Introduzione

Quest'anno (2018) cade il trentennale della scomparsa di due grandi e fondamentali autori di fantascienza, Robert A. Heinlein e Clifford D. Simak, senza i quali con ogni probabilità la fantascienza sarebbe stata molto diversa da quella che conosciamo, perché ci hanno lasciato romanzi capaci di ridisegnare il genere in maniera innovativa. E se è vero che, come accusava Stanislaw Lem, la fantascienza americana non sapeva sfuggire ai fini smaccatamente commerciali a scapito della qualità, tuttavia Heinlein e Simak, pur senza ignorare tale scopo, seppero emergere rispetto ai coevi connazionali come giganti in una mare di mediocrità, esprimendo liberamente la propria poetica e le proprie idee con risultati di buon livello tecnico e artistico.

Per qualità di scrittura forse i più grandi autori della fantascienza classica statunitense restano Ray Bradbury, Philip Dick, Ursula Le Guin e Theodore Sturgeon, tuttavia Heinlein e Simak, dalla prosa più avvolgente e graffiante il primo, più poetica e malinconica il secondo, vengono subito a ruota e meritano di essere (ri)scoperti. D'altronde per molti autori di sf la potenza di un’idea contava più della qualità della scrittura e proprio Heinlein lo ribadì in più di un'occasione, anche se il passo qui riportato avrebbe magari dovuto essere riferito più all'età matura che alla già di per sé adattabile gioventù:

Per la sopravvivenza e la buona salute della razza umana, una semplice storia di fantascienza, scritta rozzamente, contenente una sola nuova idea degna di attenzione, è più preziosa di un’intera biblioteca di romanzi non scientifici (non-science fiction) scritti splendidamente. In un senso più ampio, tutta la fantascienza prepara i giovani a vivere e a sopravvivere in un mondo di cambiamenti continui, insegnando subito loro che il mondo cambia. Dal momento che questo è l’unico mondo che abbiamo, la fantascienza conduce nella direzione della salute mentale, dell’adattabilità.

Dal punto di vista scientifico e tecnologico, a così tanti decenni di distanza dalla pubblicazione i loro visionari libri potranno apparire superati, eppure i migliori non solo risultano comunque assai godibili, ma talvolta riescono perfino a rivelarsi ancora attuali. D'altronde non di rado quelle che un tempo potevano apparire semplici fantasie, “fantascemenze” le definì la buonanima di Mike Bongiorno, col tempo si sono trasformate in invenzioni autentiche o in serie ipotesi scientifiche. Simak, ad esempio, scrisse sugli universi paralleli fin dagli anni trenta, quando il tema poteva davvero apparire una fantascemenza; in seguito, tuttavia, le complesse equazioni a base dell'importante teoria astrofisica delle Stringhe, che permette di riunire la relatività alla meccanica quantistica, portarono a postulare gli universi paralleli come logico sviluppo della teoria stessa.

Questo scritto non vuole e non può neppure essere una disamina completa sui due autori, perché la loro bibliografia, sommata, è troppo sterminata per limitarla a un articolo per il web e perché l'autore del presente articolo non la conosce per intero, anche per la cronica scarsa reperibilità delle opere. Si è dovuto perciò effettuare un scelta almeno in parte soggettiva. Questa volta parliamo di Heinlein; in un prossimo articolo ci occuperemo di Simak.

Robert A. Heinlein

Robert A. Heinlein
Robert A. Heinlein

Benché forse meno noto al pubblico generalista italiano dei vari Asimov, Clarke, Bradbury o Dick, per chi ama la fantascienza lo statunitense Robert Anson Heinlein (1907-1988) è da sempre il re. Scrittore fluido e di piacevole lettura, è stato artefice di innumerevoli e acclamati capolavori, che hanno fatto incetta di premi specialistici. Tradizionalmente considerato, insieme ad Asimov e a Clarke, uno dei cosiddetti “tre grandi” della fantascienza, Heinlein, al contrario degli altri due, badava volutamente assai poco ai fronzoli. Era d'altronde autore di straordinaria rapidità esecutiva, privo perfino della necessità di rileggere e correggere, come ci rivela in proposito un aneddoto del suo amico Isaac Asimov:

…Ci torno sopra, correggo gli errori di ortografia, di grammatica e di sintassi (…) Un giorno Bob mi chiese come mi regolassi quando scrivevo, e io glielo raccontai. Lui disse: “Lo scrivi due volte? Ma perché non lo scrivi subito bene la prima?”

