Sono im–im–imbranato e balbu–bu–bu–ziente.
Non sarà fa–fa–facile dimostrare di essere u–u–umano. Solo gli uomini hanno access–sso alla nave. E solo chi salirà sulla na–nave si salverà dalla pioggia di mete–mete–meteoriti che colpirà la Terra tra pochi giorni. I posti a disposizione, però, sono po–po–pochi, e sono destinati solo agli uo–uo–uomini. All’ingresso c’è un gu–gu–guardiano che esamina, gu–gu–guarda, ascolta poi lascia passare o respinge. Molti ro–ro–robot, automi, androidi (co–come me) fingono di essere uo–uo–umani. Però ne–ne–nessuno di noi è perfetto: chi bal–bal–balbetta, chi si muove a sca–sca–scatti, chi sembra ca–ca–ca–catatonico. Ci hanno fa–fatto così per non confonderci con gli uo–uo–uomini. Abbiamo tutti qualche spasmo, qualche deficit. Anche se proviamo le stesse loro emozioni. Il guardiano è atte–te–te–tento e scopre ogni nostro trucco, soprattu–ttu–ttu–tto facendoci parlare. Molti, moltissimi, sono re–re–respinti: urlano, piangono, implorano, poi si inginocchiano ai pi–pi–piedi dell’astronave e pregano. Sembrano proprio uo–uo–uomini. La nave è gigantesca. Ma quello che fa più impressione è la grande folla di andro–dro–droidi raccolta ad anello tutt’intorno. Nessuno di loro partirà. In ogni provincia c’è una na–na–nave simile, e tra qualche ora andranno via tu–tu–tutte lasciando sulla terra solo no–no–no–noi, gli androidi. Per mesi abbiamo ce–ce–cercato di convincerli, di trovare un mo–mo–modo per partire con loro. Ma non c’è spazio per tutti. Hanno deciso di lasciarci. Adesso è il mio tu–tu–turno. Sono imperfetto: il mio cervello produce idee stu–stu– stupide e le mie emozioni sono semplici, com’è giusto che siano l’emozioni di un ro–ro–robot. E poi sono balbu–bu–bu–ziente.
Eppure il guardiano, dopo qualche do–do–domanda, mi guarda e mi fa un cenno con la testa.
– Entra – dice, – fai pre–pre–pre–ssto.
Dentro la nave ci sono solo ro–ro–robot.
Allora mi giro a guardare la folla respinta: sembrano proprio uo–uo–uomini.
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