Giovanni De Matteo si è segnalato al mondo della fantascienza vincendo nel 2005 il Premio Robot con il racconto Viaggio ai confini della notte, ma nel corso degli anni ne ha pubblicati molti altri su riviste (Delos Science Fiction, Robot, Carmilla, Futuri), in antologie (L’orizzonte di Riemann, Il prezzo del futuro, Storie dal domani, Segnali dal futuro, Propulsioni d’improbabilità, Iperuranio) e in e-book (Terminal Shock, Codice morto, Sulle ali della notte, Il lungo ritorno di Grigorij Volkolak). In collaborazione con Lanfranco Fabriani ha scritto YouWorld, originariamente apparso su “Urania” (2015) e ripubblicato nel 2018 in e-book da Delos Digital in un’edizione rivista e ampliata. Ha inoltre curato con altri diverse antologie, tra cui Next-Stream: oltre il confine dei generi (2015, Kipple Officina Libraria) e Nuove Eterotopie (2017, Delos Digital). È tra i fondatori del Connettivismo, il movimento artistico che ha fuso la sensibilità di un gruppo di autori italiani di fantascienza con le tematiche del cyberpunk.
Il successo presso i lettori di fantascienza è arrivato con i romanzi Sezione π2 (Premio Urania 2007) e Corpi spenti (2014), entrambi pubblicati da Mondadori nella storica collana “Urania” e che condividono l’ambientazione in una Napoli post-Singolarità Tecnologica del prossimo futuro.
Lo stesso scenario è presente nel suo ultimo romanzo, Karma City Blues (Delos Digital, collana Odissea Digital Fantascienza 59, € 3,99), che si svolge una decina di anni dopo i precedenti. Abbiamo rivolto alcune domande allo scrittore di Corpi spenti per farci raccontare questo suo nuovo lavoro, arrivato in finale al Premio Odissea.
Dopo Sezione π² e Corpi spenti mi sarei aspettato il terzo romanzo con protagonista Vincenzo Briganti, e invece mi hai spiazzato (favorevolmente e credo anche i tuoi lettori), scrivendone uno ambientato nello stesso universo, ma con un nuovo principale personaggio. Quali sono i motivi che ti hanno spinto verso questa scelta e che collegamenti ci sono con i due precedenti romanzi?
Anche se l’esordio letterario di Vincenzo Briganti era fin dall’inizio pensato come parte di un possibile racconto seriale, l’universo della Sezione Speciale di Polizia Psicografica di Napoli abbracciava un più ampio orizzonte narrativo ancora prima che Briganti entrasse in scena. Prima di Sezione π² era stata infatti la volta di un fumetto uscito a puntate sulle pagine di Solaris*, un progetto di Cagliostro ePress tanto interessante quanto sfortunato, e come la stessa rivista rimasto incompiuto. C’era tutto un mondo lì fuori che Sezione π² e Corpi spenti mi hanno permesso solo di intravedere di sfuggita, e un romanzo slegato dalla continuity delle indagini dei necromanti poteva aiutarmi ad addentrarmi nei suoi recessi.
I collegamenti con i due romanzi «canonici» non mancano, con alcuni personaggi di contorno che tornano in Karma City Blues, unendosi a una galleria ancora più ampia. Ma i punti di contatto principali sono sicuramente l’ambientazione, che al lettore dei precedenti romanzi risulterà allo stesso tempo familiare e straniante, e la psicografia, qui mostrata secondo la lezione di William Gibson nell’uso che la strada ha trovato il modo di farne. Uno dei motivi che mi hanno spinto a scrivere un romanzo staccato dalle indagini dell’Officina è anche questo: esplorare il contesto criminale dall’altra parte della barricata.
Come nasce l'idea di Karma City Blues, che, leggendo la tua nota alla fine del romanzo, ha avuto una lunga gestazione?
Ovviamente dal ricordo di una donna, in particolare una che l’interruzione delle pubblicazioni di Solaris* aveva condannato a un oblio prematuro e immeritato. In Pi-Quadro Angelica Vicino era in un certo senso il braccio armato della Ksenja Corporation, uno dei colossi industriali che dominano questo mondo futuro. Karma City Blues è stata l’occasione per riportarla in azione. E in dodici anni Angelica non è certo rimasta con le mani in mano, ma ha avuto tutto il tempo necessario per aggiornare la sua agenda e tornare più determinata che mai a perseguire i suoi obiettivi.
A questo punto sono d'obbligo due parole su Lorenzo Roi, alias Rico Del Nero: chi è?
Un altro fantasma del passato. Ma in maniera diversa da Angelica Vicino. Rico Del Nero è il personaggio che è sempre stato con me, anche se non è mai apparso in nessuno dei racconti e dei romanzi che ho pubblicato negli oltre quindici anni trascorsi da quando ho cominciato a scrivere. È un concentrato dell’immaginario cyberpunk che ha plasmato il mio gusto di appassionato di fantascienza. Un cowboy della consolle, un reduce di una guerra combattuta a colpi di cyber-attacchi e incursioni informatiche, un truffatore che ha messo il naso negli affari delle organizzazioni sbagliate. Ma è un fuorilegge provvisto di un suo codice morale, un po’ come un personaggio di Sergio Leone o un ronin.
