Pare che alla fine la famosa stella di Tabby (KIC 8462852 per i più precisi) non nasconda giganteschi manufatti alieni abbandonati, come speravano in molti. Nel settembre 2015 si scoprì che questa stella – distante 1280 anni-luce dal Sole, nella costellazione del Cigno – presentava fluttuazioni davvero insolite nella luminosità, registrate dal telescopio spaziale Kepler.
Tra le possibili teorie per spiegare queste variazioni, ben al di fuori delle normali scale di variazione della luminosità periodica di una stella (per capirci, anche oltre il 20% della luminosità in un solo giorno), c’è stato chi ha preso in considerazione l’ipotesi di una sfera di Dyson, una gigantesca opera ingegneristica realizzata da una civiltà extraterrestre per raccogliere l’energia del sole. Una civiltà di tipo II nella famosa scala di Kardashev, ossia una civiltà in grado – diversamente dalla nostra – di sfruttare tutta l’energia del proprio sole per i propri fabbisogni energetici.
Sebbene una simile costruzione dovrebbe lasciare una firma particolare nella radiazione infrarossa, non osservata, l’ipotesi della sfera di Dyson ha esercitato una grande attrazione sull’immaginazione degli astronomi (e non solo), convincendo quelli del progetto SETI a orientare la propria antenna in direzione della stella per mettersi in ascolto nella speranza di intercettare segnali radio. Non emerse nulla(1).
Da allora è stato un susseguirsi di ipotesi innovative per spiegare il mistero della stella di Tabby. L’ultima in ordine di tempo è il frutto di una serie di osservazioni della fluttuazione di luminosità da parte di un team internazionale di astronomi, che ha analizzato la luce in diverse lunghezze d’onda, rilevando un’emissione compatibile solo con un oscuramento prodotto da finissima povere spaziale, dal diametro di meno di un micrometro per particella. Pianeti o altri oggetti anche di natura artificiale assorbirebbero lunghezze d’onda diverse, per cui la luce ricevuta sulla Terra risulterebbe diversa da quella analizzata dagli astronomi(2). Resta, certo, da capire da dove venga tutta questa polvere, che non si è mai osservata intorno ad altre stelle in quantità tali da riuscire a coprire in questo modo la luminosità stellare; magari gli ingegneri cosmici intorno alla stella di Tabby hanno fatto esplodere qualche pianeta con la loro Morte Nera, per ragioni a noi sconosciute, o forse qualche loro esperimento andato a male ha fatto saltare in aria buona parte del loro sistema solare. O più probabilmente c’è un’ipotesi naturale.
Con l’infittirsi del mistero del “Grande Silenzio” dell’universo, le ipotesi sulla natura delle civiltà extraterrestri hanno cominciato a farsi più fantasiose. È giusto: tutto ci suggerisce che dobbiamo abbandonare il più possibile il nostro punto di vista antropocentrico nell'immaginare come possa essersi evoluta la vita altrove nel cosmo, senza necessariamente pretendere che abbia seguito i nostri stessi stadi di sviluppo e soprattutto cercando di estrapolare futuri progressi della tecnologia su scale millenarie.
Per dirne una, abbiamo iniziato a trasmettere informazione con le onde elettromagnetiche da centovent’anni circa e non c’è ragione di credere che continueremo a farlo all’infinito: potremmo presto scoprire forme di trasmissione dell’informazione più precisa, e ciò spiegherebbe perché non intercettiamo segnali radio dalle stelle (la “finestra di trasmissione” in onde radio di una civiltà tecnologica potrebbe durare solo un paio di secoli). Al SETI queste cose le sanno benissimo, tanto che oggi sono in fissa con gli impulsi laser, convinti che questi siano i mezzi di comunicazione interstellare impiegati dagli extraterrestri.
Anche la stella di Tabby, per esempio, è stata monitorata in cerca di segnali laser, che non sono stati trovati. Non solo: recentemente fisici dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics hanno suggerito che impulsi laser di civiltà tecnologiche potrebbero essere la vera causa di fenomeni astrofisici misteriosi, i Fast Radio Bursts (FRB), lampi radio di brevissima durata (pochi millisecondi) provenienti da galassie remote, dunque di immensa energia.
