Controllando il vasto, vastissimo, programma dei cinque giorni di Lucca Comics and Games l'occhio mi era caduto su un evento troppo ghiotto per lasciarmelo sfuggire: Presentazione del secondo volume di Space Anabasis. Interessante. Un fumetto di fantascienza completamente “Made in Italy” che quindi ho letto e con vero piacere. Nella magica cornice di Lucca, per Fantascienza.com, saluto calorosamente Francesco Vacca e lo staff “stanco, ma felice” che spero abbia ancora un po' di energie per rispondermi.
Salve a tutti e benvenuti.
Ciao! E grazie per l’interesse dimostrato per la nostra produzione e per lo spazio offertoci si Fantascienza.com.
Devo farvi i miei complimenti perché il vostro fumetto mi è molto piaciuto. Perché un fumetto di fantascienza così infarcito di storia? Francesco, cosa ti ha ispirato?
(Francesco Vacca): La fantascienza rappresenta metà del “DNA” di Space Anabasis. L’altra metà è l’ucronia, la storia alternativa. E proprio dagli spunti storici è nato il mondo in cui si muovono i protagonisti del fumetto, un mondo che volevo risultasse vicino, per quanto evolutosi, alle radici storiche delle varie nazioni e culture chiamate in causa: romani, vichinghi, giapponesi e via dicendo. L’ambientazione fantascientifica è un portato di questa scelta: avendo un medioevo più breve e meno turbolento alle spalle, il 2017 in cui è ambientata la storia, anzi il 2770 dalla fondazione di Roma, è un presente decisamente più avanzato a livello tecnologico, in cui l’uomo ha ormai colonizzato il Sistema Solare.
Come si crea collaborazione fra più disegnatori, coloristi e lo sceneggiatore? Space Anabasis è un progetto ambizioso e vedo che non siete certo pochi…
(Francesco Vacca): Proprio l’ambizione e la vastità del progetto rendono necessario un team corposo per renderlo realtà. Vista l’ampiezza della storia mi è stato abbastanza chiaro, fin dall’inizio, che non sarebbe stato possibile collaborare con un solo disegnatore e un solo colorista per realizzare Space Anabasis in tempi ragionevoli.
La struttura in capitoli ha facilitato la gestione della squadra, permettendo ad ogni “coppia” disegnatore-colorista di occuparsi di sole venti tavole a volume, così da poter mantenere un ritmo di lavoro (e di pubblicazione) il più elevato possibile. Ovviamente un team numeroso rende, però, necessario un lavoro di collaborazione tra tutti i membri del team e una certa forma di “supervisione” per permettere la continuità della narrazione da un capitolo (e da un team) all’altro.
Nella copertina soprattutto e poi anche in alcune inquadrature vedo chiaramente una pistola con la canna oblunga molto simile alla pistola della Principessa Leia Organa. Citazione? Oppure a cosa vi siete ispirati?
(Francesco Vacca): Il fucile dalla canna lunga è quello in dotazione ai legionari romani. Il design è volto a riprende la forma del pilum, il giavellotto degli antichi soldati di Roma, così da accentuare la continuità tra il passato e questa versione del presente.
E, sempre rimanendo in ambito di citazioni, al termine del secondo volume conosciamo Tiye, la nubiana, le cui sembianze ricordano molto Nadia di Il mistero della pietra azzurra. È un chiaro omaggio o pura casualità?
(Diana Mercolini): Si può dire che è stata una fusione delle due cose?
Il mistero della pietra azzurra è tra le serie animate a cui sono più affezionata e credo che abbia una delle caratterizzazioni dei personaggi più riuscite di sempre. L'aspetto di Tiye ha avuto diverse variazioni in corso d'opera, abbiamo fatto molte ricerche sul tipo di vestiario storico e il come adattarle al personaggio in un universo sci-fi, quindi non posso dire di essere partita dall'idea di fare un omaggio a Nadia. Nel definire il suo aspetto però, soprattutto il portamento diciamo un po' impertinente, l'omaggio forse è venuto da sé e che un po' la ricordi, mi fa davvero piacere!
Impero Romano e Impero Giapponese. Differenze e affinità. La forza, la strategia e la vita d'armi. C'è mai stato un momento in cui hai pensato di dimenticare Roma e di ambientare tutto nel regno del Sol Levante?