Uno dei temi ricorrenti nelle tue opere, presente anche in Karma City Blues, è la Singolarità Tecnologica, questo punto di non ritorno in cui le tecnologie si sviluppano oltre la nostra comprensione. Nel romanzo presenti molte tecnologie frutto della Singolarità: quali sono a tuo avviso quelle che ritieni più interessanti e che potrebbero effettivamente avverarsi tra quelle che hai immaginato nel romanzo?
Il mondo di Karma City Blues, come quello di Briganti che lo precede di alcuni anni, è in fin dei conti un mondo tardocapitalista, quindi in definitiva più simile al nostro presente di quanto potrebbe apparire a prima vista. In tutta onestà spero che nessuna delle fantasticherie tecnologiche presentate in questi romanzi arrivi mai ad avverarsi in un contesto come quello attuale: anche le più interessanti, come ovviamente sarebbero i traguardi nel campo dell’intelligenza artificiale, sarebbero inevitabilmente distorte dalla logica egemone del mercato, finendo col dissipare il loro potenziale dirompente in termini di ricadute sociali e culturali e andando a fornire ulteriori strumenti di controllo e sfruttamento a discapito delle fasce più deboli e vulnerabili.
Sotto un profilo puramente simbolico, resto comunque molto affezionato all’idea della psicografia, che in fondo rappresenta metaforicamente il tentativo di superare un limite naturale, di riscrivere regole che diamo per acquisite e ormai immutabili.
Piccola parentesi: quanto siamo vicini, secondo te, ad una Singolarità Tecnologica o a qualcosa di simile? Considerando che ormai temi come l'intelligenza artificiale sono all'ordine del giorno e ne parlano tutti, non solo gli informatici o gli appassionati di fantascienza…
Non lo so, davvero. In cose come questa è facile prendere cantonate madornali. È vero, l’attenzione che circonda la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale è ormai continua e periodicamente si torna a parlare di Singolarità, ma in entrambi i casi mi sembra che il grosso del dibattito non riesca a smarcarsi da una dimensione provinciale, di vedute ristrette, e sia più che altro volto a nutrire l’ego di chi si sente in dovere di pronunciarsi, senza alcun reale intento (o capacità) di arricchire la riflessione critica sul tema specifico. Basti ricordare tutto il bailamme apocalittico che ci viene propinato alla prima occasione su temi come la disoccupazione tecnologica, le self-driving cars, le innovazioni che ci renderebbero sempre più poveri… e così via. Sembra che nessuna epoca storica possa fare a meno dei suoi spauracchi.
D’altronde ogni politico o opinionista ha i suoi cavalli di battaglia, pur di evitare l’onere di parlare con serietà di ciò che sarebbe veramente ora di affrontare: reddito minimo universale, transizione energetica, cambiamento climatico, ageing society. Tanto per cominciare. Ogni volta che un opinionista o un politico ricadono nelle solite banalità, magari appena prima di indicare l’ennesimo specchietto per le allodole, non posso fare a meno di domandarmi in che mondo vivremmo oggi se negli ultimi trent’anni avessimo letto almeno tanta fantascienza come nei trent’anni precedenti. Prima di chiudere gli occhi sul nostro presente, abbiamo chiuso la mente all’idea stessa del futuro. E questo è il risultato.
La trama del romanzo scivola in varie direzioni, ma le due più importanti sono Roi/Del Nero che deve capire chi lo ha tradito in passato e spedito in prigione e dall'altro c'è l'incarico per cui è stato risvegliato. Ma quello che più mi ha intrigato del romanzo è anche lo scenario sociale, economico e politico che descrivi. Come nasce il mondo che c'è dietro Karma City Blues?
Riallacciandomi a quanto dicevamo poco fa, potrei risponderti che per noi appassionati di fantascienza, come sai bene, e non solo della fantascienza dei nostri padri e dei nostri nonni, ma anche della science fiction al passo coi tempi (globalizzata, diversificata, ibrida, contaminata, audace, sfrenata…), parlare di Singolarità è un modo come un altro per richiamare l’attenzione sulla necessità di tornare a guardare avanti, di recuperare una visione prospettica e considerare che il futuro è il tempo in cui si svolgerà il resto della nostra vita, che auspichiamo duri a lungo, per cui sarebbe se non altro una scelta di semplice buon senso fare in modo di renderlo il più accogliente, inclusivo, libero e sicuro possibile. Per questo quando parliamo di Singolarità Tecnologica non è molto diverso da quando parliamo di cambiamenti climatici: in entrambi i casi presentiamo iperoggetti (per dirla con Timothy Morton, di cui Nero Editions ha da poco portato in Italia l’omonimo lavoro), che ci impongono un cambio di paradigma per elaborare strategie di sopravvivenza efficaci.