Per spiegarli, gli astrofisici stanno prendendo in considerazione come possibili responsabili super-buchi neri al centro delle galassie o ipernove, ma l’idea del professor Avi Loeb è che possa trattarsi di impulsi che civiltà aliene usano per imprimere l’accelerazione ad astronavi interstellari mosse da vele solari. Questa tecnologia è attualmente allo studio sperimentale con un generoso finanziamento del magnate Yuri Milner nell’ambito della Breakthrough StarShot Initiative, che progetta di spedire una sonda nel sistema di Proxima Centauri accelerandola con impulsi laser fino a un decimo della velocità della luce. Tecnologie più raffinate e potenti potrebbero, secondo Loeb, essere a disposizione dei nostri cugini interstellari. L’energia dei FRB sarebbe sufficiente, se concentrata in un fascio laser, ad accelerare a velocità sub-luce rilevanti un’astronave di milioni di tonnellate, quel tipo di astronavi che la fantascienza ci ha abituati a definire “navi generazionali”, in viaggio verso nuovi mondi al di fuori dei loro sistemi stellari di provenienza. Poiché di questi FRB ne abbiamo già individuati un po’, potrebbe darsi che questo sistema di propulsione interstellare sia usato con una regolarità dalle civiltà extraterrestri(3).
Questo tipo di ragionamento ci spinge lontano. Potremmo infatti essere tentati di spiegare qualsiasi attuale enigma astrofisico o cosmologico tirando in ballo gli alieni. Ipotizzando l’esistenza di civiltà di tipo Kardashev IV, in grado cioè di usare non l’energia di un’intera stella (come nel tipo II), e nemmeno “semplicemente” quella di un’intera galassia (come nel tipo III), avremmo civiltà in grado di piegare la struttura stessa dell’universo per adattarla ai propri scopi. Veri e propri “fabbricanti di universi”, insomma. Prendiamo in considerazione, per esempio, il recente paper di Anders Sandberg, Stuart Armstrong e Milan Cirkovi’c del Future of Humanity Institute dell’Università di Oxford(4). Da quelle parti sono in fissa con l’intelligenza artificiale e sono certi che civiltà tecnologiche più avanzate della nostra concentreranno tutta la loro energia nella costruzione di supercomputer in grado di realizzare simulazioni digitali così sofisticate da risultare migliori del mondo reale. Prima o poi, queste civiltà abbandoneranno l’universo fisico per vivere nei loro universi digitali perfetti: ma sarà pur sempre necessario avere supercomputer in grado di far girare i potenti software di simulazione. Grandi quantità di calcolo producono grandi emissioni di calore: e il nostro universo potrebbe essere troppo caldo per consentire la dissipazione del calore prodotto da questi supercalcolatori. Pertanto, arriva un punto in cui le civiltà extraterrestri decidono di entrare in modalità d’ibernazione (magari all’interno dei loro computer) in attesa che l’universo diventi più freddo e i calcolatori possano funzionare al massimo delle loro capacità. Sebbene oggi l’universo sia un posto davvero molto freddo, con una temperatura media di tre gradi appena superiore allo zero assoluto, attendendo qualche trilione di anni l’espansione cosmica avrà ridotto questa temperatura al punto che i calcolatori potranno funzionare a una potenza 1030 volte maggiore di quanto potrebbero alla temperatura attuale. Una bella differenza! Ecco quindi una spiegazione per il paradosso di Fermi: non riusciamo a trovare gli alieni perché stanno dormendo in attesa di climi più confacenti, dopo essersi trasferiti ai margini delle galassie, “dove le stelle sono meno numerose e dove il freddo degli spazi si insinua”, come avrebbe scritto Isaac Asimov(5).
Anche se i tre autori del paper pubblicato sul Journal of the British Interplanetary Society non si spingono fino a tanto, potremmo anche immaginare che le civiltà extraterrestri si siano impegnate a modificare le stesse leggi della fisica per imprimere un’accelerazione all’espansione dell’universo: un universo di tipo chiuso, destinato al collasso a causa dell’attrazione gravitazionale, sarebbe certo sfavorevole a uno scenario come quello descritto nel paper; un universo aperto consente l’espansione necessaria a raffreddare progressivamente gli spazi cosmici, ma perché non accelerare il meccanismo? Da qualche miliardo di anni l’energia oscura ha preso il sopravvento, imprimendo quest’accelerazione.
