Philip K. Dick, a oltre trentacinque anni dalla morte, è uno scrittore i cui romanzi
e racconti sono di grande attualità. Se ne sono accorti il cinema – che ha razziato, negli scorsi decenni, molte sue opere, con risultati altalenanti – e la televisione, che lo sta ora riscoprendo (si vedano le serie TV The Man in the High Castle e Philip K. Dick's Electric Dreams). Ma molte delle sue visioni sono già il nostro presente, sembrano raccontare i nostri tempi. Non si può non rimanere impressionati, infatti, dall’originalità dei suoi scritti e da quell’alone quasi mistico che circonda il personaggio.
Prendiamo Blade Runner, ovvero Il cacciatore di androidi, (titolo originale Do Androids Dream of Electric Sheep?), un romanzo di fantascienza scritto da Philip K. Dick nel 1968 da cui è stato tratto nel 1982 il celebre film Blade Runner di Ridley Scott.
La storia è collocata in un futuro distopico. Nell’anno 1992, infatti, la Terra è al collasso, numerose specie animali si sono estinte o sono in via d’estinzione e la polvere successiva alle radiazioni di un grande conflitto nucleare mette a rischio la stessa sopravvivenza dell’uomo, che è costretto ad emigrare in colonie extramondo su Marte.
Alcune industrie si sono specializzate nella produzione di replicanti, sia umani che animali, ma visto che alcuni di questi sono diventati pericolosi per la specie umana, per neutralizzarli vengono reclutati dalla polizia i Blade Runner, cacciatori di taglie specializzati nel “ritirare” i replicanti. Il protagonista del romanzo, Rick Deckard, è tra loro.
Nella società in cui vive Rick, l’individualismo sta prendendo il sopravvento rispetto ai valori dell’uomo e per ristabilire un principio di solidarietà in molti si affidano a una religione chiamata Mercerianesimo. Si tratta di una pratica mistica attuata mediante l’interfacciamento a un dispositivo chiamato scatola empatica, collegandosi alla quale appare la figura di un vecchio che scala una montagna bersagliato da lanci di pietre. Il suo nome è Wilbur Mercer.
Parallela alla storia di Rick Deckard si sviluppa quella dell’ingegnere di animali robotici J.R. Isidore, un cosiddetto cervello di gallina per le ridotte capacità cognitive. L’uomo vive da solo in un palazzo prima di stringere amicizia con una replicante che, insieme al gruppo di androidi in fuga dai Blade Runner, si rifugeranno nel suo appartamento.
La solitudine, l’amore, il trascendente e la religione, la distruzione del pianeta, il rapporto dell’uomo con la macchina, sono gli argomenti che affiorano tra le pagine, affrontati attraverso il racconto dei personaggi della storia.
In Italia il libro è stato pubblicato con titoli diversi negli anni: prima Il Cacciatore di androidi, poi Blade Runner, per essere successivamente ritradotto da Fanucci con Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, ben più aderente all’originale. In questa ultima edizione, Fanucci ha riproposto il romanzo utilizzando di nuovo il titolo cinematografico, approfittando della recente uscita del film nelle sale: Blade Runner 2049, attesissimo sequel dell’originale.
Secondo alcuni critici, Blade Runner è inferiore ad altri capolavori di Dick, ma in realtà esso contiene tutti i temi cari allo scrittore statunitense: le dicotomie reale/non reale, umano/non umano, repressione, droga, relazioni sentimentali difficili con le donne. Con Blade Runner siamo di fronte a un capolavoro della fantascienza e non solo. È uno di quei romanzi in cui la narrativa di genere varca i propri confini per diventare letteratura vera e propria. La vastità e la profondità dei temi affrontati e l’analisi critica dei personaggi che traspare dalle pagine meritano un approfondimento che va al di là della semplice recensione. E la lettura di questo libro giustifica da sola l’ampia mole di studi critici dedicati a questo straordinario autore.
Originale, fantasioso, in una parola visionario, Blade Runner rappresenta un’occasione per riscoprire uno dei più geniali autori del Novecento.
