“Resistere! Resistere! Resistere!”: potrebbe essere questo lo slogan più adatto per descrivere Captive State, il nuovo film di Rupert Wyatt, già dietro la macchina da presa per L’Alba del Pianeta delle Scimmie. Una pellicola che racconta di come l'umanità può sopravvivere ad un'invasione aliena. Ambientato a Chicago, nove anni dopo che la città è stata occupata da alcune forze extraterrestri, la trama della pellicola racconta la storia di due fratelli che dopo l’invasione aliena rimarranno separati per molto tempo, e si riuniranno solo quando il maggiore dei due guiderà un piccolo gruppo di rivoluzionari intenzionati a mettere fuori uso il sistema di tracciamento alieno che si trova in cima alla Sears Tower. Se avrà successo, la missione potrebbe significare non solo la sconfitta degli alieni, ma anche la liberazione della razza umana.

Nel cast del film ci sono, John Goodman, nel ruolo di William Mulligan, un veterano poliziotto di Chicago che per anni ha tenacemente indagato su un gruppo di ribelli impegnati a porre fine all’occupazione aliena, sia per il rispetto che nutre nei confronti della legge che per lealtà verso il suo ex-collega, morto durante l’invasione aliena, e i cui figli pensa facciano parte del gruppo; Ashton Sanders in quello di Gabriel, il più giovane dei due fratelli, che continua a cercare il fratello scomparso ritenuto da tutti morto, ma che ora gira voce sia vivo e faccia parte del gruppo di dissidenti che tramano la rivolta; Jonathan Majors interpreta Rafe, il fratello di Gabriel, il fuggitivo chiamato ‘La Fenice’, colui che guida le forze intenzionate a porre fine alla dittatura degli alieni facendo esplodere la Sears Tower e distruggendo lo strumento di controllo degli alieni in cima al grattacielo; l’attrice candidata agli Oscar, Vera Farmiga, nel ruolo di Jane Doe, una vecchia conoscenza di Mulligan, che ora per nascondersi ha assunto l’identità di una escort, e nel cui misterioso passato potrebbe aver preordinato il futuro della razza umana.

Captive State vanta anche un cast di attori comprimari di tutto rispetto, tra cui Kevin Dunn (Veep, la trilogia di Transformers) nel ruolo di Igoe, il potente capo della polizia della città; Ben Daniels nel ruolo di Daniel, un altro ribelle intenzionato a rovesciare la dittatura degli alieni; James Ransone in quello di Ellison, una misteriosa adepta del gruppo di dissidenti, cruciale per il loro successo; Alan Ruck nel ruolo del giornalista Rittenhouse, un altro ribelle che si batte per rovesciare la dittatura aliena; Kevin J. O’Connor e D.B. Sweeney rispettivamente nei ruoli di Kermode e di Levitt, i subalterni di Mulligan nel team d'investigatoti; Madeline Brewer nel ruolo di Rula, la ragazza di Gabriel e Colson Baker, meglio conosciuto come il rapper Machine Gun Kelly, nel ruolo di Jurgis, il “socio” di Gabriel, col quale vende i chip di dati al mercato nero.

La carriera di Rupert Wyatt è quella tipica di un regista tipica di un uomo che sembra destinato a diventare un filmaker. Nato e cresciuto nel sud dell’Inghilterra, Wyatt da ragazzo, mentre frequentava il collegio, trascorreva il tempo libero girando dei filmati con la sua Super-8. Il cineasta Werner Herzog vide uno dei suoi primi lavori, un film slasher intitolato Bloody Mayhem, e lanciò la carriera di Wyatt raccomandandolo per la prestigiosa borsa di studio New Moon. In seguito, nel 1988, a 16 anni vinse una competizione della BBC Showreel con il film in claymation Valentine Vendetta, ispirato alla strage di S. Valentino del 1929. Mentre frequentava l’università lì, la sua tesi di laurea – un adattamento contemporaneo della Divina Commedia di Dante, dal titolo Jericho Falling – divenne la sua prima sceneggiatura ad essere opzionata. È stata sviluppata da diversi produttori e registi, tra cui Claudie Ossard, Jean-Pierre Ramsay, George Litto e Ian Softley. In seguito, scrisse e sviluppò per cinque anni dei progetti cinematografici a New York per società di produzione come Shooting Gallery, Miramax e Radical Media. Nel 1997 ha fondato il collettivo di cineasti Picture Farm, che lo ha aiutato a lanciare la sua carriera di regista, con il suo acclamato film d’esordio del 2008, intitolato The Escapist, interpretato da Cox, Lewis, Joseph Fiennes e Dominic Cooper. Il film è stato presentato al Sundance, è stato candidato a diversi premi internazionali, ha vinto un premio British Independent Film e ha ottenuto una candidatura ai London Critics Circle per la migliore regia. Il successo di The Escapist catturò l’attenzione della 20th Century Fox, che nel 2011 assoldò Wyatt per dirigere L’Alba del Pianeta delle Scimmie, il reboot de Il Pianeta delle Scimmie. Il film, interpretato da James Franco, John Lithgow e Andy Serkis, ha avuto un grande successo al box-office, arrivando a incassare mezzo miliardo di dollari, e ha generato due sequel.