Karma City Blues, tra le altre cose, affronta proprio il tema dei rischi esistenziali teorizzati da Nick Bostrom, ovvero quei possibili eventi catastrofici di portata globale che potrebbero determinare l’estinzione della civiltà come la conosciamo. E se è vero che l’avvento di una intelligenza artificiale potrebbe rappresentare di fatto la nostra «ultima invenzione», mi è piaciuto immaginare un ecosistema di IA in competizione tra di loro: IA predatrici, IA canaglie, IA custodi, etc. a muovere i fili dello spettacolo, con gli umani ridotti a nient’altro che marionette nelle loro mani.
Anche in questo romanzo uno dei “personaggi” principali è Napoli, futuristica certamente, ma anche con un passato storico che non può essere ignorato. Quanto è stato facile o difficile immaginare il futuro di una città complessa e a stratificata come Napoli?
Oltre che per motivi di campanilismo, quando ho scelto di ambientare queste storie a Napoli, l’ho fatto per una ragione in particolare: a parte un romanzo di Francesco Grasso (2038: la rivolta) e un racconto di Giuseppe Lippi (Il lago d’inferno), non mi risultavano altre storie ambientate sulle rive del golfo. Ne avrei scoperte altre, in seguito, ma all’epoca mi sembrava promettente far collidere lo slancio dell’immaginazione proiettata verso il futuro con un contesto socioculturale dal forte spirito identitario come Napoli, una città che non solo è molto legata alle sue peculiarità e alle sue tradizioni, ma è anche molto attaccata alla sua immagine nel mondo. Io Napoli per la verità la conosco poco, avendola frequentata purtroppo solo come turista o al più pendolare del fine settimana, quindi tutto ciò che scrivo sul suo conto è inventato di sana pianta: è la traduzione su carta di una città che non esiste da nessun’altra parte se non nella mia testa.
Il Kipple, la cintura di spazzatura semi-senziente che circonda la città, si arricchisce anche di alcune creature di sicura provenienza lovecraftiana? Chi sono e che ruolo hanno?
Ho pensato che poteva essere un esperimento interessante trasportare alcune creature della cosmogonia lovecraftiana in un contesto ipertecnologico. Cyberpunk e Lovecraft formano sicuramente un’abbinata singolare, ma in questo modo ho potuto omaggiare e declinare in un colpo solo due delle mie maggiori passioni giovanili, a cui continuo a sentirmi avvinto da un solido legame affettivo. I cosiddetti nibbi della Barriera, che riprendono nelle fattezze i Magri Notturni, mi permettono di portare avanti anche un discorso sul mercato del lavoro, spingendo agli estremi il lento ma sistematico processo di erosione dei diritti che interessa i lavoratori in ogni angolo del mondo. In Corpi spenti avevamo le spaziali, che in maniera analoga diventavano a loro volta il fulcro di una sottocultura urbana, e in quel caso l’omaggio era tutto per Samuel R. Delany.
La storia, il ritmo, le scene e i personaggi di Karma City Blues hanno un taglio decisamente cinematografico. Quanto il cinema come arte influenza la tua scrittura, se la influenza?
Tanto, senza dubbio. Il montaggio delle scene, l’intreccio e i dialoghi sono fortemente debitori della lezione di un certo cinema: quello del già citato Sergio Leone, sicuramente, ma anche di Michael Mann, Christopher Nolan, Kathryn Bigelow o Denis Villeneuve. Ed è altrettanto vero che da qualche anno a questa parte la mia scrittura risente di un forte influsso da parte della serialità televisiva: Life on Mars, Battlestar Galactica, Westworld, True Detective, hanno molto da insegnare in termini di equilibrio tra intrattenimento e densità concettuale. Senza dimenticare gli anime: come riconosco nella postfazione, Ghost in the Shell e Cowboy Bebop sono codificati nel DNA di Karma City Blues. Mi piacerebbe riuscire ad applicare nelle cose che scrivo la stessa formula portata all’eccellenza da tutti questi titoli e dagli autori citati.
L'ultima domanda è quasi naturale: prima o poi scriverai una nuova avventura di Vincenzo Briganti? O dobbiamo aspettarci altri personaggi e storie ambientate nello stesso universo di Karma City Blues?
La risposta è sì, a entrambe le domande. Briganti ha ancora molto da raccontare e l’unica cosa che mi dispiace è dover lasciar passare così tanto tempo tra un’uscita e la successiva, ma non riesco proprio a dedicarmi a un’unica storia alla volta. Anche per questo sicuramente andrà avanti anche questo filone parallelo inaugurato da Karma City Blues: ci sarà almeno un’altra storia, per chiudere il cerchio e annodare alcuni fili lasciati in sospeso. E poi chissà. I piani in fondo sono fatti per essere stravolti.
Grazie per questa chiacchierata e per l’ospitalità! E lunga vita a Delos, una rivista senza la quale adesso non starei qua a parlare dei miei romanzi, semplicemente perché i miei romanzi non esisterebbero nemmeno.
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