Il noto romanzo breve di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, pubblicato per la prima volta nel 1886 è senza alcun dubbio un classico della letteratura fantastico-orrorifica, ma può essere letto anche come un testo paradigmatico dei profondi mutamenti che hanno investito la cultura e lo scenario sociale, politico ed economico dell’Inghilterra e dell’intero Occidente, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Non è difficile immaginare che l’allora corrente dibattito tra la scienza, la filosofia e la religione, scaturito dalle teorie sull’evoluzionismo dei positivisti, abbia influenzato, e quasi “suggerito” la storia allo scrittore britannico, che a quanto pare era il frutto di un incubo realmente sofferto dallo scrittore.
La figura dell’onesto e buono dottor Jekyll può essere letta come la metafora della cosiddetta Alta Cultura e della società tradizionale che va sgretolandosi sotto i colpi del progresso scientifico e tecnologico, mentre quella del perfido e malvagio Mr. Hyde può essere associata alla nascente Cultura di Massa e alla società dei consumi. Il tutto sullo sfondo dell’Inghilterra in piena Rivoluzione industriale, dell’esplosione della borghesia come classe dominante, della configurazione della moderna metropoli.
La storia è nota. Il dottor Jekyll – uomo onesto, retto, generoso – spinto dal desiderio umanitario di liberare i suoi simili dalle tendenze aggressive, compie un esperimento su se stesso: grazie ad una pozione chimica, egli riesce a trasformarsi in Hyde, un essere violento, vizioso e privo di ogni scrupolo morale. L’esito dell’esperimento è tragico: la “metà cattiva” finisce per fagocitare la “metà buona”. La lettura che è stata fatta della lotta del bene contro il male è, seppur vera, molto parziale. In realtà il dottor Jekyll non è un uomo completamente “virtuoso”, dedito al bene assoluto, ma è fragile, complesso. Jekyll, per sua stessa ammissione, è un uomo ambiguo, in lui albergano e lottano due personalità. In questo senso è il perfetto “cittadino” della società in cui vive. Nel ventennio tra il 1850 e il 1870 era maturata nella cultura una concezione del mondo che prendeva atto di una generale fiducia nella scienza. Dalle teorie dell’evoluzione, della selezione naturale e artificiale, enunciate e argomentate nelle opere di Charles Darwin L’origine della specie (1859) e L’origine dell’uomo (1871) al positivismo di Comte fino al materialismo dialettico e al socialismo di Marx – Il Manifesto del partito comunista era stato pubblicato nel 1848, il primo volume del Capitale nel 1867 – l’uomo, la società e il mondo tendevano ad essere formulate in modo “oggettivo”, “scientifico”. Questi nuovi fermenti culturali si scontravano con le istanze religiose e tradizionaliste, generando anche un forte senso di smarrimento nella società. Un processo che prepara il terreno alla cosiddetta società di massa, all’avvento del capitalismo industriale più sfrenato, alla società dei consumi, alle metropoli moderne e, ovviamente, alla cultura di massa. Il Novecento sarà il secolo in cui la scienza diventa tecnologia, in cui l’industria cede il passo al settore dei servizi, in cui il consumo diventa di massa.
Una fetta consistente della cultura di massa è costituita dai generi narrativi cosiddetti paraletterari: il fantastico, il rosa, il western, la fantascienza, l’horror, il giallo. Ad una prima lettura il racconto di Stevenson è generalmente associato al genere fantastico, o all’horror, grazie anche alle successive versioni cinematografiche. Ma una lettura più attenta, ci mostra come Lo Strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde affondi le sue radici in più generi narrativi, che costituiscono i contenuti tipici della Cultura di Massa.
Il racconto dello scrittore inglese appartiene al genere fantastico proprio perché l’elemento irrazionale (il tentativo del dottor Jekyll di scindere nell’animo umano il bene dal male) si alterna al tentativo di una spiegazione razionale. Sappiamo, infatti, che è attraverso una pozione chimica che il dottor Jekyll riesce a mutare nel perfido Hyde. Una spiegazione razionale, quasi scientifica. Ma tutto è rimesso in discussione nel momento in cui Jekyll scopre che non ha più bisogno della pozione per trasformarsi in Hyde.