Il regista inglese ha precisato che Captive State non il solito film di invasione aliena.

“Più che di una storia d’invasione aliena è una storia di occupazione aliena”, ha spiegato Wyatt. “Le storie fantascientifiche di maggior successo sono sempre quelle che, in un modo o nell’altro, rispecchiano la nostra società. Secondo me, Philip K. Dick è uno dei più grandi scrittori di fantascienza di tutti i tempi perché è sempre stato capace di raccontare delle storie nelle quali noi come società riusciamo a immedesimarci. Essendo questa una storia di fantascienza, o meglio una storia di fantascienza in stile retrò, – ha continuato Wyatt – volevo riuscire a creare un intero mondo e una mitologia completa. Il film è ambientato nel futuro, e più precisamente nel 2025, e cioè nove anni dopo l’invasione aliena. Ho preso ispirazione da quello che sta accadendo nel nostro mondo oggi dal punto di vista sociale, politico e ambientale, e l’ho esasperato. Volevo creare un mondo che fosse ancora riconoscibile, ma nel quale le libertà civili vengono negate e la tecnologia è regredita. La mia idea era di creare qualcosa in cui potessimo ancora rispecchiarci, ma in un’ottica fantascientifica”.

Nel breve prologo ricco d’azione Wyatt fa partire la pellicola nell’anno 2016, con un’invasione da parte degli alieni, e lo ambienta nel cuore stesso dell’America, a Chicago; subito dopo introduce una famiglia Afro-Americana di quattro persone che cerca di sfuggire al massacro: un agente di polizia, sua moglie insegnante e i loro due figli, di 11 e 15 anni. L’invasione prende una svolta drammatica quando gli alieni rendono inutilizzabili tutte le apparecchiature elettroniche e digitali (veicoli, cellulari, computer), ossia tutto ciò da cui l’umanità dipende per le sue comunicazioni quotidiane e la sua stessa esistenza. Mentre tentano di fuggire l’uomo e la donna muoiono tragicamente… ma questi colossali umanoidi mascherati, che intravediamo attraverso il parabrezza della loro auto, risparmiano Rafe e suo fratello più piccolo, Gabriel.

Nove anni dopo, nell’anno 2025, un fascio di luce scintilla dalla Sears Tower, il grattacielo simbolo della città, un tempo l’edificio più alto d’America e ora situato in una parte della città inaccessibile, chiamata “La zona chiusa”. Simile alla Green Zone irachena o al muro di Berlino, la “zona chiusa” è un’area immensa. È stata costruita dagli invasori alieni nel centro della città ed è la loro fortezza. Qui essi si nascondono sottoterra dagli abitanti della città, molti dei quali non hanno mai visto un extraterrestre. Questa cittadella serve anche a proteggere il grattacielo dagli attacchi esterni. Il faro in cima alla Sears Tower risplende ogni giorno sulla città ridotta in rovine. Il suo scopo è sorvegliare e monitorare ogni singolo essere umano (ciascuno di loro ha un microchip istallato chirurgicamente nel collo), e ha riportato la società umana, fino a poco tempo prima completamente dipendente dalla tecnologia, al medioevo. Nove anni dopo l’invasione, ogni strumento elettronico è diventato completamente obsoleto e non ci sono più contatti tra la città e il mondo esterno.

Chicago ormai è una città in rovine e sospesa nel tempo. La popolazione vive sotto la legge marziale ed è governata dall’oscurità da due diversi ranghi di esseri alieni: i Legislatori, che comandano, e i Cacciatori, dei mercenari alti due metri che hanno il compito di far rispettare la legge. Wyatt racconta la storia attraverso gli occhi dei due fratelli sopravvissuti. Quelli di Gabriel, ormai ventenne, che durante il giorno lavora in una noiosa fabbrica e di notte insieme a un suo amico vende i chip di dati al mercato nero, e ruba e rivende illegalmente ogni sorta di file digitale (foto, musica) risalente a prima dell’invasione. E quelli di suo fratello più grande Rafe, che è diventato una figura misteriosa. I due non si vedono da quattro anni, e si vocifera che Rafe sia morto. Dopo la morte dei loro genitori, Rafe si era occupato di crescere suo fratello minore, fino al giorno in cui lo ha abbandonato per un bene maggiore ed è entrato a far parte del gruppo di ribelli determinati a combattere l’occupazione.

