1

Carina imprecò e sputò con rabbia sul manto erboso. Una pianta simile a un’orchidea si era spezzata, riversando sui pantaloni della linfa violacea, viscosa come olio di macchina. Si pulì con un panno la melma maleodorante e poi lo gettò a terra.

Guardò attorno a sé. Strinse il fucile al petto e avanzò facendo attenzione a dove appoggiava i piedi: il terreno era disseminato di arbusti nodosi che si intrecciavano in modo infido. Rompersi una caviglia in una di quelle trappole avrebbe potuto costarle la vita.

Sperò che Levi, quel damerino, non si fosse perso nel frattempo. A quell’ora doveva averla già preceduta alla navetta.

Dovevano sbrigarsi: uno dei soli gemelli stava per transitare dietro la luna più grossa di Epsilon-1 e una lunga eclissi avrebbe oscurato la zona di pattugliamento. La giungla che aveva fagocitato la colonia abbandonata dei Lepridi, di giorno era sonnolenta e silenziosa ma con l’oscurità si animava lasciando spazio alla lotta per la sopravvivenza.

Con tutti gli orrori pieni di denti e artigli che erano in agguato nella vegetazione, si domandava come i Lepridi, somiglianti oltre che per aspetto anche per temperamento ai conigli terrestri, fossero riusciti a scalare la piramide evolutiva e diventare la razza dominante del pianeta.

Raggiunse la radura dov’erano atterrati. Levi gironzolava come un ubriaco attorno alla scialuppa: trascinava il passo, sguardo a terra, facendo ciondolare il fucile attorno al collo, nel più totale sprezzo delle minime precauzioni di sicurezza contro le specie indigene. Che imbecille!

Il ragazzo si accorse di lei e le corse incontro: – Maggiore, è tornata. Tutto bene?

– Perché cazzo te ne sei andato, Levi? – urlò, battendogli l’indice sul petto. – La prima regola! Ricordatene: stare sempre con il compagno di squadra. – Lo spinse di lato. – Sei andato per i fatti tuoi e sei scappato come una femminuccia: se non avessi avuto la mappa sarei potuta marcire dentro il labirinto dei tuoi amici conigli.

Le sue labbra esangui fecero da misera cornice a un ghigno spaventato. – Ho avuto un malore.

Carina strinse le mani a pugno e le portò ai fianchi: Levi dovette capire che quella non bastava come giustificazione perché continuò: – C’era un cunicolo che le sonde non avevano rilevato. L’ho percorso finché sono incappato in uno sbarramento: un accesso sigillato. All’interno c’era un complesso di locali con migliaia di corpi mummificati.

Carina capì che si era imbattuto in un’altra fossa comune dei Lepridi. Lo prese per il colletto della tuta mimetica e lo sbatté contro la scialuppa. Il ragazzo inciampò sulla rampa e cadde a terra; i suoi occhi erano rossi e sembrava prossimo a piangere.

– Ricomponiti, femminuccia!

– Erano duri, come il cuoio. Si sono sbriciolati davanti ai miei occhi – Levi parve non averla sentita. Si stropicciava le dita, dando l’impressione di poterne sentire ancora la consistenza. – Anche questa volta erano cuccioli ed esemplari in età avanzata. Hanno atteso la morte in quelle cripte, senza reagire.

Carina lo rimbrottò con la voce deformata dalla rabbia: – Svegliati Levi. Con il tuo piccolo cuore da terrestre provi pena per dei conigli morti centinaia di anni fa piuttosto che per tutte le vittime di Moon City. Hai mai versato una lacrima per loro, ipocrita?

Era successo dieci anni prima, trecentodieci contando il viaggio criogenico. Sentiva ancora nelle narici quell’olezzo di umanità ammucchiata sopra se stessa. Lei aveva conosciuto il tormento che si prova quando le persone che ami sono le stesse a toglierti il poco ossigeno che ti è concesso. Quando il governo della Terra aveva spento i ventilatori per sedare la rivolta, i primi a morire erano stati proprio vecchi e bambini.