A nostro avviso, però, il racconto stevensoniano contiene i germi di almeno altri due generi classici della cultura di massa, ovvero il giallo e la fantascienza. Tutta la storia è sì incentrata sulla figura di Jekyll e della sua controparte Hyde, ma ci viene quasi interamente mostrata attraverso gli occhi dell’avvocato Utterson, amico del dottor Jekyll. Fin dalle primissime pagine, Utterson sembra essere un tipico investigatore, caro a tanta letteratura crime. Nel primo episodio del racconto, intitolato “Storia della porta”, Utterson induce suo cugino Enfield, durante una loro rituale passeggiata, a farsi raccontare una strana storia in cui è rimasto coinvolto. Un giorno Enfield, tornando a casa alle tre del mattino, si trovò casualmente davanti ad un’orribile scena: un uomo e una bambina si scontrarono all’angolo di una strada e “l’uomo calpestò tranquillamente il corpo della bambina e la lasciò urlante sul marciapiede”. Enfield rincorse l’uomo e lo costrinse a ritornare indietro. Intanto, le urla della bambina avevano richiamato i suoi genitori e altre persone. Enfield riuscì a far risarcire la bambina con cento sterline. A questo punto Utterson chiede al cugino il nome dell’uomo che ha calpestato la bambina e quando Enfield gli confida che è Hyde, Utterson ne rimane colpito e decide di investigare su quell’uomo. Il nome Hyde, infatti, non gli è sconosciuto, in quanto appare nel testamento del suo amico dottor Jekyll: nel caso che questi scompaia i suoi beni devono essere lasciati al signor Hyde. Un testamento che sconvolge e inquieta l’avvocato Utterson che, novello Sherlock Holmes, vuole scoprire chi è veramente il signor Hyde. Così, nella successiva parte del racconto intitolata “Alla ricerca del signor Hyde”, Utterson prima si reca dal dottor Lanyon, amico suo e di Jekyll, per chiedere se conosce il signor Hyde, poi effettua dei veri e propri appostamenti nei pressi della casa in cui si presume abiti Hyde, per vederlo di persona. Siamo insomma davanti ad un vero e proprio detective che usa le armi della logica e della deduzione per venire a capo di un mistero.
Jekyll è insoddisfatto della propria vita, è “alienato” e cerca una via di fuga. Stevenson, in questo racconto, anticipa le teorie sull’inconscio di Freud, ma anche il processo di individualizzazione tipico della società capitalistica. C'è poi il laboratorio, il luogo deputato dove si pratica l’arte della scienza: un simbolo classico della fantascienza. Ma rappresenta, soprattutto, la scienza in quanto disciplina apportatrice di una nuova visione del mondo, della realtà, dell’uomo stesso. Il racconto in più punti rispecchia questa generale fiducia nella scienza, o meglio della sua naturale tendenza ad andare oltre i suoi stessi limiti, a varcare i confini che sono continuamente labili. Sarà lo stesso Jekyll che, dinnanzi al suo amico dottor Lanyon, si trasformerà da Hyde in Jekyll. Lo stesso amico che, anni prima, lo aveva deriso in merito alle sue teorie sulla possibile presenza in ognuno di noi di due anime, una dedita al bene e l’altra al male. È chiaro che Lanyon rappresenta la scienza, ma anche un modo di concepire il mondo, la società che rispecchia l’epoca vittoriana. Non a caso, lo scrittore inglese scrive il racconto con l’intento di sferrare un duro attacco alla repressiva e puritana letteratura inglese vittoriana.
L’appartenenza del racconto, dello scrittore inglese, a più generi narrativi è già di per sé motivo sufficiente per considerarlo a pieno titolo appartenente alla cultura di massa. Ma The strange case of Doctor Jekyll and Mister Hyde contiene anche “segni” tangibili che annunciano l’avvento della società di massa, l’allargamento urbanistico-sociale delle metropoli, il predominio del nuovo ceto borghese, la nascita dell’economia dei consumi.