Cioè alla maniera, è sottinteso, in cui era solito fare (Bob) Heinlein. Beh, se davvero si comportava come riferisce Isaac, visti i risultati allora era davvero un genio.

A ogni modo Heinlein è stato scrittore prolifico e si è dedicato sia a opere di fantascienza adulta sia a opere di fantascienza per ragazzi, alternando trame di pura avventura a trame maggiormente legate a serie riflessioni politico sociali. Ebbe inoltre l'idea, allora assai originale, di collegare molti suoi racconti e romanzi in uno sfondo comune, al fine di delineare un'ideale “Storia futura”. E fu tra i primi a pubblicare un racconto fantascientifico, l'ottimo Le verdi colline della Terra, su una rivista patinata estranea al genere, il prestigio Saturday evening post.

Nonostante presenti vari buoni spunti, non riuscì a pubblicare il suo primo e peraltro immaturo romanzo A Noi vivi (1938-1939), apparso postumo nel 2003.

Tuttavia nella prima fase della carriera, pur tra inevitabili alti e bassi, colpì sovente nel segno, grazie ad opere tanto stringate quanto efficaci, meritatamente destinate a diventare dei classici. Su tutte spicca il brillante e consigliatissimo Orfani del Cielo (Orphans of the sky, 1941) uscito in Italia anche come Universo, cioè la storia, all'epoca assai originale benché non la prima in assoluto su tale tema, di un viaggio generazionale nel cosmo, di cui i passeggeri hanno ormai perso il significato perché i discendenti dell'equipaggio originario, suddivisi per motivi a loro ignoti tra esseri umani normali e mutanti in guerra gli uni con gli altri, hanno perduto le cognizioni scientifiche, trasformatesi in una complessa serie di superstizioni pseudo religiose. Ignorando perfino di trovarsi a bordo di un'astronave, tutti credono che il limitato luogo in cui vivono sia l'intero universo, fino a quando qualcuno non comincia a sospettare la verità, molto difficile da accettare. Un capolavoro del genere.

Tra i suoi primi scritti merita però una segnalazione almeno anche il notevole Il mestiere dell'avvoltoio (The unpelasant profession of Jonathan Hoag), che pur rientrando nell'ambito della fantascienza, ha qualcosa sia del fantasy sia dell'horror, per giunta con un andamento da poliziesco. Scritto nel 1942 eppure gustoso ancor oggi, attanaglia subito il lettore con il mistero, che col procedere della storia si fa sempre più angoscioso, in cui i due innamoratissimi coniugi protagonisti, investigatori privati, si trovano coinvolti. Stranamente l'uomo che li ha assunti, Jonathan Hoag, non riesce a ricordare cosa faccia durante il giorno e ha chiesto loro di scoprirlo. Allora la coppia lo segue fino al suo ufficio, scoprendo però ben presto di avere accumulato ricordi inconciliabilmente diversi del pur banale pedinamento eseguito e che il luogo in cui il marito lo ha visto andare a lavorare… non c'è. E la storia cattura il lettore, guidandolo senza deluderlo fino alla tanto preoccupante quanto azzeccata rivelazione finale. Consigliatissimo anch'esso: per chi scrive si tratta di un piccolo ma egualmente autentico capolavoro, meritevole di maggiore notorietà e migliore anche di sue opere più acclamate.

Oltre, però, a essere autore di classici idolatrati dal pubblico specializzato, Heinlein fu anche una persona scomoda in ambito culturale, dura nelle proprie convinzioni filosofiche e capace di attirare su di sé critiche tanto feroci quanto contraddittorie, per la tanto ingenua quanto falsa convinzione che le storie raccontate debbano per forza rispecchiare il punto di vista di chi le scrive, anche se effettivamente non pochi suoi personaggi risultano tra loro un po' troppo somiglianti per non riflettere almeno in parte le idee e la personalità dell'autore.

