Sandro Battisti e Giovanni De Matteo sono due dei tre fondatori del Connettivismo (il terzo è Marco Milani), il movimento letterario e artistico che più di dieci ani fa ha rivoluzionato la fantascienza italiana. Tante antologie, perfomance artistiche, video, fumetti, convention e premi e riconoscimenti vari: il Connettivismo ha conosciuto in questi anni una crescita esponenziale, tanto da attirare l'attenzione anche fuori dall'Italia.
Recentemente Delos Digital ha pubblicato in ebook e in cartaceo Nuove Eterotopie. L'antologia definitiva del Connettivismo con 16 racconti scelti tra il meglio della produzione del movimento e un romanzo breve di Bruce Sterling, ospite davvero speciale di questa raccolta, nonché una postfazione di Salvatore Proietti, critico letterario e docente di Letteratura angloamericana all'Università della Calabria che ha raccontato molto da vicino il Connettivismo fin dalla nascita. L'antologia contiene racconti di Giovanni Agnoloni, Sandro Battisti, Umberto Bertani, Roberto Bommarito, Simone Conti, Giovanni De Matteo, Fernando Fazzari, Francesca Fichera, Roberto Furlani, Lukha B. Kremo, Domenico Mastrapasqua, Marco Milani, Marco Moretti, Umberto Pace, Alex Tonelli, Francesco Verso.
Curatori Battisti e De Matteo a cui abbiamo rivolto alcune domande per fare il punto sul Connettivismo e per parlarci di Nuove Eterotopie.
Facciamo prima di tutto un bilancio di questi oltre dieci anni di Connettivismo: cosa è rimasto degli obiettivi originali e c'è qualcosa che non si è ancora realizzato rispetto a quanto vi eravate riproposti nel lontano 2004?
Battisti: Quello che ricordo di allora non è poi molto, dal mio punto di vista non avevo la percezione di star inizializzando qualcosa d’importante, era un libero corso di idee galvanizzanti che ci accomunava tutti, e con l’energia e la felicità tipica degli adolescenti ci siamo buttati a capofitto nel progetto, proponendoci a vicenda idee in cascata; ricordo che durante i primi mesi Fantascienza.com segnalava praticamente ogni settimana le nostre iniziative, a volte davvero particolari e originali.
In quei primi giorni c’interessava soprattutto rimappare il continuum fantascientifico, lo facevamo alla luce delle nostre inclinazioni e considerazioni sul basso futuro, era un tentativo immediato di dar voce al sentimento strisciante sulle nuove potenzialità umane che allora correva in Rete, era un’onda forse europea o mondiale, non saprei dirlo, ma che di per sé era qualcosa d’innovativo e di sommerso.
Devo dire che se ora mi guardo indietro trovo in me la stessa attitudine di allora, anche se affinata, espansa, modificata, implementata, ma comunque intrisa di voglia di confine, di avanguardia, d’incessante ricerca del nuovo; da questo punto di vista, il Connettivismo è per me ancora irrealizzato, perché non si smette mai di speculare sulle idee, sui temi, sulle ambizioni di smembramento del reale in rivoli probabilistici. Per il resto posso dire che abbiamo già fatto molto, anche se quel molto agli occhi dei nostri giorni m’appare come Preistoria.