Anche un altro capolavoro di Dick è di una visionarietà unica. Stiamo parlando di Ubik.
L’ambientazione è quella di in un futuro in cui grandi corporation si combattono usando i precog, una sorta di telepati. Lo spionaggio commerciale si è trasformato in una guerra combattuta anche sfruttando i poteri paranormali. Telepati e telecinetici si sforzano dunque di carpire i segreti delle grandi aziende multinazionali e al fine di neutralizzare le spie dotate di poteri paranormali si attivano delle vere e proprie agenzie di neutralizzazione. Per una di queste, di proprietà di Glen Runciter, lavora il protagonista principale, Joe Chip.
Runciter ha perso la moglie quando era molto giovane ma grazie al meccanismo di surgelamento in semi-vita è riuscito a mantenerla in uno stato di non-morte. Si reca da lei periodicamente per avere dei consigli su come gestire la compagnia e lo fa attraverso un moratorium, uno dei tanti centri di riposo dei defunti, dove è possibile – a fronte di una somma di denaro – collegarsi con i propri cari estinti.
Tra Joe e Runciter non c’è solo un rapporto tra dipendente e datore di lavoro, ma anche un’amicizia basata sulla reciproca stima. Joe Chip è una persona completamente incapace di gestirsi economicamente ed è indebitato fino al collo in un mondo dove tutto è a pagamento e persino aprire e chiudere l’uscio di casa costa 5 centesimi.
Joe ed altri inerziali vengono reclutati da Runciter per una missione sulla Luna ma qualcosa va storto: l’esplosione di una bomba causa la morte di Runciter e i restanti inerziali dovranno organizzare il contrattacco guidati da Chip.
Dopo l’esplosione cominciano inoltre a verificarsi eventi sempre più strani e inquietanti. Tutte le cose regrediscono: oggetti, case, auto. Gli aerei diventano velivoli a elica, le auto moderne si trasformano in macchine degli anni trenta, le farmacie in vecchie erboristerie…
In un intreccio sempre più fitto di vicende surreali e colpi di scena inaspettati, il romanzo volge verso un epilogo in un crescendo di suspense e paura. La sensazione è quella di essere intrappolati in un incubo partorito dalla folle mente di Philip K. Dick. Joe Chip e gli altri protagonisti si troveranno implicati in episodi surreali e grotteschi, in un mondo intriso da un’oscura atmosfera di morte.
La trama fluisce in direzioni imprevedibili lasciando il lettore senza punti di riferimento, con la sensazione di essersi inoltrato in una dimensione diversa, in un universo esclusivo che appartiene solamente alla mente del geniale autore americano e al suo stile unico e irripetibile. In questo romanzo si possono apprezzare sia gli elementi classici della scrittura di fantascienza, come l’interferenza di due piani di realtà, uno dei quali in continuo mutamento, sia alcune delle principali caratteristiche dello stile di Dick: la dissoluzione della trama, l’umorismo cupo e un fondamentale pessimismo di fondo. Tra le tematiche emerge l’interesse dell’autore verso lo gnosticismo e in particolare verso quella figura del creatore che ebbe grande influenza nella scrittura di questo romanzo e una sempre maggiore importanza negli ultimi anni di attività di Dick. Ubik si rivela nel capitolo finale del libro come il Verbo, raffigurato nel logo di un comune prodotto commerciale:
Io sono Ubik. Prima che l’universo fosse, io ero. Ho creato i soli. Ho creato i mondi. Ho creato le forme di vita e i luoghi che esse abitano; io le muovo nel luogo che più mi aggrada. Vanno dove dico io, fanno ciò che io comando. Io sono il verbo e il mio nome non è mai pronunciato, il nome che nessuno conosce. Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome. Io sono e sarò in eterno.
Una “premonizione”, potremmo dire, che calza a pennello per il Dick scrittore: ha creato mondi, personaggi, storie incredibilmente visionarie e per questo sarà sempre eterno.
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