Levi abbassò lo sguardo a terra, senza dire niente.

Carina, paonazza in volto, accarezzò l’impugnatura del coltello di sopravvivenza che le pendeva dalla cintura.

Un gorgoglio rauco si levò da una macchia di vegetazione poco distante dal perimetro: qualcosa di abbastanza pachidermico da smuovere le chiome degli alberi si stava svegliando dal torpore.

Carina indicò il cielo. – L’eclissi sta per iniziare e faremmo bene a filarcela.

Trecento anni di criosonno erano passati in un attimo per tutti i membri della spedizione; non avevano dissipato i rancori dell’ultimo conflitto e la stessa missione, un’operazione congiunta tra Luna, Terra e Marte, era una polveriera a causa di asti ancora non sopiti.

2

Quando erano a metà del tragitto verso la base insediata su Epsilon-1, la radio di bordo cominciò a gracchiare.

– Maggiore Carina, qui è il centro orbitale. È richiesta la sua presenza a bordo.

– Negativo. Stiamo tornando verso la base. Faccio carburante e vi raggiungo domani mattina.

– Non c’è tempo, maggiore. Si diriga qui, può rifornirsi da noi. Questa convocazione ha la massima priorità. – La radio tacque.

Carina sbuffò e si rivolse a Levi, che stava sul sedile appena dietro di lei: – Hai sentito? Indossiamo la tuta di alta quota e il respiratore. Andiamo a fare un giretto nello spazio.

Prese la cloche e la tirò verso di sé, facendo impennare il muso della scialuppa verso il cielo.

– Odio quando cambiano i programmi – sbottò lei. – Non c’è mai una volta che si riesca a iniziare una missione e a concluderla. Un giorno ordinano di proteggere dei convogli, poi ti richiamano per una perlustrazione e adesso di corsa all’astronave. Mi domando se il comitato scientifico ha idea di quello che fa.

– E invece lei saprebbe sempre cosa fare… – borbottò Levi. Lei gli schioccò un’occhiata obliqua: la stava provocando?

Stette al gioco: – Certo, io avrei già ordinato di terraformare tutto, invece che perdere tempo nei cimiteri dei conigli. Voi paleontologi dovreste mollare il tablet, impugnare una zappa e coltivare un orticello.

– Sono uno xenosociologo – protestò il ragazzo. – E noi siamo una missione esplorativa.

– Senti, ragazzino, per un giorno deponi il tuo snobismo terrestre. C’è gente che annaspa in cubicoli artificiali per proteggersi dal vuoto dello spazio e altri che vagano per deserti rossi così lontani dal sole che una lampadina li riscalderebbe di più. Le risorse per queste missioni scientifiche, maledetta me che ne faccio parte, dovrebbero essere utilizzati per qualcosa di utile alla gente.

Levi rimase in silenzio ma abbozzò un sorriso sardonico.

– Ti diverte? – si spazientì lei.

– Trovo ironico il fatto che lei ragioni come i Lepridi che tanto disprezza.

– È un’offesa, ragazzino? – Carina si irrigidì sul sedile. – Perché se lo è, puoi fare di meglio.

– Tutt’altro. I Lepridi erano disinteressati al progresso tecnologico e dedicavano tutti gli sforzi al benessere delle conigliere.

– Se sono stati capaci di imbarcarsi verso altri sistemi stellari, erano abbastanza progrediti – lo punzecchiò Carina.

– Bisogna guardare in prospettiva – spiegò lui. – Hanno sviluppato il volo spaziale a velocità quasi-luce da oltre centomila anni, ma lo hanno utilizzato soltanto cinque secoli fa per abbandonare il pianeta in massa. Questa vitalità improvvisa mi ha stupito: hanno stagnato per epoche, ma hanno dato una svolta quando è servito.

– Perché aspettare tanto per andarsene? – domandò la donna.