Una civiltà K4 potrebbe essere la responsabile? L’astrofisico Caleb Scharf, direttore del Columbia Astrobioloy Center alla Columbia University, ritiene per esempio che cinque miliardi di anni fa, quando l’universo ha iniziato ad accelerare, una civiltà K4 abbia trovato il modo di attivare il campo di Higgs, uno dei possibili responsabili dell’energia oscura.
Tra le altre ipotesi esotiche proposte da Scharf ce n’è una che spiegherebbe la natura della materia oscura, l’altra componente dell’universo insieme all’energia oscura sulla cui natura continuiamo a non sapere niente. Poiché infatti la materia oscura sembra interagire con la materia ordinaria solo attraverso l’interazione gravitazionale, risultando impermeabile all’interazione elettromagnetica (da qui l’appellativo “oscura”), si rivelerebbe un ottimo materiale per civiltà tecnologiche che vogliono mettersi al riparo da rischi derivanti da esplosioni di supernove o gamma-ray burst (lampi gamma) in grado di distruggere i componenti della materia ordinaria(6). Gli alieni potrebbero dunque aver trasformato tutta la materia di cui hanno bisogno in materia oscura. Per riuscirci dovrebbero essere naturalmente in grado di manipolare la materia a scale sub-atomiche; il fisico e matematico John D. Barrow ha a tal proposito proposto già vent’anni fa una diversa classificazione delle civiltà tecnologiche prendendo in considerazione non la capacità di manipolare la materia su grande scala (planetaria, stellare, galattica, cosmica), ma su piccola scala.
Noi saremmo allora una civiltà di tipo III, in grado di manipolare le molecole e i legami molecolari per creare nuovi materiali, e ci staremmo avvicinando al livello IV, in cui diventa possibile manipolare singoli atomi e creare forme di vita artificiale complesse alla scala atomica. Una civiltà di tipo Omega sarebbe in grado di modificare la struttura stessa dello spazio-tempo per le proprie finalità(7).
Nel suo romanzo Il problema dei tre corpi, Liu Cixin immagina che la civiltà trisolariana che abita il sistema stellare di Proxima Centauri sia giunta al livello di manipolazione delle dimensioni extra. Basandosi sul principio alla base della teoria delle stringhe secondo cui non esisterebbero solo tre dimensioni spaziali, ma fino a dieci dimensioni, di cui quelle extra rispetto alle tre tradizionali sarebbero “arrotolate” su loro stesse a grandezze prossima alla lunghezza di Planck in ogni punto dello spazio-tempo, Liu si lancia in ambiziose speculazioni sulla possibilità di “allargare” queste dimensioni.
Con il Progetto Sofone, una sorta di acceleratore di particelle a scala planetaria, i trisolariani riescono a estendere le dimensioni extra di un singolo protone. Può sembrare poco, ma, come spiega il Console Scientifico al Principe, “da una prospettiva quadrimensionale una particella fondamentale è un mondo sconfinato”: “Man mano che ci si sposta su dimensioni più alte, la complessità e il numero di strutture presenti in una particella aumentano drammaticamente… Una particella considerata da un punto di vista eptadimensionale possiede una complessità comparabile a quella del nostro sistema trisolare in tre dimensioni. Da una prospettiva ottodimensionale, una particella è una presenza vasta quanto la Via Lattea. Quando si raggiungono nove dimensioni, la struttura e la complessità interna di una particella fondamentale corrispondono all’intero universo”(8). Durante un esperimento sfuggito al controllo degli scienziati del Progetto Sofone, il protone accelerato si dimostra possedere al suo interno vita intelligente, in grado di mettere a repentaglio l’esistenza stessa di Trisolaris. Un’idea affascinante e al tempo stesso inquietante.