De Matteo: Sono stati dieci anni di grandi traguardi e inevitabili soddisfazioni. Per esempio, i romanzi di diversi autori che si riconoscono come connettivisti (o anche, perché no, come nostri “compagni di strada”) si sono affermati con successo al Premio Urania, che come sappiamo è il principale riconoscimento italiano per un romanzo di fantascienza. Ma oltre a questo siamo riusciti a coinvolgere nei nostri progetti nomi di primo piano del panorama fantascientifico e fantastico tout court italiano: Evangelisti, Masali, Altieri, Lippi, Valla, Arona, per citarne solo alcuni, hanno contribuito con prefazioni, racconti e articoli alle nostre uscite collettive, antologie e riviste; un segno inequivocabile della nostra capacità di coinvolgimento e aggregazione, che credo deponga a favore della credibilità della nostra proposta. Il sostegno poi di due pezzi da novanta della fantascienza mondiale, Richard K. Morgan (prossimamente su Netflix con la serie lungamente attesa tratta dalla sua fondamentale trilogia di Takeshi Kovacs e Quellcrist Falconer) con un suo contributo nell’edizione in lingua inglese di Next e, in Nuove Eterotopie, nientemeno che Bruce Sterling (già co-fondatore del cyberpunk, oltre che di un’altra mezza dozzina di iniziative artistiche) con un romanzo breve inedito e in anteprima assoluta, è stata la ciliegina sulla torta: caso più unico che raro, non solo per la fantascienza ma oserei dire per la letteratura italiana nella sua totalità, non abbiamo atteso l’arrivo dell’onda con i consueti vent’anni di ritardo per metterci nella scia dei colleghi inglesi e americani, ma abbiamo intercettato una sensibilità in via di definizione e ci siamo cimentati in temi di una certa rilevanza direttamente in prima linea, sul fronte dell’onda: come la tecnologia sta modificando la nostra società, ma anche il nostro essere umani; quali sfide porta con sé un progresso che sta già accelerando al di fuori delle nostre possibilità di controllo; e così via.
Credo che una parte significativa del successo derivi da una prospettiva certamente informata e influenzata dal canone angloamericano, ma anche capace di esprimere la nostra specificità italiana, però con una vocazione, se vogliamo, mediterranea ed europea. L’ottimo riscontro critico che abbiamo ottenuto anche da studiosi d’oltreoceano, per esempio con la professoressa Arielle Saiber, docente di Lingue e Letterature Romanze al Bowdoin College, che dedica da tempo un’attenzione costante ai nostri risultati, dimostra la bontà del processo di crescita che abbiamo fin qui percorso.
Se manca qualcosa – e va bene così, per carità, altrimenti avremmo potuto già tirare i remi in barca da un pezzo – è certamente la capacità di coinvolgere un maggior numero di autrici, dalle cui penne arrivano oggi molte delle più interessanti nuove prospettive sul genere (penso per esempio ad Annalee Newitz, Aliette de Bodard e Vandana Singh, quest’ultima in particolare quasi un’autrice connettivista a sua insaputa! [ride, N.d.R.], ma numerose sono anche le voci autorevoli che stanno plasmando la fantascienza italiana di questi ultimi anni); così come pure la capacità di diffondere le nostre opere al di fuori del recinto di genere, rendendoci riconoscibili anche a un lettore mainstream, se così vogliamo definirlo. Ma stiamo lavorando alacremente su entrambe queste direttrici.
Non solo l'incontro tra la cultura umanistica e quella scientifica, ma anche il loro superamento in qualcosa di nuovo: mi sembra che sia questo l'elemento più interessante che il Connettivismo ha introdotto nella fantascienza, e in particolare in quella italiana. È così?
Battisti: È così, ma non c’è solo quello. La ricerca di un denominatore comune del reale, o di un disfacitore del reale per poterlo poi ricostruire in mondi alternativi, ci ha portato parecchie volte a conciliare le visioni del passato più remoto con quelle del futuro più profondo; il collante lo abbiamo trovato nelle interpretazioni quantistiche dell’universo, e ciò ci ha portato a trascendere la cultura umanistica e quella scientifica realizzando, così, una visione magmatica assolutamente unica, peculiare, vera (perché è assolutamente verosimile).