–Anche se abbiamo testimonianze sul loro passato antico, ci sono scarse informazioni sugli ultimi secoli di storia. Quasi ci fosse stata una censura. Abbiamo ricostruito uno scenario interessante dai pochi reperti rinvenuti. Viene rappresentato un imminente disastro su scala planetaria: Epsilon-1 distrutto, investito da lingue di fuoco.

– Apocalisse? – ironizzò Carina.

– Delle peggiori. La nana bianca, attorno a cui orbita Epsilon-1, si sta cibando della gemella e presto raggiungerà una massa tale da degenerare in una nova.

Carina lo fissò sgomenta. Il ragazzo abbozzò un sorriso sardonico: – Stia tranquilla: abbiamo stimato che, al tasso di accrescimento attuale, il processo impiegherà migliaia di anni. I Lepridi devono avere sbagliato le previsioni o comunque aver preferito levare le tende in anticipo.

3

Carina approdò al centro orbitale. Era ciò che rimaneva dell’astronave criogenica con cui lei e gli altri membri della missione erano arrivati su Epsilon-1.

I corridoi stretti che stava attraversando, le facevano riaffiorare ricordi di trecento anni prima, quando da ragazza percorreva, sgomitando, i tunnel umidi e soffocanti di Moon City, la città insediata sulla faccia nascosta della Luna.

I pochi posti in cui poteva trovare un po’ di pace, lontano dalla ressa, erano quei saloni disseminati di superfici vetrate. I lunari preferivano starsene al sicuro nelle profondità delle basi sotterranee: la vista dello spazio ricordava a tutti che erano in un labirinto per topi alla mercé della Terra.

Lei invece amava quelle oasi di solitudine, rischiarate dalle stelle e mai dalla maestosità del pianeta blu, così vicino ma inaccessibile. Non le rimaneva che affacciarsi agli oblò, per spiare gli hangar orbitali e le decine di navi interstellari ancora in costruzione. Giovane e ingenua vedeva in quei muti riflessi metallici un’uscita da quella prigione in cui era costretta a risparmiare ogni respiro. Si era illusa che un giorno avrebbe varcato quei ponti luccicanti per abitare mondi nuovi, paradisi simili alla Terra.

Invece si era trovata a scortare dei damerini terrestri, che preferivano affondare il naso nella merda di alieni a centinaia di anni luce da casa, piuttosto che dedicarsi a cause più utili.

In quel momento poi, si trovava al cospetto del gran visir dei damerini, il direttore scientifico della spedizione: il dottor Foretti.

Il vecchio li aveva messi al corrente delle ultime novità: non erano più gli unici ad orbitare attorno a Epsilon-1.

– Da quanto tempo quel colosso è lì? – chiese Carina indicando gli schermi. L’astronave di forma cilindrica e allungata era visibile soltanto mettendo a confronto centinaia di fotografie di una minuscola porzione di cielo, prese a diversi intervalli di tempo. L’immagine ricostruita al computer era molto sgranata, come se avesse subito una distorsione.

– Chi può dirlo? I dati risalgono a un mese fa ma ce ne siamo accorti solo da una settimana. Quando siamo arrivati nel sistema di Epsilon-1 non c’era di certo. – Foretti si tolse gli occhiali e li pulì con un panno. – La base a terra ha puntato i propri strumenti ma non l’ha rilevata.

– Radar e spettrometri gravitazionali? – chiese lei.

– Niente. Le nostre scansioni a lungo raggio non la rilevano. Come se non ci fosse.

Un qualche dispositivo di occultamento ipotizzò lei

– Vi siete messi in contatto con l’oggetto? – domandò Carina.

– Abbiamo tentato più volte ma non abbiamo ottenuto neanche un ping di risposta.

– Può essere un velivolo dei conigli? – Carina si rivolse a Levi.