Stanislaw Lem, che è stato certamente tra gli autori di fantascienza il più impegnato sul fronte della speculazione di contatti tra la nostra civiltà e intelligenze aliene, per quanto in una prospettiva fortemente critica nei confronti di iniziative come il SETI, affronta nel suo La Voce del Padrone lo scenario di un messaggio proveniente dalle stelle sotto forma di emissioni neutriniche (la capacità di manipolare i neutrini da parte di un’intelligenza extraterrestre è al centro anche del capolavoro di Lem, Solaris), che gli scienziati americani cercano disperatamente di decifrare, senza riuscirci. Nel corso delle ricerche, si rendono conto che l’emissione neutrinica accelera la formazione di strutture biologiche complesse: “Già in un passato preistorico quella pioggia omnipervasiva aveva accresciuto, sia pure in modo frammentario, le opportunità di comparsa della vita negli oceani, avvolgendo in una specie di corazza certi tipi di macromolecole e permettendo loro di resistere al caotico bombardamento dei moti browniani. Il segnale stellare non creava di per sé la vita ma semplicemente la favoriva nella sua fase più primordiale ed elementare, ostacolando la dissoluzione di ciò che si era già aggregato”.
Successivamente, i membri del Progetto Voce del Padrone prendono in considerazione l’idea che questa emissione sia stata creata da civiltà intelligenti vissute prima dell’attuale fase del nostro universo, quindi scomparse ormai da tempo, ma desiderose di favorire la nascita della vita intelligente nell’attuale eone cosmico. Un’idea del genere è stata ripresa in recentemente dal fisico e matematico Sir Roger Penrose: la sua teoria della cosmologia ciclica conforme prevede infatti che l’universo subisca una serie continua di cicli di creazione e distruzione, e in un paper presentato insieme a Vahe Gurzadyan, Penrose ha ipotizzato che civiltà intelligenti vissute nel precedente eone possano appunto manipolare la radiazione cosmica di fondo per favorire l’emergere della vita intelligente nel nuovo universo, magari riuscendo a codificare in qualche modo anche il loro codice genetico nella radiazione così da garantirsi la sopravvivenza tra gli eoni(9). I due fisici chiamano l’ipotesi “panspermia dell’informazione”, ed è praticamente identica all’idea di Lem: egli infatti immaginava che il segnale intelligente trasmesso attraverso una delle lunghezze d’onda dell’emissione neutrinica codificasse il codice genetico degli ipotetici Mittenti. Gli scienziati del Progetto Voce del Padrone, decodificando il 4% appena del codice, riescono a produrre una sorta di blob biologico che potrebbe – suppone il narratore del romanzo – rappresentare una cellula dei Mittenti. Anche altri hanno preso in considerazione l’ipotesi che civiltà K4 siano in grado di manipolare la struttura dello spazio-tempo per favorire l’emergere della vita tra un ciclo e l’altro dell’universo.
Ted Harrison propose per esempio in un articolo del 1995 una soluzione al dilemma antropico – che deriva dalla constatazione che i parametri di diverse costanti fondamentali sembrano essere “tarati” apposta per consentire l’esistenza della vita nell’universo – secondo la quale civiltà intelligenti potrebbero sfruttare il meccanismo dell’inflazione cosmica per generare universi-bolla con caratteristiche favorevoli all’emergere della vita. Noi vivremmo appunto in una di queste bolle(10).
Tirare in ballo l’ipotesi extraterrestre di fronte agli enigmi cosmologici non è certo quel che gli scienziati amano fare. Si tratta di ipotesi estreme, proposte quasi sempre come semplici esperimenti mentali, estrapolazioni o autentiche provocazioni, a volte nei confronti degli attuali vicoli ciechi in cui la comunità scientifica sembra essersi ficcata (per esempio nel caso della materia oscura). Certo è che la tendenza a favorire, in prima battuta, l’ipotesi intelligente di fronte a un nuovo fenomeno sembra più viva che mai: sebbene l’ipotesi che la stella di Tabby fosse circondata da una sfera di Dyson fosse al limite del fantascientifico, è stata presa sul serio dalla comunità scientifica (e ancor di più dai media) in misura sproporzionata rispetto alla sua percentuale di plausibilità. Le stelle pulsar, d’altro canto, all’epoca della loro scoperta vennero interpretate come sorgenti di segnali intelligenti. Questa tendenza ad “antropomorfizzare” l’universo può essere considerata un residuo della nostra tendenza ancestrale ad antropomorfizzare i fenomeni della natura attribuendoli a spiriti e divinità; ma è un grosso limite alla nostra capacità di immaginare la natura della vita fuori dalla Terra. Oggi va per la maggiore l’idea che la vita intelligente nell’universo possa assumere la forma di intelligenze artificiali. È vero che uno dei primi proponenti di quest’idea fu John Von Neumann negli anni Sessanta. L’astrofisico Lord Martin Rees crede che questo scenario sia verosimile, ma – a differenza di Von Neumann – non crede che le intelligenze artificiali abbiano interesse a colonizzare l’universo(11).
