pulp tra il noir e il cinema on the road in grado di lasciare deflagrare i peggiori sentimenti dell’umanità. Una pellicola che segna l’esordio alla regia di Christopher McQuarrie, già sceneggiatore premio Oscar per I soliti sospetti e che – in qualche maniera – sembra ereditare l’umanità addolorata dei romanzi di John Ridley e la visionaria mancanza di virtù dell’Oliver Stone di U turn, film tratto – peraltro – proprio da uno dei libri scritti dall’autore di All’inferno fumano tutti. Una commistione di presente e di eterno passato con una strana coppia di sbandati (due straordinari Benicio Del Toro e Ryan Philippe) che fiutano il colpo grosso quando rapiscono una donna che ha dato in affitto l’utero ad una facoltosa famiglia di faccendieri. Una fotografia cupa rende ancora più angosciante questa storia ambientata lungo il confine con il Messico, in cui i limiti oltrepassati non sono certo solo quelli della frontiera tra i due stati. Le vie della violenza è una pellicola in cui l’assenza totale di catarsi e di redenzione, vede scorrere via la vita dei protagonisti tra riscatti miliardari e colpi di proiettile. In una cronica mancanza di fiducia e di lealtà, la figura della povera Juliette Lewis gonfia e resa fragile dallo stato avanzato di gravidanza, diventa l’allegoria di un mondo senza speranza in cui – sebbene tutelata al massimo grado con l’uso delle armi – la vita del nascituro conta solo in virtù dei soldi che il prepotente padre biologico è pronto a sganciare. In un’orgia di cattivi pensieri, di azioni illegali e di omicidi facili, la figura del vecchio gangster James Caan pronto a tutto pur di tutelare gli interessi del suo principale, assurge quasi ad una distorta icona positiva di un mondo del passato in cui esisteva una netta divisione tra Bene e Male. Con un andamento legnoso, l’ex protagonista de Il padrino rappresenta la cattiva coscienza di un mondo marcio pronto a stigmatizzare ogni singola azione con parole durissime e ironiche. Come quando parlando dei quindici milioni di dollari di riscatto puntualizza che non si tratta di semplice “denaro”: “I soldi sono quelli che ritiri al bancomat o quelli che usi per pagare la spesa. Quindici milioni di dollari sono un movente…” Dice, tirando fuori una gretta, ma sincera morale utilitaristica in un mondo dannato in cui tutte le differenze sono basate solo sui “soldi” o sui “moventi”. Una sceneggiatura interessante portata avanti con graffiante ironia in cui vengono riecheggiati tanti degli stilemi del cinema poliziesco degli ultimi anni. Ma McQuarrie punta soprattutto a raccontare con uno stile graffiante un mondo fradicio. Grazie alla bravura di un cast di attori amalgamato perfettamente, il regista reiventa i temi classici del noir anni quaranta, aggiornandoli alla nostra epoca e alla sua nuova morale, o meglio alla sua assenza di etica In un finale da tragedia greca con tutti contro tutti per motivi biologici e ideali, in un western perfetto per la Tebe di Edipo, grazie a tutte le manipolazioni genetiche McQuarrie costruisce una storia che fa piazza pulita di tanti orpelli dei giorni nostri, raccontando un mondo sgradevole, scarnificato all’osso – però – con una certa eleganza che mitiga l’effetto pugno nello stomaco dello spettatore.
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