– Poco probabile: quella specie di sigaretta spaziale è almeno cinquanta volte più grande delle navi lepridi – borbottò il ricercatore. – Anche la forma è diversa: i conigli, come li chiama lei, avevano delle navi con una struttura a piramide inversa che ricorda i loro alveari e capace di ospitare una biosfera che sostentava un numero limitato di individui. Chi non era tra questi… be’ adesso giace nelle fosse.

– Potrebbero averla realizzata in un momento successivo: un nuovo design – suggerì Foretti.

– E a che scopo lasciarla nascosta? Secondo me quel gigante è qui da poco – concluse lo xenosociologo.

– Continuate i tentativi di mettervi in contatto. Io tornerò sulla navetta e mi avvicinerò – dichiarò Carina.

– Limitiamoci a osservare per ora – suggerì Foretti.

– Direttore, a voi scientifici piace perdere tempo in analisi e teorie quando la realtà è a un palmo dal naso – si stizzì lei. – Quell’astronave è lì da almeno un mese: ha avuto tutto il tempo per studiarci. Se avesse avuto qualche intenzione bellicosa, ci avrebbe già spazzato via. Levi, preparati, verrai con me.

Il ragazzo sgranò gli occhi.

– Non farti strane idee: nell’ipotesi che la nave sia dei Lepridi, vorrei che ci fossi pure tu.

4

Una tenue luce rossa illuminava la stretta cabina di comando: il motore principale era saltato e la scialuppa si sostentava soltanto sul sistema propulsivo di emergenza. Erano alla deriva.

Che grave errore ho commesso!

Carina era riuscita a stabilizzare la navetta solo dopo mezz’ora. Un missile aveva centrato la sigaretta spaziale a cui si erano avvicinati e uno sciame di detriti li aveva investiti.

Pochi secondi dopo il radar si era riempito di puntini bianchi, comparsi dal nulla.

Nel quadrante a cavallo tra le due lune, lì dove era partito l’attacco, era sbucata una formazione di velivoli cuneiformi. In un altro settore erano apparse dieci sigarette spaziali. I due schieramenti avevano ingaggiato subito battaglia.

Carina si accorse che il centro orbitale era sparito dai rilevatori. Provò a contattare Foretti, ma non ebbe risposta. Forse tutto il complesso spaziale era stato distrutto.

Si premurò delle condizioni di Levi, che gemeva massaggiandosi le tempie: – Ancora vivo? – Gli si avvicinò.

– Non mi tocchi! Sono sporco di vomito e mi gira la testa – starnazzò lui, pulendosi gli angoli della bocca. – Che è successo?

– Quando ci siamo avvicinati alla sigaretta è scoppiato il finimondo – disse il maggiore con un tremito nella voce. – Siamo finiti nel mezzo di uno scontro e sospetto che ne siamo la causa.

All’esterno, echi silenziosi di bagliori verdi e vampate arancioni sfolgoravano lo spazio, segno che la battaglia stava ancora infuriando. Assistettero impotenti allo scontro che adesso si consumava in prossimità della stratosfera del pianeta.

Una vampata più intensa delle altre quasi la accecò; ci furono ancora un paio di vampate e poi lo spazio fu rischiarato soltanto dai riflessi pallidi dei due satelliti di Epsilon-1.

– Penso che ci sia un vincitore – concluse Carina: sul radar erano rimaste soltanto tre navi cuneiformi. Erano visibili a occhio nudo: la loro sagoma si stagliava sulla superficie globosa della luna maggiore. Carina ipotizzò che, fino a quel momento, ambo gli schieramenti si fossero nascosti, per tendersi un agguato. Il primo a svelare la propria posizione, avrebbe dato un vantaggio e un bersaglio visibile ai propri avversari. Avvicinandosi con la scialuppa avevano smascherato il nascondiglio delle sigarette.

Levi emise un’esclamazione di stupore e incollò la faccia all’oblò: – Oh mio Dio! Lo sapevano.