Una scena di Starship Troopers di Paul Verhoeven
Una scena di Starship Troopers di Paul Verhoeven

Gli accadde ad esempio con Fanteria dello Spazio (1959), romanzo da cui è stato tratto il film omonimo (in inglese) Starship Troopers di Paul Verhoeven, che lo fece giudicare un reazionario se non addirittura un fascista. Crudo e riuscito racconto di addestramento militare e poi di guerra contro feroci alieni somiglianti all'incirca a ragni, è raccontato dal punto di vista di un capace adolescente filippino entrato nell'esercito terrestre e testimonia l'importanza centrale che, nelle idee di Heinlein, avevano le forze armate e il servizio militare.

Lo splendido e creativo Straniero in terra straniera (Stranger in a Strange Land, 1961), di cui è in via di realizzazione una serie televisiva, suscitò invece l’opinione contraria, essendo una sorta di manifesto per il libero amore, ed ebbe un intenso riflesso sui media, divenendo uno dei primi quanto rari bestseller della fantascienza. Si guadagnò tuttavia una fama sinistra, perché oltre a essere stato adottato, quasi come una seconda Bibbia, da numerose comunità hippy anni sessanta, a quanto pare sarebbe stato preso a modello anche dalla famigerata “famiglia” di Charles “Satana” Manson, l'appena scomparso promotore dei famosi omicidi nella Villa Polanski.

Si tratta di una caustica e a tratti grottesca satira sulla società americana, vista dal punto di vista di un giovane, Mike Smith, naufragato neonato su Marte, allevato dai marziani e rimandato da costoro sulla Terra per studiare i comportamenti dei terrestri. Il protagonista creerà così una nuova filosofia, mutuata dal pensiero marziano, e fonderà una comune, nella quale si praticherà l’amore libero (uno dei leit motiv prediletti di Heinlein, peraltro non del tutto esente da maschilismo figlio del suo tempo), colma di evidenti connotati socialisti benché immersa in una realtà capitalista. E Mike sarà pronto a giungere, nelle vesti di novello Cristo-Messia, fino alle estreme conseguenze.

Pur scontando il difetto di un’eccessiva verbosità, il libro, forse capolavoro dell'autore, è godibile e ricco di spunti, come ad esempio il seguente passo, pronunciato da uno dei personaggi e che potrebbe effettivamente rappresentare anche il punto di vista dell’autore:

Sono un artista onesto, ciò che io scrivo, lo scrivo per raggiungere il cliente… e se possibile per ispirargli pietà o terrore… o per lo meno per svagarlo nelle ore di noia. Non mi nascondo mai dal lettore per mezzo di un linguaggio personale, e non cerco l’elogio degli altri scrittori per la mia tecnica o per cose del genere. Io voglio l’elogio del cliente, perché sono riuscito a raggiungerlo, espresso in quattrini… altrimenti non voglio nulla.

Ciò che sembra emergere dalla sua opera complessiva è una sorta di darwinismo sociale, per cui “la sopravvivenza razziale è l'unica moralità universale”, ottenibile grazie alla libertà individuale e alla creatività di quei pochi che rappresentano il meglio dell'umanità.

A testimoniare le sue qualità artistiche e letterarie, Robert Heinlein in carriera ha vinto ben quattro premi Hugo per il miglior romanzo dell’anno, il prestigioso riconoscimento assegnato annualmente alla convention mondiale della fantascienza. Due proprio per Straniero in terra straniera e Fanteria dello Spazio, a riprova che, malgrado le polemiche, nell'ambiente fantascientifico capivano perfettamente lo spessore dell'autore. Il terzo, o per meglio dire il primo, lo ottenne per Stella doppia (Double Star, 1956), riuscito plot su un bravo attore teatrale che, chiamato a sostituire in alcune occasioni ufficiali il potente Presidente del Sistema solare, al momento indisponibile, allorquando quest'ultimo verrà assassinato si troverà costretto a prenderne definitivamente il posto, trasformandosi a tutti gli effetti nel personaggio che stava interpretando.