(Francesco Vacca): No. Space Anabasis è anche l’incontro “impossibile” tra culture che nella storia reale non si sono neppure sfiorate. Ciò che mi diverte maggiormente è proprio prendere elementi culturali diversi e farli scontrare. Come succede, nel primo volume, quando Lucio e Yoshiro discutono sulle differenza tra Mos Maiorum e Bushido. Il team multietnico dei protagonisti nasce anche per quello: nei prossimi volumi si approfondiranno anche i personaggi di Marco Amazzonico e Fatima Claudia. Entrambi di nazionalità romana, seppure il primo di origine sudamericana e la seconda proveniente dalla penisola araba. Ognuno di loro contribuirà, alla narrazione o a livello visivo, con qualcosa di proprio delle sue terre di origine. Come continueranno a fare Lucio e Yoshiro. E i vichinghi.
Di capitolo in capitolo cambia il disegnatore. I tratti fondamentali dei personaggi restano invariati, ma lo stile è diverso. Questo continuo variare è una sfida a cui sottoponete il lettore. Per quale motivo avete deciso di diversificare? Secondo voi in qualche modo il messaggio narrativo cambia?
(Francesco Vacca): Come detto in precedenza, si tratta di una scelta logistica, volta a poter proporre gli albi sul mercato con una certa continuità a senza far aspettare troppi mesi i lettori. Non è chiaramente una scelta narrativa e, anzi, ci stiamo impegnando per rendere il più uniforme possibile lo stile grafico. D’altronde è un pratica piuttosto comune nel fumetto seriale, sia in America che in Italia.
Oltre al disegno il colore. I personaggi acquistano spessore e toni differenti. Come avete affrontato la collaborazione coi coloristi? Ci sono tecniche che avete scartato e perché?
(Niccolò Tallarico): Una delle idee alla base della produzione di Space Anabasis era quello di realizzare un fumetto a colori, avvicinandoci di fatto a uno standard internazionale, a differenza di quanto accade nel nostro paese, dove ancora non si fa un uso massiccio del colore, e in Giappone, che è però un un mercato lontano in tutti i sensi. in Francia e in America sarebbe impensabile un fumetto in bianco e nero. Volevamo, oltretutto, rivolgerci ad un pubblico giovane, nato e cresciuto nell'epoca della globalizzazione e abituato ai fumetti stranieri, tutti regolarmente colorati. Non a caso, d’altronde, anche le ultime serie Bonelli di successo sono a colori: Morgan Lost, Orfani o Mercurio Loi. In ultimo, Space Anabasis è un universo narrativo con un’estetica inedita a cui era necessario dare vita e il colore ne è stato parte integrante.
Il futuro di Roma è limpido. Il cielo terso e il sole sfavillante. Tutt'altro che il clima dipinto in Blade Runner o in tanti altri racconti distopici.
(Francesco Vacca): All’inizio della storia lo status quo viene sovvertito. Ma al di là degli eventi che seguono “l’incidente scatenante”, l’universo di Space Anabasis non è distopico. La tecnologia è più avanzata, le antiche filosofie morali sono ancora in voga, e a livello di diritti sociali è più evoluto del nostro, come si può vagamente intuire da questi volumi e sarà esplicitato maggiormente nei prossimi.
Per le strade, a parte la scena dell'inseguimento, si notano pochissime persone. Roma dall'alto è quasi deserta. Vi siete ispirati al celebre quadro “La città ideale”?
(Francesco Vacca): L’architettura e la planimetria di Roma è stata oggetto di attente discussioni. Volevo che i landmark dell’antica Roma (anche quelli che purtroppo non ci sono più) fossero presenti e riconoscibili, seppur amalgamati tra gli elementi di una modernissima metropoli. Per quanto riguarda la relativa scarsezza di folla, dipende dalle scelte artistiche del disegnatore, più che da una richiesta in fase di sceneggiatura.
Fogli come schede d'energia e ologrammi di statue. L'antico declinato al moderno. Il latino non più una lingua morta. Un piccolo sogno che s'avvera?
(Francesco Vacca): È il fascino dell’ “e se?”
Personalmente adoro l’ucronia, trovo irresistibile immaginare evoluzioni della Storia diverse da quella reale. Il mondo antico, che per tanti aspetti è più vicino a noi di quanto sembri, per altri ne è incredibilmente distante. E il nostro presente non è necessariamente più evoluto rispetto all’antichità: basti pensare alla tolleranza religiosa delle civiltà politeiste. Da queste considerazione all’immaginare “l’antico declinato al moderno”, con le peculiarità di usi, costumi, filosofie ed estetica di civiltà che appartengono al passato calate in un contesto sci-fi, il passo è breve.