De Matteo: Diciamo che non sarebbe stato possibile niente di tutto ciò se non fossimo stati intrinsecamente curiosi e aperti alle innumerevoli possibilità del reale e dell’immaginario. Costruire ponti è un po’ il proposito che ci prefiggevamo dall’inizio: per connettere mondi diversi come appunto la cultura umanistica e quella scientifica, per metterli in corrispondenza e per farli dialogare in modo da ricavarne una sintesi sufficientemente ricca da cogliere le molteplici sfumature del mondo in cui viviamo. Dopotutto siamo immersi nella complessità: qualsiasi tentativo di riduzione, di semplificazione, derivato da un punto di vista di parte, è destinato invariabilmente a fallire, offrendo una prospettiva nel migliore dei casi monca, se non del tutto distorta. Da questo è facile cogliere anche la nostra ossessione per un “feticcio” tecnologico come l’olografia, e il nostro insistere fin dal primo manifesto sulle possibili chiavi di lettura metaforiche rappresentate da una teoria rivoluzionaria, benché poco ortodossa, come il paradigma olografico di Karl Pribram e David Bohm.
Ma parlando di fantascienza italiana ci interessava anche vincere quella che percepivamo come una vera e propria ostilità, più diffusa di quanto un neofita possa pensare, davanti alle più recenti e impegnate (nonché impegnative, certo) espressioni del genere: molti lettori della vecchia guardia lamentavano per esempio l’incomprensibilità delle opere prodotte in seno al movimento cyberpunk come pure dei più interessanti autori emersi (o ri-emersi) dalla galassia post-cyberpunk (Charles Stross e M. John Harrison, per fare due nomi), gli editori non si decidevano a tradurre autori fondamentali come Kim Stanley Robinson, che hanno sempre posto la scienza al centro dei loro lavori (per fortuna negli ultimi due anni sono stati fatti passi da gigante in avanti su questo fronte, con la traduzione da parte di Fanucci della trilogia di Marte prima e adesso di New York 2140 a soli pochi mesi di distanza dall’uscita originale), etc.
In questo senso, la nostra scelta è stata una presa di posizione, anche nel senso politico del termine: non siamo contro l’avventura, l’escapismo e le storie più soft, ma rivendichiamo il diritto di scrivere e leggere anche lavori di spessore diverso, complessi e non banali, che pongano vere e proprie sfide a chi legge. E siamo intenzionati a esercitare questo diritto fino in fondo.
Il Connettivismo è sicuramente nato in seno alla letteratura, ma si è espresso anche in altre forme artistiche: la musica, i video, le performance teatrali, il fumetto. Anche questo mi sembra un elemento innovativo rispetto alla storia della fantascienza italiana…
Battisti: Ci è sempre piaciuta l’espressione multimediale delle nostre idee, perché tutto è arte, tutto è speculazione, e mentre la parola è il nostro territorio d’elezione, è indubbio che la musica, le immagini, e altri media ancora posseggano una comunicatività e intuibilità assolutamente irraggiungibile dalle Lettere; quest’ultime sono una mediazione imprecisa tra idee, emozioni e comprensione ed ecco perché, anche, abbiamo sondato tutto il continuum artistico possibile, e continuiamo a farlo tuttora.
De Matteo: È come dice Sandro. Dopotutto non è raro cogliere anche in quello che scriviamo l’eterogeneità delle nostre influenze, che spaziano appunto dall’arte alla musica, dal cinema ai fumetti, dalla poesia alle… serie TV. È naturale quindi che in base all’attitudine di ognuno di noi ci sia chi è finito a sceneggiare fumetti, chi a comporre musica, chi a curare collane di poesia, chi ancora a cimentarsi con altre forme d’arte. La copertina stessa di Nuove Eterotopie, realizzata da Ksenja Laginja, con la sua sublime sintesi di suggestioni cosmiche ed esoteriche, è un’opera d’arte perfettamente in linea con il nostro spirito. E non dimentichiamo anche quel geniale esperimento di follia situazionista che è la Nazione Oscura Caotica, fondata e presieduta da Lukha B. Kremo – anche quella una cosa al contempo fuori dai canoni e piuttosto rara nel panorama della fantascienza italiana… e non solo!
Il futuro, la sua analisi e interpretazione, è senza dubbio l'orizzonte comune che ha mosso tutti quelli che si sono riconosciuti nel Movimento. Che cos'è il futuro dal punto di vista connettivista?