L'ultimo arrivò invece per l'incisivo 

(The moon is a Harsh Mistress,1966). Quest'ultimo è una descrizione, pragmaticamente scarna e distaccata, di una rivoluzione condotta e vinta da una popolazione fondamentalmente anarchica, facendo quasi apparire normale qualsiasi delitto, ottenuta grazie al decisivo aiuto di Mike, la prima intelligenza artificiale giunta all'autocoscienza. I ribelli, abilmente guidati da questo computer intelligente, allo scopo di conquistarsi un numero sufficiente di proseliti tra la popolazione indifferente, indurranno con cinismo la parte avversa a scatenare una violenza indiscriminata fino a farsi odiare da tutti. La storia è raccontata dal punto di vista del tecnico Manuel Kelly, divenuto quasi senza volere uno dei capi della rivolta. E naturalmente alcuni critici vollero vedere nel romanzo l'ideale abbraccio dell'autore all'anarchismo.

Giustamente premiati, meritano tutti e quattro di essere letti.

Nel frattempo l'autore, giunto all'apice della sua tecnica di scrittura, cominciava a dilatare le proprie opere, perdendo sempre di più il dono dell'essenzialità che ne aveva caratterizzato gli inizi. Negli anni '60, pur deragliando talvolta nel tentativo di spiegare la società descritta, risulta ancora molto efficace, ma non altrettanto si può dire dei decenni successivi. Infatti, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, invecchiando Heinlein finì per farsi prendere la mano, ampliando i propri testi all'inverosimile e accentuando i propri difetti anziché smussarli. Gli ultimi romanzi sono tutti tanto monumentali quanto per lo più pesanti, al limite dell'illeggibilità.

Lazarus Long l'immortale (Time Enough for Love, 1973) è il romanzo in cui più di tutti espone la propria filosofia di vita, al punto da rendere il personaggio del titolo italiano un vero e proprio alter ego. Benché sia forse in assoluto il più lungo, tutto sommato regge ancora abbastanza bene, essendo le sue 600 pagine ricche di avvenimenti in cui l'autore si assume il compito ad ampio respiro di tirare le fila della sua storia futura. In esso scioglie i nodi rimasti al pettine fino a giungere a una conclusione definitiva, giustificandone quindi la lunghezza e risultando piacevole malgrado non pochi momenti morti motiverebbero uno sfoltimento.

Per inciso in esso recupera il protagonista del divertente e avventuroso classico I figli di Matusalemme (Methuselah's Children, 1958), avvincente romanzo su una selezione genetica diretta all'allungamento della vita.

Invece altri romanzi tardivi, come Il numero della bestia (The number of the Beast, 1980), che nonostante la trama scoppiettante basata sugli universi paralleli, in cui utilizza personaggi reali e immaginari, compreso i propri ripescati da altre opere, s'impantana dopo un buon inizio, oppure Non temerò alcun male (I Will Fear No Evil, 1970), sono talmente massicci e contorti da risultare di fatto illeggibili. Quest'ultimo è perfettamente esemplificativo dei suoi difetti. Il romanzo racconta di un imprenditore, ormai quasi centenario ma ancora lucido, che investe il proprio danaro in una tecnica chirurgica sperimentale mai provata su un essere umano: il trapianto del cervello.

Nonostante lo scetticismo generale l'operazione riesce perfettamente, ma quando il protagonista, Joahan Smith (tedesco immigrato negli Stati Uniti e nato col cognome Schmidt), si riprende, scopre che il suo nuovo corpo ospite è quello di una donna, Eunice, la sua avvenente ex segretaria, assassinata da criminali, di cui era stato segretamente innamorato. E se già in Straniero… e in La luna… i dialoghi tendevano a farsi più consistenti e ripetitivi che in passato, Non temerò alcun male è addirittura basato quasi esclusivamente sui dialoghi, che rappresentano un buon 90% della lunghezza totale del romanzo. Bene, direte voi, allora la lettura risulterà più scorrevole della norma. Sarebbe così se i dialoghi fossero concisi, purtroppo invece la necessità di mostrare e spiegare tutto attraverso di essi, senza chiarificazioni in terza persona, sommata alla naturale tendenza dell'autore alla ridondanza e alla divagazione, produce una verbosità assassina. Eccovi un esempio scelto quasi a caso:

– Non ne sono sorpreso. Signorina… fratello Schmidt, come vuole che la chiami? In privato.