“Uno dei miei cineasti preferiti è il regista francese Jean-Pierre Melville”, ha detto Wyatt. “Ha lavorato principalmente negli anni ‘60 e ‘70. È stato un membro della Resistenza Francese durante la guerra, e nel corso di tutta la sua carriera ha voluto raccontare delle storie sulla lotta contro le forze di occupazione. Melville alla fine della sua carriera ha diretto un film intitolato L’Armata degli Eroi, un’opera straordinaria, epica, incentrata sui dei personaggi. È una pellicola francese ha concluso il regista – per antonomasia, ma è girata come un film noir. Mi ha ispirato molto per questo film, come anche La Battaglia di Algeri. Ho voluto inserire alcuni elementi di entrambi questi due film, ma in un contesto fantascientifico ambientato negli Stati Uniti”.

Per quanto concerne la lavorazione del film, Wyatt ha aggiunto che: “Questo film è stato realizzato molto rapidamente. Prima è nata l’idea, poi abbiamo scritto la sceneggiatura, e poco dopo qualcuno ha accettato di finanziare il progetto e l’abbiamo realizzato. Non mi era mai successo prima e potrebbe non succedermi mai più. Tra la fase di scrittura della sceneggiatura e quella in cui abbiamo portato il progetto all’attenzione della Participant Media, che ha deciso immediatamente di realizzarlo, è passato pochissimo tempo“.

Senza sbilanciarsi troppo con le metafore e i paragoni con l’attuale amministrazione in carica alla Casa Bianca, Wyatt ha precisato che, “È un film che parla delle scelte che facciamo nella vita. Dell’idea di confrontarsi con delle scelte morali che sono di vitale importanza per il nostro sostentamento, per la nostra sicurezza e per quella della nostra famiglia. E di come noi, come popolo, reagiamo individualmente. Ci sono due tipologie di personaggi in questo film: Quelli che hanno scelto di collaborare con gli invasori, e quelli che hanno scelto di combatterli. La storia ruota principalmente attorno a questi due aspetti, a queste due facce della medaglia, oltre che al tema della famiglia, che ho cercato di analizzare molto accuratamente attraverso le esperienze dei due fratelli”.

Per quanto riguarda uno dei personaggi principali, quello interpretato da John Goodman, il regista ha raccontato che: “Mulligan è un uomo grigio. È una di quelle persone che passano inosservate tra la folla, non le noti quando gli passi accanto. Ed è proprio questo che lo rende pericoloso. Fa parte dei corpi speciali della polizia, lavora per questo stato totalitario, e per certi versi ricorda un detective della Stasi. Il suo compito è quello di sorvegliare la gente ricorrendo ad espedienti e a sotterfugi. In un certo senso è il cattivo del film. È il cattivo della storia – ha ribadito Wyatt inequivocabilmente – ma agisce in modo tale che non vediamo mai alcuna malizia o intento malvagio in lui. È questo il contributo che John ha dato al suo personaggio, e lo ha fatto in maniera pressoché impercettibile. Gli ha anche conferito grande umanità, è questo che ci induce a provare simpatia per il suo personaggio. Compie delle scelte che distruggono la vita delle persone con il peso del mondo, il peso dell’oppressione sulle sue spalle”.

Sull'interpretazione di Goodman, il regista non ha dubbi: “John è strepitoso. È un interprete capace di grandi finezze, esattamente come il suo personaggio. Per prima cosa legge attentamente la sceneggiatura, ma poi recita d’istinto, dando vita alla sua personale interpretazione. A volte lo osservavo da dietro la macchina da presa e non mi sembrava neppure che stesse recitando. Poi riguardavo i giornalieri e mi rendevo conto di tutti gli stupefacenti dettagli con i quali arricchiva la sua performance. È stato un dono poter lavorare di nuovo con lui”.

Parole di elogio, il regista di Captive State le ha avute anche per l'altro giovane protagonista: “Ashton è molto maturo per la sua età. Ho impiegato diverso tempo per riuscire a trovare l’attore giusto per questo ruolo perché volevo qualcuno che fosse molto giovane e inesperto nei confronti della vita. Allo stesso tempo, doveva essere pacato e possedere l’abilità di guardare le cose attraverso la sua esperienza relativamente breve. Era questo il personaggio di Gabriel: Un ragazzino che ha perso i genitori, che ha perso di vista suo fratello e vive in una Chicago emarginata, scegliendo di rimanere a testa bassa ed evitando di cacciarsi nei guai. Ed Ashton ha concluso Wyatt – è riuscito a esprimere tutto questo solo attraverso lo sguardo. Quando gli ho fatto il provino me ne sono reso conto immediatamente. È un ragazzo molto dolce e premuroso. Ama recitare, per questo lo ammiro. Ha studiato a fondo la parte e ha dimostrato grande serietà”.

Il film è uscito nelle sale italiane il 28 marzo e sta affrontando in altre parti del mondo il giudizio del pubblico, ma siamo sicuri che di questa pellicola si parlerà ancora per molti anni.