Carina inarcò il sopracciglio: – Sì certo, probabilmente si aspettavano di subire un’imboscata. Altrimenti non si sarebbero occultati.

Poi la donna si sporse sul finestrino, seguendo lo sguardo del ragazzo. Il cielo di Epsilon-1 si stava tingendo di lunghissimi filamenti grigi e cremisi: erano scie di rottami che stavano piombando nell’atmosfera. Ma non fu quello a farla inorridire, quanto le chiazze rosso fuoco che devastavano la superficie del pianeta: i danni collaterali dello battaglia lo avevano ridotto a una crosta fumante. La base terrestre era di certo rimasta polverizzata.

La radio cominciò a emettere delle scariche. Il maggiore cominciò ad armeggiarci fino a che si sintonizzò su una frequenza dove c’era un messaggio preregistrato con una squillante voce umana: “A tutti i membri della repubblica di Sol e Sirio: sulla base dei trattati interstellari di Alpha Centauri, vi ordiniamo di identificare la vostra posizione per procedere al rimorchio all’interno della nave coloniale Stella Lontana. Consideratevi prigionieri dell’Impero Coloniale. Invito i superstiti della spedizione scientifica di Epsilon-1 a fare lo stesso e prepararsi all’atto di sottomissione alle Colonie”.

5

Carina si fermò in un corridoio esterno della Stella Lontana e guardò fuori dall’oblò. Quel che rimaneva di Epsilon-1, stava marcendo sotto una cappa cinerea. Striature di un rosso accesso graffiavano il pianeta, lì dove le bordate delle astronavi da guerra ne avevano solcato la crosta fino al magma.

Con questo sigillo i Coloniali avevano siglato un’importante vittoria contro l’altra fazione umana. Dalle chiacchiere di corridoio Carina aveva ricostruito cosa era successo: l’impero coloniale aveva tallonato come un segugio i propri nemici. Li aveva finalmente braccati su Epsilon-1 dove i repubblicani si erano fermati a fare rifornimento di deuterio, propellente molto abbondante in quella regione per via dello scambio di materia tra i due soli gemelli.

– Oggi sono arrivate altre due astronavi. I Coloniali non si danno pace: vorranno riaprire la caccia a qualche altra sigaretta repubblicana – ipotizzò Carina.

Levi scrollò le spalle e sbuffò: – Ho sentito che sono dei vettori di terraformazione. Sarai felice di sapere che condividono i tuoi stessi propositi: vogliono colonizzare il pianeta.

– Penso che sia una buona idea, sì. Epsilon-1 ha bisogno di un padrone che lo rimetta in sesto. Ma non provo alcuna gioia: gli ideali per cui valeva la pena sbattersi non esistono più. Il futuro che volevamo costruire è morto il giorno che abbiamo lasciato il sistema solare. Adesso bisogna pensare a sé stessi.

– Trecento anni di criosonno ci hanno tagliato fuori – ammise Levi. – Grazie al volo superluminale sono arrivati qui soltanto un paio di anni dopo di noi, pur partendo mesi fa.

– Che rabbia! – Carina batté il palmo contro il vetro. – Abbiamo fatto tutto per niente.

Poi si rivolse a Levi: – Perché ti hanno prelevato l’altra settimana?

Il ragazzo si grattò la testa: – I Coloniali hanno recuperato delle banche dati dai relitti del centro orbitale. Mi hanno fatto lavorare sui server per recuperare più informazioni possibili. Volevano sapere se i Lepridi potessero essere dei validi alleati nella guerra contro la repubblica di Sol e se fossero in possesso di qualche tecnologia da sfruttare. Sono rimasti delusi dai risultati.

– Davvero? Hanno convocato anche me per chiedere la stessa cosa – buttò lì Carina.

Il ragazzo parve irrigidirsi per un attimo e poi sorrise: – Mi pare giusto avere un secondo parere.

