Quest'anno ci si aspettava faville dal cinema di fantascienza su Netflix. Tre produzioni molto attese sarebbero arrivate direttamente sul canale streaming: The Cloverfield Paradox, Mute e Annihilation. Dopo aver visto i primi due cominciamo ad avere dubbi anche su cosa possa attenderci con l'ultimo.
Se The Cloverfield Paradox si è rivelato un film senza capo né coda, un'accozzaglia di trovate in gran parte scollegate e prive di spiegazioni logiche, con appiccita sopra brutalmente e senza necessità la mitologia di Cloverfield, Mute è invece un film con pochissime idee e una trama lineare e senza sorprese.
Brevemente: protagonista è Leo (Alexander Skarsgård, l'Eric di True Blood), un barista Amish rimasto ferito alla gola da bambino. Sarebbe stato possibile curarlo con un'operazione chirurgica, ma a causa delle restrizioni della propria religione i genitori non vollero farlo e Leo rimase muto.
Leo ama Naadirah (Seyneb Saleh), la quale ha una vita complicata e a un certo punto sparisce. Leo la cerca ovunque venendo a contatto con tutta una serie di personaggi, tra i quali il chirurgo criminale Cactus Bill (Paul Rudd, Ant-Man) e il suo amico Duck (Justin Theroux).
La vicenda è ambientata in una Berlino del futuro che assomiglia esplicitamente alla Los Angeles del 2029 di Blade Runner.
Questo è, più o meno, l'unico elemento di fantascienza del film, corroborato da qualche auto volante (ma i protagonisti vanno in giro con una vecchia Mercedes degli anni Settanta e una specie di dune buggy. Non ci sono idee fantascientifiche, situazioni fantascientifiche, tecnologie fantascientifiche. Anzi, manca la tecnologia che ti aspetteresti già oggi: Leo ha uno "smartphone" che sembrerebbe preistorico anche oggi; ci sono i droni che consegnano i pasti a domicilio; in compenso ci sono gli elenchi telefonici con i numeri degli abbonati. Per trovare una persona Leo non trova di meglio che scorrerselo tutto pagina per pagina.
Jones ha passato parte della sua infanzia a Berlino, e il tema del rapporto figli-genitori è centrale nel film (che è dedicato al padre, David Bowie, e alla donna che lo ha cresciuto dopo il divorzio dei genitori, Marion Skene).
Forse anche per questo la Berlino del futuro, a parte un po' di roba volante, non la apprezziamo praticamente mai; passiamo da vicoli bui a camere di bordelli a cantine, una sequenza di luci al neon e strade buie viste dal basso, le cose che potevano restare impresse nella memoria di un bambino trascinato in giro da una figura fuori da ogni normalità come suo padre Bowie. Non riesce a entrare sotto la pelle, però. Le scene danno spesso l'impressione di essere un set, le scenografie dei locali non hanno nulla di speciale, la trasgressione si limita a un po' di androginia o qualche vestito strano.
Nulla è davvero approfondito. Leo è Amish, ma questa parte della sua vita non emerge in alcun modo se non per il fatto si essere muto e di indossare le bretelle. C'è una sfilata di maschere: Robert Sheehan (Misfits) che fa la prostituta trans, Noel Clarke (Doctor Who) che con l'amico Robert Kazinsky (Pacific Rim) fa il boss della malavita, Dominic Monaghan (Lost, Lord of the Rings) vestito da geisha, ma di loro non sappiamo nulla, sono sagome di cartone.
L'unico personaggio un po' più complicato è Cactus Bill, interpretato da Paul Rudd, cinico ma premuroso, spietato ma dotato di codice morale, sboccatissimo ma pronto a offendersi. Che cerca in tutti i modi di ottenere dei documenti per potersene andare insieme alla figlia.
Il film dura più di 120 minuti, che con un po' di editing e qualche taglio di cui si sente la necessità avrebbero potuto essere almeno una trentina di meno, e giunge alla conclusione che più o meno ci si aspettava, riuscendo lo stesso a farla apparire forzata e deludente.
Un ultimo dettaglio: si era parlato di un collegamento con Moon, il primo film di Jones, e della presenza di Sam Bell, il personaggio di Moon interpretato da Sam Rockwell. In realtà non è così: Sam Bell compare solo per pochi istanti, in uno schermo televisivo che sta documentando il processo che vede coinvolti i vari cloni di Bell tornati sulla Terra.
Duncan Jones ha esordito con Moon nel 2009, produzione di fantascienza a basso budget con un'idea molto originale e ben giocata. Nel 2011 ha girato una produzione a budget più alto, Source Code, e nel 2016 il blockbuster fantasy Warcraft: L'inizio. Questo Mute avrebbe dovuto essere il film che sognava di fare fin dall'inizio della carriera.
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