Battisti: Ti posso rispondere dal mio punto di vista: il futuro, come tutto il tempo e l’ordine dimensionale spaziotempo, non esiste, è una proiezione sensoriale adattata ai nostri canali incarnati. Esiste però l’energia, noi siamo un sudario di forze avvolto da universi energetici, ed ecco perché mi è venuto spontaneo creare l’Impero Connettivo, un non luogo dove profondissimo futuro e abissale passato coesistono sul piano dell’energia, dove l’illusione è appena mediata dagli innesti postumani, dove lo sprofondare del tempo nasconde blandamente la presenza delle orrende forze arcaiche lovecraftiane, impegnate ad amministrare un continuo oscillare tra Realismo Magico e Iperrealismo.
Tutto è trascendenza, non c’è spazio per l’umano, non c’è dimensione per lo spaziotempo.
De Matteo: Credo che uno dei punti di forza più importanti dei connettivisti consista nel loro coraggio di sondare il futuro senza preconcetti o dogmatismi. Abbiamo così una varietà di approcci di numero almeno pari ai connettivisti stessi. Se non sbaglio siamo stati anche tra i primi in Italia a scrivere di Singolarità Tecnologica, ritorni acceleranti, transizioni di civiltà, scala di Kardashev, postumanesimo e rischi esistenziali: tutti temi su cui non rivendichiamo alcuna prelazione, intendiamoci, ma che senza di noi magari sarebbero entrati nella fantascienza italiana un po’ più tardi.
Un aspetto comune a molti dei nostri lavori ha un’ispirazione che definirei “ecologica”. Ci capita così di esplorare il futuro dal punto di vista dell’impatto dell’attività umana sul nostro ecosistema: non è un caso che tante opere riconducibili al connettivismo tradiscano un interesse quasi morboso per i rifiuti, gli scarti, la spazzatura; è la base su cui poggia la nostra civiltà e dalla nostra capacità di affrontare il problema dipenderà la nostra sopravvivenza come specie. Così come uno dei rischi esistenziali più concreti, una minaccia che diventa sempre più palpabile di anno in anno, è l’iper-oggetto che conoscevamo vagamente come “cambiamento climatico”, che si è rivelata tutt’altro che un’ipotesi di studio visto che comincia a presentarci il conto: siccità, inondazioni, innalzamento del livello degli oceani, profughi ambientali… sono tutte realtà tristemente all’ordine del giorno, altro che “fatti alternativi” come vorrebbero presentarceli i negazionisti del prossimo olocausto.
Non stiamo facendo granché, come civiltà, per risparmiarci decenni di sofferenze e sacrifici: ma l’alternativa all’estinzione è uscirne più forti come specie, magari evolvendo le nostre società verso modelli più equi e resilienti rispetto alla dittatura della precarietà imposta dal neoliberismo. I segnali incoraggianti latitano, è vero. Ma non dobbiamo incappare nell’errore di spegnere i riflettori, come pure quelli di cui sopra vorrebbero: la nostra riserva di rimedi in extremis, sempre più risicata, è anche pericolosamente inefficace davanti a minacce di questo tipo.
Veniamo a Nuove Eterotopie, l'ultima antologia del movimento uscita per Delos Digital. Come è nato il progetto? E spiegateci anche un po' il titolo…
Battisti: Il progetto è nato dalla fervida mente di Silvio Sosio, che ci scrisse un due gennaio di pochi anni fa chiedendoci se ci andava di tirar su un’antologia connettiva, un best of in sostanza, dandoci anche carta più che bianca su cosa fare. Poi, come si dice, l’appetito vien mangiando, e andando un po’ a ritroso tra tutti i racconti pubblicati soprattutto all’inizio del Connettivismo, a Giovanni e me è venuta l’illuminazione di provare a sondare la disponibilità di Bruce Sterling.