Probabilmente si dedicheranno ad altri interessi, e questo spiega perché non le abbiamo ancora incontrate. O forse gli esseri biologici si sono ibridati con le macchine, come vuole il transumanesimo, e hanno portato a termine il mind-uploading delle loro coscienze, divenute puramente digitali. Lo stesso Lem fu tra i primi a immaginare una simile evoluzione, suggerendo – ancor prima di Barrow – che in futuro la nostra civiltà diventerà in grado di manipolare gli atomi e potrà costruire universi-bolla nello spazio enorme all’interno di essi (“C’è un sacco di spazio là in fondo” era la famosa frase di Richard Feynman). Ma anche questo approccio potrebbe essere troppo legato alla nostra concezione del mondo. Ne La Voce del Padrone, il paragone fatto dal narratore sembra particolarmente calzante: “Anche il nastro programmato per un computer può casualmente adattarsi a una pianola: anche se il programma non ha assolutamente niente a che fare con la musica (magari si riferisce a un’equazione di quinto grado), una volta introdotto nella pianola produce dei suoni. Può anche succedere che non tutti i suoni che ne vengano fuori risultino un caos totale e che, qua e là, si riesca a cogliere una frase musicale… Supponga di non aver mai sentito parlare dei computer, e lo stesso dicasi per il suo vicino; se entrambi trovate da qualche parte un nastro da computer, è perfettamente plausibile che facciate entrambi la stessa cosa, ossia lo scambiate per un nastro da pianola, dato che per voi non esistono altre possibilità”(12). Di fronte a un segnale intelligente, suggerisce Lem, potremmo compiere lo stesso errore: interpretarlo sulla base delle nostre conoscenze e convinzioni, dandogli apparentemente un senso, che però non è quello originale. Per chi non ha che un martello, tutte i problemi sembrano chiodi. Per chi, come noi, non dispone che di radiotelescopi e computer, tutto lì fuori può sembrarci informazione da decodificare; ma così facendo, come ci avvertiva lo scrittore polacco in Solaris, continuiamo a non cercare altre forme di vita, ma solo degli specchi in cui riflettere noi stessi.
Note
(1) Cfr. Corrado Ruscica, Civiltà extraterrestri. Come e quando il SETI scoprirà un segnale alieno, CentoAutori, Villaricca, 2016, pp. 153-160.
(2) Huan Y.A. Meng et al., Extinction and the Dimming of KIC 8462852, “The Astrophysical Journal”, vol. 847 n. 2, ottobre 2017.
(3) Manasvi Lingam e Abraham Loeb, Fast Radio Bursts from Extragalactic Light Sails, “The Astrophysical Journal Letters”, vol. 837 n. 2, marzo 2017.
(4) Anders Sandberg, Stuart Armstrong, Milan Cirkovi’c, That is not dead which can eternal lie: the aestivation hypothesis for resolving Fermi’s paradox, 10 maggio 2017, arXiv:1705.03394.
(5) Isaac Asimov, Fondazione e Impero, in Il ciclo delle Fondazioni, Mondadori, Milano, 1995, p. 155.
(6) Caleb Scharf, Is Physical Law an Alien Intelligence?, “Nautilus”, 17 novembre 2016.
(7) Cfr. John D. Barrow, Impossibilità. I limiti della scienza e la scienza dei limiti, Mondadori, Milano, 1999.
(8) Cixin Liu, Il problema dei tre corpi, Mondadori, Milano, 2017, p. 332.
(9) Vahe G. Gurzadyan, Roger Penrose, CCC and the Fermi paradox, “European Physical Journal Plus”, vol. 131 n. 11, 2016.
(10) Edward R. Harrison, The Natural Selection of Universes Containing Intelligent Life, “Quarterly Journal of the Royal Astronomical Journal”, vol. 36 n. 3, settembre 1995.
(11) Martin Rees, Why Alien Life Will Be Robotic, “Nautilus”, 22 ottobre 2015.
(12) Stanislaw Lem, La Voce del Padrone, Bollati Boringhieri, Torino, 2010, pp. 177-178.
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