– Be', o 'Joan' o 'Eunice'. Preferibilmente con tutti e due i nomi, dal momento che vorrei che nessuno si dimenticasse mai di Eunice Branca. Io, meno di tutti: voglio che mi si ricordi sempre la mia benefattrice. Ma in privato non mi chiami 'signorina'. Sentite fratelli, come 'fratello Schimdt' ho almeno cinquant'anni più di voi… ma come 'Joan Eunice' ho appena qualche settimana di vita. Tuttavia il corpo di Eunice è quello di una giovane donna, ed è ciò che sto imparando, che devo imparare a essere. Potreste avere delle figlie della mia età. Per cui vi prego, chiamatemi 'Joan Eunice' e risparmiatevi il 'Signorina Smith' per le udienza in tribunale.” Sorrise. “Oppure fratello Schmidt, se preferite, anche se i fratelli del mio capitolo mi chiamavano Yonny.

Disse Alec: – Joan Eunice, fratello Yonny Smith, sono lieto di chiamarla come preferisce, e non ho figlie della sua età, e lei mi fa sentire più giovane solo a guardarla. Ma non parlo a nome del mio compagno di stanza e non vorrei proprio dirle che età hanno certi suoi rampolli; era il flagello della scuola 238: stia lontana da lui e mi permetta di proteggerla. E le ho già detto quanto sia felice che la signora Seward mi abbia silurato? Fratello Joan Eunice, non mi sarei mai…

Eccetera, eccetera. Per il sottoscritto (che non è riuscito, evento assai inconsueto, a terminare il libro), il passo poteva essere condensato in metà righe, risparmiando giri di parole e chiacchiere vuote, tanto più che molti dei concetti presenti erano già stati espressi in precedenza. E poi chi mai parlerebbe davvero così? Dieci pagine di tal tenore possono anche andar bene, ma cinquecentotrenta sfidano l'umana sopportazione. Evitate accuratamente i suoi romanzi tardivi e diffidate delle critiche positive che li riguardano.

Due parole infine sui suoi libri per ragazzi, i cosiddetti juveniles. Inevitabilmente alcuni di essi oggi  appaiono improbabili e fin troppo puerili, vedasi l'artificioso Una famiglia marziana (Podkayne of Mars, 1963), senz'altro meritevole del dimenticatoio, altri al contrario dimostrano un notevole spessore e vanno ritenuti tra le sue opere meglio riuscite, godibili da un pubblico di qualunque età. Tralasciamo Fanteria dello spazio, romanzo inserito in tale ambito per la minore età dell'io narrante ma del tutto adulto e non a caso rifiutato dall'editore specializzato a cui Heinlein era solito rivolgersi. A patto di saper ignorare quella che oggi sarebbe un'assurdità, cioè astronavi la cui rotta debba essere calcolata utilizzando tavole cartacee anziché un programma di computer (o immaginando che sia il computer di bordo a guastarsi anziché le tavole di calcolo ad andare smarrite), vale semmai la pena di ricordare Starman Jones (Starman Jones, 1953), storia di un generoso adolescente ingiustamente privato, per via delle storture di un sistema sociale dai connotati medioevali, del suo sogno di pilotare astronavi. Nel corso di una trama mordace il protagonista, grazie alla propria perseveranza e a una prodigiosa memoria eiedetica, saprà vincere ogni ostacolo, dimostrandosi infine l'unico in grado di salvare equipaggio e passeggeri durante una drammatica emergenza spaziale.

Con ogni probabilità il suo capolavoro dei juveniles è però Cittadino della galassia (Citizen of the Galaxy, 1957), che appare davvero sminuente definire per ragazzi. Romanzo di grande spessore, parte un po' come una versione fantascientifica di Kim, capolavoro, a sua volta inteso per i ragazzi, del nobel Kipling, per poi trasformarsi in una progressiva, profonda e metaforica presa di coscienza del giovane protagonista sulle ingiustizie di un mondo basato sul capitalismo sfrenato e sullo schiavismo.