Sosio, in tutto ciò, è stato fantastico, ha atteso pazientemente i nostri infiniti delay con una calma olimpica che gli invidio; alla fine, però, il risultato è stato emozionante, devo dire che tenere in mano l’antologia a StraniMondi mi ha dato una sensazione di solidità e bellezza, di eleganza senza pari. Devo ringraziare ancora Silvio, non mi stancherò mai di ripeterlo…
Lo stupendo titolo? È opera della fervida mente del socio, questi guizzi cognitivi sono sempre farina del suo sacco.
De Matteo: In realtà mi sono limitato a fare da ripetitore di segnale. La parola eterotopia è un neologismo coniato dal grande filosofo francese Michel Foucault, “archeologo di saperi” come amava definirsi, per descrivere un concetto che delineò compiutamente in una conferenza del 1967, il cui testo si può trovare in un’agile volumetto edito da Mimesis qualche anno fa (intitolato Spazi Altri, proprio come la conferenza tenuta da Foucault). Personalmente sono sempre stato affascinato dall’uso che ne fece Samuel R. Delany in uno dei suoi romanzi più ambiziosi: quello che da noi è conosciuto come Triton s’intitolava infatti originariamente Trouble on Triton: An Ambiguous Heterotopia, richiamando il sottotitolo del noto capolavoro di Ursula K. Le Guin The Dispossessed (da noi conosciuto sia come I reietti dell’altro pianeta che come Quelli di Anarres), che era appunto An Ambiguous Utopia.
Nuove Eterotopie vuole in qualche modo intercettare e inserirsi in questa lunga conversazione che attraversa la fantascienza, portando avanti una riflessione sul ruolo del genere come spazio di sperimentazione, una sorta di esperimento scientifico in cui ricreare certe condizioni e farle evolvere fino alle estreme conseguenze, che dal mio punto di vista è la più straordinaria caratteristica della fantascienza, qualcosa che davvero la rende diversa da qualsiasi altro genere.
Per di più, oltre a questo, c’è anche la valenza sostanzialmente neutra del termine, che viene così a porsi a cavallo tra le utopie e le distopie e in qualche modo le abbraccia entrambe: tra i migliori esempi di eterotopia enumerati e descritti da Foucault contiamo per esempio i cimiteri (“l’altra città”, ovvero la città dei morti contrapposta alla città dei vivi, che nel nostro caso richiama anche le radici della fantascienza attraverso le suggestioni della poesia sepolcrale, in cui possiamo cogliere le prime istanze della sensibilità romantica da cui scaturirà anche il Frankestein di Mary Shelley), oppure gli ospedali, le caserme, le prigioni, i manicomi, le colonie europee in Sud America; ma, non dimentichiamolo, sono eterotopie anche i giardini, le camere d’albergo, i treni e le stazioni come anche gli aeroporti e i centri commerciali (e qui il discorso si sovrappone in maniera decisamente interessante ai non-luoghi descritti da Marc Augè, ma anche a certi spazi evocati nel nostro manifesto), i musei e le biblioteche (dove il tempo si accumula all’infinito) così come i luna park (dove invece il tempo viene sospeso ed esaltato nelle sue manifestazioni più futili, anticipando la successiva riflessione di Foucault sulle eterocronie).
E un’eterotopia è in fondo anche lo spazio che ha stravolto le nostre vite negli ultimi 10-15 anni, riscrivendo le nostre consuetudini sociali e dischiudendoci l’accesso all’immenso oceano di informazione in cui ormai viviamo immersi: internet, la Rete. In fondo una delle definizioni del connettivismo in cui tendo a rifugiarmi quando mi viene chiesto cosa sia il connettivismo, è proprio “una corrente di autori di fantascienza che hanno cominciato a scrivere nell’era di internet”. È sicuramente riduttivo e non tiene conto di troppe eccezioni, ma è vero al di là di ogni dubbio che senza il web noi non ci saremmo stati.