La necessità di esplorare e la ribellione delle colonie. Temi cari alla fantascienza classica e alla nostra storia. Un progetto affascinante. Vi è capitato di cambiare la trama a seconda dell'evolversi del tratto? L'ispirazione può subire cambiamenti?
(Francesco Vacca): Per quanto la trama di base non sia mutata, tanti dettagli sono stati rivisti via via che arrivavano i concept e che i design di personaggi, mezzi, armi e ambienti prendeva forma. Ad esempio Fatima Claudia, come tutti i soldati romani, ha il fucile (quello ispirato al pilum) e il gladio a scomparsa. Ma Diana Mercolini, che ha curato il design dei personaggi principali, l’ha immaginata, in una delle immagini del character design, con due scimitarre arabe in omaggio alla sua etnia. L’idea mi è piaciuta così tanto che, ad un certo punto, Fatima acquisirà queste nuove e più caratterizzanti spade, rispetto alla dotazione standard da pretoriana.
Una domanda rivolta a tutti voi: cosa ne pensate della fantascienza? Siete stati lettori accaniti o è un genere al quale vi siete accostati solo per motivi di lavoro?
(Francesco Vacca): Sono un grandissimo appassionato di fantascienza. Se così non fosse, Space Anabasis non sarebbe stato… “Space”! E ne sono un “consumatore onnivoro": da quella più fantasiosa e meno scientifica, come Star Wars, fino all’hard sci-fi di The Expanse, passando per opere come Star Trek o Dune e autori come Isaac Asimov o Arthur Clarke. E a livello fumettistico sto apprezzando moltissimo Descender, di Lemire e Nguyen, edito da BAO Publishing.
(Niccolò Tallarico): È sempre stato, fra i tanti, uno dei generi che più è riuscito a contaminare il mio immaginario: Alien, Terminator, Matrix. E non soltanto l'immaginario americano, anche molto Giappone; mi viene in mente Ghost in the Shell, Akira, Trigun, Blame, Alita. Ma anche produzioni videoludiche come Metal Gear Solid, Dead Space, Wolfenstain, Vanquish, Gears of War o Halo. Insomma, sicuramente non è un genere al quale sono indifferente.
(Christian Polito): Mi piace parecchio la fantascienza. Tra i mie libri preferiti ci sono Ma gli androidi sognano pecore elettriche, Cronache marziane e Guida galattica per autostoppisti. Per quanto riguarda i fumetti sicuramente Akira, e come sottogenere il cyber punk.
(Matteo Leoni): Come tutti ho cominciato ad apprezzare la fantascienza da bambino, grazie a pellicole come Star Wars, ma il mio amore per questo genere è nato grazie alla scoperta del cyberpunk e alla lettura dei manga di Tsutomu Nihei, in particolar modo di Blame. L’amore per questi ambienti ultratecnologi, claustrofobici e imponenti, mi portarono a recuperare altri capolavori del genere come Blade Runner e Ghost In The Shell.
(Diana Mercolini): Per quanto mi riguarda amo da morire questo genere. Ho divorato film e fumetti di ogni tipo e continuo a farlo, consapevole del fatto che sicuramente me ne mancheranno ancora tantissimi. È il genere che disegno di più e che vorrei sviluppare sempre meglio. Mi è sempre piaciuto vedere nelle storie di fantascienza quello che potrebbe accaderci o che sarebbe potuto accadere, le visioni di nuovi mondi per scoprire fino a dove l'immaginazione può spingersi, o il modo quasi profetico in cui quelle invenzioni impossibili col passare del tempo e del progresso diventano reali. Onestamente come disegnatrice ho sempre pensato che fosse abbastanza difficile accostarsi alla fantascienza, se se ne è completamente digiuni… più che altro per la salvaguardia della sanità mentale quando ci si ritrova a dover disegnare complicate corazzate aliene, che provengono da sconosciuti pianeti, di sconosciuti universi. Anche se alla fine credo che valga con qualsiasi tipo di genere, ed è anche vero che uscire dalla propria comfort zone, spesso, è il modo migliore per crescere artisticamente.
Grazie per il tempo che avete voluto dedicarci nonostante i mille impegni della fiera. Vi auguro buon lavoro. Saluti da Linda e da Fantascienza.com
Grazie a voi per la preziosa opportunità e un saluto ai lettori di Fantascienza.com!
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