– Può essere. – Fece spallucce. – Gli ho spiegato che non ero un’esperta: le mie mansioni erano solo di supporto tattico. Mi sono limitata a ripetere tutte le teorie con cui mi hai instupidita questo periodo.

Levi si bloccò, raggelato. Poi sussurrò: – Anche…

– Ho tralasciato la questione dell’apocalisse, Levi. Anzi ho nascosto le tracce che hai seminato quando hai manomesso i dati che la riguardavano. – Poi incrociò le braccia e aggiunse: – Se vuoi darmi un motivo per continuare a tacere, è il momento.

Levi sospirò: – Sapevo che i Lepridi erano un popolo di pianificatori. Non immaginavo quanto fino a qualche settimana fa. Quello a cui abbiamo assistito dalla scialuppa, era la fine di Epsilon-1 proprio come ritratta nei reperti. Una coincidenza? – Fece una pausa. – L’unica spiegazione è che i Lepridi siano capaci di capire cosa accada nel futuro.

– Degli indovini?

Levi mugugnò come se la descrizione non calzasse alla perfezione.

– Dei veggenti, piuttosto. Le visioni devono arrivare molto in avanti nel tempo, dato che sono scappati cinquecento anni prima del disastro. – Si bloccò e poi si corresse: – Anzi, prima del nostro arrivo. Fuggendo, stanno proteggendo il loro segreto.

– Perché celarcelo? Se lo condividessero con noi, potremmo migliorare il futuro assieme – si eccitò Carina.

– Per il beneficio di chi? Se quei cani rabbiosi dei coloniali li acciuffassero, li sfrutterebbero come un’arma contro i propri avversari. – Levi scrollò la testa: – La verità è che l’umanità non è in grado di padroneggiare questa conoscenza. – Poi si animò di un fervore genuino: – I Lepridi invece si sono adattati a questa capacità: ha permeato la loro evoluzione e cultura. L’esempio più drastico sono le fosse comuni che abbiamo trovato: nessuna delle vittime si è opposta, sapendo che il proprio destino era ineluttabile.

– Smettila di metterli su un piedistallo. Quello di cui blateri è fatalismo: roba da smidollati – s’innervosì lei.

– Dice che è meglio agitare i pugni e sbattere i piedi a terra come avete fatto a Moon City? Tanto trambusto per nient… – Non riuscì a terminare la frase. Carina si mosse fulminea e sferrò un cazzotto al volto del ragazzo, facendolo ruzzolare a terra.

Lo sguardo di rabbia con cui fulminò Levi, fu ricambiato da uno altrettanto gelido di odio. Il giovane si massaggiò lo zigomo e sibilò: – È questo l’atteggiamento insensato di cui parlo. Cosa ha ottenuto?

– Una bella soddisfazione – ribatté lei, sfregandosi le nocche arrossate. Poi continuò: – Più parli e più sono convinta che il tuo posto dovrebbe essere tra i Lepridi. Chissà se ti accoglierebbero o ti riserverebbero un posto nelle fosse comuni.

Levi scosse la testa senza nascondere il disprezzo: – E ora cosa pensa di fare?

– Penso che baratterò l’informazione per farmi una vita agiata su Asterion: dicono che sia il mondo Coloniale più simile alla Terra. Sono stufa di girovagare nello spazio o esplorare terre selvagge. Se poi loro vorranno gettarsi all’inseguimento dei Lepridi, non è affare mio.

Levi rise di gusto: – Anche se quei cagnacci ci provassero, non li catturerebbero mai. I Lepridi conosceranno le loro mosse con almeno cinquecento anni di anticipo.

– Se sono così bravi a eluderli, allora potevi risparmiarti la fatica di manomettere i dati dai server. Mi pare che anche tu fai trambusto per niente oppure temi che la loro fuga non sia sufficiente. – Sorrise maligna nel vedere spegnersi l’espressione divertita dell’altro. Gli diede una pacca sulla spalla tutt’altro che amichevole: – Vedrai che sarà una bella caccia. Correte leprotti, correte!