Delos 22: Racconto racconto di
Conosciamo Giorgio Ginelli, milanese, da una quindicina d'anni. Da quando, nei primi anni Ottanta, insieme animavamo il Club City. Ha pubblicato racconti su molte fanzine e riviste, e attualmente scrive articoli di informatica su Applicando.
Vi giuro che finora mia figlia non aveva mai manifestato nessuna eccentricità, nessuna stravaganza. Certo, molta curiosità, come è normale che sia in ogni bambina di sei anni.
Da quindici giorni era in vacanza con i nonni, nella loro casa al mare, e per il fine settimana io e mia moglie siamo andati a far loro una visita. E fin qui tutto regolare. Non sospettavamo minimamente che nostra figlia fosse in grado di reggersi in perfetto equilibrio su una bicicletta senza l'aiuto di rotelle montate sulla ruota posteriore. Siamo rimasti piacevolmente sorpresi, io e mia moglie, nel vederla sfrecciare su e giù per il cortile della casa.
Un po' meno entusiasti i nonni; capisco la suocera, che non riesce a provare entusiasmo per fatti che possono produrre guai e grattacapi. Il suo atteggiamento tipico nei confronti dei fatti è di genere esponenziale e tende sempre al quadrante negativo: bicicletta uguale giri fino alla spiaggia uguale prima o poi cadi e ti fai male. I corollari di mia suocera sono ferrei, ricorsivi e immutabili.
Ma il suocero no, anzi: proprio perché il pensiero della suocera tende all'infinito, il suo, in virtù di una personale legge di compensazione, tende a zero. Perciò normalmente avrebbe dovuto essere entusiasta fino al parossismo e avere già scorrazzato la nipotina in lungo e in largo per tutta la città.
Invece, per la durata del week end, ad ogni mia esortazione ha cercato di minimizzare la cosa. Pensavo per modestia; mio suocero è uno di quelli che in quanto a modestia sa il fatto suo: -- Sai... be', sì... in effetti, sono riuscito a farle imparare solo da una settimana... ma è stata brava lei e non certo io... Vuoi del vino da portare su, a casa?
Quando mio suocero cambia discorso repentinamente vuol dire che proprio vuol cambiare discorso e inutili sono i tentativi di farlo ritornare al dialogo originario. Per cui: -- Sì, una decina di bottiglie, grazie -- e la conversazione finisce lì.
Il suo atteggiamento però continuava a rodermi; tant'è che nel pomeriggio del secondo giorno porgo con fare suadente e disinteressato una domanda esplorativa a mia figlia: -- Ma sei contenta che il nonno ti ha finalmente insegnato a pedalare sulla bicicletta?
-- Certo papi. Vuoi che ti faccio vedere come sono brava?
-- Ho visto ieri, grazie. Ma... -- continuando nell'indagine, -- non siete mai andati in giro, qua intorno?
-- Mm... un pochino.
Ora: "un pochino" concepito da mia figlia è una dimensione variabile da niente a tanto così. Anzi, più che una dimensione è una considerazione; può essere stato un isolato, che per la prima volta potrebbe bastare, come potrebbe essere stato un tragitto fino alla frontiera più vicina -- che è molto lontana per la normale percezione dello spazio, ma che da lei viene considerato "un pochino" in virtù dell'eccitazione che la animava.
-- Vuoi fare un altro giretto? -- chiedo con sospetto e inquietudine.
-- Sììì... Con te, papi? -- e non aspetta nemmeno la mia risposta e siamo già in sella. -- Vuoi che ti porto in un bel posto, papi?
I suoi occhi stavano brillando. Raramente vedo gli occhi di mia figlia brillare e in quel momento assumono sempre un alone sinistro. -- Come? Non ti basta il giro dell'isolato? Andiamo fino al ponte?
-- No, papi. "Intorno" alla casa -- segnala lei con un movimento rotatorio del braccino, rimarcando sull'avverbio per poi proseguire con la voce ridotta a un sussurro: -- Intorno alla casa dell'Unicorno! -- Sì, proprio così, con l'iniziale maiuscola.
La settimana prima le avevo portato come regalino un bellissimo libro illustrato di Michael Hague dal titolo Il Mondo degli Unicorni. Un libro tridimensionale, di quelli che apri il volume e le illustrazioni sorgono dalle pagine. Ne era rimasta modestamente affascinata; se l'era fatto leggere solo tre volte nel corso della giornata. Sono i momenti in cui invoco a gran voce l'intervento formativo della scuola.
-- L'Unicorno... quello...?
-- Dai, papi. Andiamo che ti faccio vedere.
La sua bicicletta è un riciclo di qualche nipote: è bassa e le ruote sono minuscole. Per pedalare deve fare uno sforzo tremendo e una mia pedalata normale si traduce in quattro giri forsennati delle sue gambine. Un giro dell'isolato rappresenta dunque un considerevole sforzo fisico; ma anche mentale, in quanto ci vuole molta concentrazione per cercare di pedalare con una traiettoria più o meno retta.
Penso sia questo a creare il problema. O meglio: senz'altro la bicicletta è la principale imputata, ma il suo dolce e tenero cervellino non è che sia completamente innocente. Cioè, credo sia il binomio bicicletta/piccola-bambina-incredibilmente psicoattiva che genera il problema.
Non erano le solite case quelle che vidi svoltato l'angolo: vi giuro che erano le case fungo disegnate sul libro di Hague. Non erano i soliti pini marittimi che costellavano il viale: erano contorte e nodose -- e facciute -- querce che salutavano il nostro passaggio.
-- Là, papi... Il cancello dell'Unicorno!
Effettivamente stavo guardano sulla mia sinistra un arabescato cancello che sembrava fatto di marzapane. Dietro quello, mi assicurava mia figlia, si celava agli occhi del mondo un magico Unicorno. Non stentavo a crederlo. Anzi, ne ero certo alla quindicesima potenza.
-- Ora ci sei tu e il cancello non sia apre... -- mormorò mia figlia impegnata nello sforzo fisico di mantenere una pedalata costante. -- Se potessi venire da sola, forse...
Svoltammo altre tre volte passando in mezzo a funghi sorridenti e fate luccicanti, ma alla fine la sua pedalata calò e ci ritrovammo a in un luogo che i miei sensi riconobbero come "casa"; la piccola era sfinita dallo sforzo propulso nella pedalata. -- Sono un po' stanca, papi...
Questo significava solo una cosa: che dovevo caricarmela di peso sulla mia bici e raggiungere casa. Mi guardai intorno; forse era quel grosso fungo a pallini bianchi che nascondeva la casa del suocero alla mia vista. Appena l'avrò superato tutto mi parrà diverso e questa situazione solo un incubo lontano.
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