L'antologia presenta sedici racconti di alcuni fra gli scrittori che fanno parte del Movimento e presenta anche un romanzo breve di Bruce Sterling. La sua presenza è un po' come un cerchio che si chiude, visto che fra i vostri riferimenti c'è proprio il cyberpunk. Come è nata la collaborazione e cosa significa la presenza del co-fondatore del cyberpunk in un'antologia connettivista?
Battisti: Non ricordo esattamente com’è nata l’idea di coinvolgere Bruce, avevamo imparato a conoscerlo già da qualche anno, sapeva della nostra ammirazione per lui e noi conoscevamo il suo tenerci d’occhio. Poi probabilmente il contatto vero e proprio l’ho prodotto io, conoscevo personalmente Bruce e Jasmina per averli coinvolti in una convention connettivista del 2012 a Roma, perciò ho scritto a Sterling e lui, non appena capito di cosa stavo parlando, ha accettato entusiasticamente, producendo mail prolungate nel tempo in cui ci chiedeva se il suo costante allungare il racconto fosse gradito; racconto poi divenuto uno splendido romanzo breve, intriso di poetica tecnodecadente e di ironia, di raffinata arte cyberpunk mista a connettivismo, cui rende omaggio più volte nel racconto stesso. Non finirò mai di ringraziare anche lui.
De Matteo: Alla fine i conti devono tornare, sempre. E la presenza di Bruce ci permette di riconoscere i nostri debiti verso la corrente che ha esercitato l’influenza maggiore sulla nascita di Next e del connettivismo. Se non ricordo male fu lui a offrirci di scrivere un racconto “connettivista”, in risposta alla nostra richiesta di avere uno strillo o una prefazione per l’antologia. Cosa potevamo desiderare di meglio? Se mi ritirassi domani, mi basterebbe quello che siamo riusciti a raggiungere con Nuove Eterotopie per illuminare di soddisfazione il resto dei miei giorni…
Quale può essere, a vostro giudizio, il futuro e il ruolo del Connettivismo nei prossimi dieci anni?
Battisti: Lo stiamo già preparando, credo di poter parlare a nome di tutti dicendo che ci sentiamo come quando un trentenne guarda indietro ai suoi vent’anni e capisce che sì, la tensione emotiva è ancora quella di un tempo, ma incredibilmente aumentata di conoscenze e, perché no, di capacità personali; voglio dire che il collettivo è sull’orlo di una nuova vena creativa, in parte già sperimentata, che può potenzialmente aprirci nuove visioni che fanno già apparire le nostre precedenti realizzazioni come rozzi tentativi di espressione, la nostra Età della Pietra; abbiamo la speranza di star preparando la nostra Età Classica, e aggiungo che essere ora in silenzio non vuol dire che siamo fermi: non credo sia possibile stopparci, amiamo troppo creare.
De Matteo: Al contrario dei necrofili impegnati nel lamento perpetuo per la morte – o presunta tale – della fantascienza, credo ci siano ancora molte cose da dire e penso che i connettivisti possano fare la loro parte. Con coraggio, audacia e assumendoci i rischi che l’esposizione di far parte di un movimento inevitabilmente comporta. Vogliamo continuare a dimostrare con i fatti la nostra vocazione inclusiva. E non vogliamo in nessun caso rinunciare a cambiare nel nostro piccolo le cose. Percorriamo fin dall’inizio un sentiero irto di ostacoli, ma siamo arrivati fin qua e non ci arrenderemo certo adesso. Quindi, lettrici e lettori, ma anche autrici e autori, se siete interessati, vi basterà agganciare le nostre frequenze di trasmissione e rimanere sintonizzati.
Prima di chiudere, Carmine, lasciami ringraziare te e Delos, caposaldo storico dell’informazione e dell’approfondimento sul mondo della fantascienza, per lo spazio che ci avete dedicato. Anche il lavoro che fate su queste pagine contribuisce in maniera determinante a rendere più vitale (nonché vivibile) l’ecosistema della fantascienza italiana, quindi – confidando che la cosa non vi dispiaccia – ci permettiamo di considerarvi nostri compagni di strada a tutti gli effetti.
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