Vale la pena illustrare, innanzitutto, il contesto storico-scientifico in cui è stato scritto il racconto. Un periodo denso di innovazioni scientifiche e tecnologiche che permetteranno la nascita della società di massa e che modificheranno anche la percezione della realtà.
Se la cultura di massa è per sua stessa definizione veicolata dai mezzi di comunicazione di massa, è proprio in questo periodo che nascono le tecnologie propedeutiche alla nascita del cinema, dell’editoria, della radio, della televisione. La stampa, ad esempio, conosce una svolta radicale nel 1884, con l’invenzione della linotype che permise ai tipografi di sbarazzarsi della laboriosa composizione a mano dei caratteri. Nello stesso anno fu creato un processo per estrarre dalla polpa di legno un tipo di carta a basso costo. Nascevano così i “mezzi” tecnologici per produrre un numero maggiore di libri e la possibilità di stampare tirature più alte per le riviste. Due anni più tardi fu inventata l’incisione della mezza tinta che permise alle riviste di stampare illustrazioni fotografiche a tutta pagina per soli venti dollari, al posto dei cliché di legno che ne costavano duecento.
Nel 1883, Joseph Pulitzer lanciava il New York World, il primo quotidiano popolare, nel senso che la sua filosofia era di allargare il numero dei lettori. Eventi che non sono estranei a Stevenson. Per esempio, nel brano intitolato “L’episodio della lettera”, Utterson si reca a casa di Jekyll e dopo un colloquio chiarificatore con l’amico, ritorna a casa. Ma il suo ritorno è turbato da un evento: “Mentre tornava a casa, gli strilloni si sgolavano lungo i marciapiedi: «Edizione speciale! Terrificante assassinio di un membro del Parlamento.»”. Siamo davanti ad un fatto estremamente grave, un omicidio, che coinvolge una personalità cittadina a tutti nota, un parlamentare. I giornali ritengono quindi opportuno, ed economicamente vantaggioso, pubblicare un’edizione speciale dei propri giornali. La notizia è, poi, “pubblicizzata”, diremmo oggi, dagli strilloni, figura nata con la metropoli moderna e con l’avvento del giornalismo popolare che, non a caso, è scomparsa verso la metà degli anni sessanta del Novecento, con l’affermarsi definitivo della televisione, che poteva “gridare” direttamente nelle case dei lettori qualsiasi notizia. Anche il processo di urbanizzazione non inizia nella metà del diciannovesimo secolo, ma trova in quel periodo storico il suo apice. Le città cominciano a trasformarsi in metropoli.
Lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, per un verso, e l’esplodere del processo di urbanizzazione e di immigrazione, dall’altro, sono le fondamentali premesse per la nascita della cultura di massa. Una cultura non più solo elitaria, e usufruita dai ceti culturalmente più colti, ma creata, distribuita e consumata da strati sempre più larghi della popolazione. La lacuna fu colmata nel 1891, con la nascita di The Strand Magazine in Inghilterra. Si trattava della prima rivista per famiglie, a basso prezzo e destinata alla classe media. La rivista ottenne un immediato successo e in seguito stipulò un contratto con Sir Arthur Conan Doyle per pubblicare una serie di racconti incentrata su Sherlock Holmes. I due precedenti racconti, pubblicati su altre riviste, non erano riuscite ad imporre presso il grande pubblico la serie di Conan Doyle. Cosa che invece riuscirà a fare The Strand Magazine, tanto che uscirono in quegli anni molte altre riviste che ne imitarono la linea editoriale.
È l’inizio di un nuovo modo di fare cultura, di un processo che porterà alla serializzazione, alla standardizzazione dei processi culturali. Si produce molto e per un pubblico sempre più vasto.
Il progresso tecnologico nel campo della stampa, che rese possibile le riviste di massa, fu accompagnato da altri progressi sociali, come l’obbligo della formazione primaria che fornisce il pubblico di lettori.
Dalla cultura d’élite si passa alla cultura di massa. Ma non è che la prima scompare, semplicemente con l’irrompere delle masse nella storia dell’umanità, l’arte e la cultura “mutano” di conseguenza. Un fenomeno che Walter Benjamin, nel suo saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, a proposito dell’arte, definisce la “perdita dell’aura” nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, ossia la perdita del “qui e ora” magico e unico che si fonde con la creazione artistica e la contraddistingue. La riproduzione dell’opera d’arte non comporta una perdita di qualità dell’oggetto d’arte, ma piuttosto una desacralizzazione: le masse (ri)chiedono beni culturali che diventano inevitabilmente merce.
Dal punto di vista quantitativo, tra il 1850 e il 1900, la riproducibilità di un oggetto culturale arriva a livelli mai raggiunti prima. Un romanzo di un autore classico, ad esempio, può essere stampato in una tiratura che fino all’invenzione della linotype era impensabile. E la richiesta di cultura da parte di un pubblico sempre più vasto, che dispone di un tempo libero, che può spendere parte del proprio salario in cultura è la condizione ideale affinché si porti a naturale compimento il processo di nascita della cultura di massa. Negli Stati Uniti, nel 1880, Ben Hur, il romanzo di Lee Wallace, vendette più di un milione di copie: nasceva così il moderno best seller.
Non è questa la sede per analizzare gli effetti di questo processo, e neanche sottolinearne tutti gli aspetti più interessanti. Ci limitiamo, più semplicemente, a segnalare le premesse che hanno portato ad una diverso modo di produrre e consumare l’oggetto culturale e d’arte, grazie all’irruzione delle masse nella storia dell’uomo.
In questo senso, il tema della “mutazione”, della doppia identità, presente nel racconto di Stevenson, ci sembra una calzante metafora di questo processo che investe la cultura e l’arte, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
La cultura di massa discende dalla cosiddetta alta cultura, così come Hyde è Jekyll, seppur celato dietro un’identità diversa. È la pozione chimica a consentire al dottore di trasformarsi in un essere perfido, per dare libero sfogo alle proprie pulsioni; così come, sarà lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione a permettere alle masse di reclamare un nuovo tipo di cultura, più vicino alle loro esigenze, più sensibile alla loro realtà quotidiana.
Ad esempio, la cultura di massa produce un nuovo tipo di letteratura – definita di volta in volta, di massa, di consumo, paraletteratura, sottoletteratura – non riconosciuta dalla critica ufficiale, e tuttavia letta in misura amplissima. Per quasi tutto il Novecento, però, la cosiddetta paraletteratura è stata tenuta ai margini della cultura ufficiale, considerata sostanzialmente un fenomeno tipico della società industriale e post-industriale. È ciò che accade anche a Hyde, rifiutato ed emarginato da tutti, eppure introdotto nella società grazie all’aiuto e alla protezione di Jekyll.
Hyde e Jekyll sono inscindibili, così come appaiono insoddisfacenti i tentativi di differenziare in modo sostanziale la letteratura dalla paraletteratura, e più in generale la cultura cosiddetta “alta” da quella di massa. La discriminante che vuole la paraletteratura inserita nell’apparato industriale dell’editoria è tautologica e non spiega l’enorme successo di pubblico conosciuto dalla letteratura di consumo. Del resto un’alta tiratura non può da sola garantire l’accoglienza favorevole di un testo presso il grande pubblico.
Nell’arco di alcuni decenni, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, l’avvento delle masse scatenò una serie di processi tecnologici e sociali che mutarono la cultura e la società europea ed americana. Quindi la cultura di massa non si è semplicemente contrapposta o sostituita alla cultura alta. Piuttosto, la cultura ha cominciato – per la prima volta nella storia dell’uomo – a diffondersi presso una gran quantità di persone. La cultura di massa determina un consumo di massa e scardina i presupposti della vecchia cultura aristocratica.
Così come il protagonista del racconto di Stevenson, si era addormentato come Henry Jekyll e si svegliò come Edward Hyde.
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