È inutile nascondere una verità evidente a tutti: noi mammiferi temiamo le creature dalla pelle scagliosa e non senza ragione.
I roditori, in natura, devono guardarsi dai serpenti, predatori meno appariscenti dei felini ma altrettanto insidiosi e spietati.
Le sterminate mandrie di gnu e zebre che si approcciano all’acqua per bere o guadare devono pagare un sanguinoso tributo ai coccodrilli, signori incontrastati dei fiumi africani.
Se passiamo all’esperienza umana, a questa “diffidenza biologica”, non del tutto sopita nonostante secoli di civilizzazione, bisogna aggiungere la tradizione cristiana. Questa indica nel serpente l’incarnazione del nemico per eccellenza: dal tentatore di Eva discenderebbero tutti i guai della nostra specie.
Ma non siamo qui per parlare di scienza, etologia, religione e antropologia. Rientriamo nei ranghi, quindi, e dedichiamoci alla fantascienza con una rapida carrellata tra alcuni dei romanzi più noti nei quali l’Homo Sapiens si ritrova faccia a faccia con antagonisti rettiliani. Ne cito solo alcuni, tra i tanti possibili.
Perfettamente “allineata” alla tradizione è la vicenda raccontata in Guerra al Grande Nulla (1960) celeberrimo romanzo di James Blish in cui Egtverchi, un alieno simile a un allosauro proveniente dal pianeta Lithia, incarna una sorta di anticristo capace di dare dei grossi grattacapi alla chiesa cattolica. E se i Chasch del pianeta Tschai, raccontati da Jack Vance in City of the Chasch (1968), sono decisamente guerrafondai, la Razza che compare in Worldwar: in the balance (1994) di Harry Turtledove è addirittura la quintessenza dell’imperialismo. Anche con gli Ylanè, rettili evolutissimi che appaiono nel romanzo West of Eden (1984) di Harry Harrison, il confronto finisce per giocarsi sul campo di battaglia.
Insomma, è inutile farsi illusioni. Il verdetto della fantascienza letteraria sembra essere spietato e inappellabile: uomini e rettili, tranne sporadiche eccezioni, come avviene ad esempio in Cycle of Fire (1957) di Hal Clement, sono destinati al conflitto. La diversità biologica suscita repulsione e diffidenza, come mirabilmente raccontato in una celeberrimo racconto di Fredrick Brown.
Questa lunga premessa serve a introdurre una saga nata dalla collaborazione di
tre scrittori considerati tra i più rappresentativi nella cosiddetta Hard Science Fiction: Larry Niven, Jerry Pournelle e Steven Barnes.
La storia, articolata su due romanzi The Legacy of Heorot, 1987 (in Italia apparsa su URANIA n°1304 con il titolo L’incognita dei Grendel) e Beowulf’s Children, 1995 (URANIA n°1350 con il titolo I figli di Beowulf) si svolge nell’arco di un ventennio e racconta le vicissitudini di due generazioni di coloni terrestri sul pianeta Avalon, il quarto orbitante intorno a Tau Ceti.
Arrivati a bordo dell’astronave Geographic, dopo un viaggio a velocità relativistica durato circa un secolo, i centosessanta pionieri creano il primo insediamento su un’isola, grande quanto la Nuova Guinea, e lo battezzano Camelot.
Le risorse naturali non mancano, si comincia a praticare l’agricoltura e l’allevamento; si pescano strani pesci, detti samloni, dal gusto appetitoso; vengono realizzate comode strutture abitative integrate da parti della Geographic, dato che non è previsto – e non è possibile – un viaggio di ritorno. In pratica, la sopravvivenza dei coloni impone il successo della spedizione, ma le cose sembrano procedere nella direzione giusta e senza intoppi.
Tutto fila liscio fino al verificarsi di alcuni incidenti: l’uccisione di alcuni polli, la sparizione di un cane prima e di un vitello poi. Di fronte a questi eventi, l’unico ad allarmarsi è il colonnello in congedo Cadmann Weyland, il protagonista indiscusso dei due romanzi. Le sue preoccupazioni vengono accolte con fastidio dagli altri coloni, almeno all’inizio, con un atteggiamento collettivo di rimozione volto a esorcizzare il problema prospettato dal militare.
Ma nascondere la testa sotto la sabbia serve a poco e l’insidia si concretizza puntualmente, spazzando il quieto vivere dei nuovi arrivati, quando una specie di predatori alieni si palesa provocando numerosi morti tra gli umani. Si tratta dei Grendel, complessivamente simili a grossi coccodrilli, intelligenti quanto un delfino e caratterizzati da una ferocia che a tratti sembra sconfinare nella mera crudeltà. Inoltre, la già notevole forza fisica di tali carnivori viene esaltata, durante la caccia e i combattimenti, da una sostanza ossidante che un’apposita ghiandola secerne nei loro organismi. Sotto l’effetto di un simile additivo naturale, le creature raggiungono un’accelerazione straordinaria, paragonabile a quella di un’auto da corsa.
A questo punto, il cocktail del terrore è servito e gli ingredienti per uno scenario da incubo ci sono tutti: i mostri sono intelligenti, forti, velocissimi, numerosi, spietati.
Ma le sorprese riservate dagli alieni non sono finite: procedendo nella lettura si scopre che, per giunta, si riproducono molto rapidamente, grazie a un ciclo vitale tanto complesso quanto efficiente.
Diciamo subito che l’architettura della storia è piuttosto convenzionale: l’eroe deve, per prima cosa, far fronte all’incomprensione e all’ingratitudine dei suoi simili; subito dopo deve misurarsi con i predatori extraterrestri. Un espediente narrativo che il lettore di fantascienza ben conosce ma sfruttato in questo caso, bisogna riconoscerlo, con indiscussa maestria. I due romanzi sono godibili ed è addirittura riduttivo definirli avvincenti. La costruzione dei personaggi è molto accurata e conferisce al protagonista e ai numerosi comprimari una notevole profondità. I sentimenti e gli atteggiamenti più difficili da esprimere, quelli che l’uomo civilizzato tende a celare, ci sono tutti: nel gruppo dei coloni albergano invidia, rancore, ipocrisia, desiderio di rivalsa. Purtroppo tali disposizioni d’animo tendono a prevalere sulla solidarietà e sulla coesione che, almeno in teoria, dovrebbero svilupparsi spontaneamente in una situazione in cui è la sopravvivenza stessa della specie a essere messa in discussione.
A complicare il quadro si aggiunge il conflitto generazionale, decisamente virulento, tra i coloni provenienti dalla Terra e i loro figli, nati su Avalon.
L’eroe destinato a salvare la situazione, un vero e proprio deus ex machina, è Cadmann che, incarnando nel più classico dei modi lo spirito di frontiera tanto caro alla cultura statunitense, guida i terrestri nel confronto con i Grendel. Con le armi in pugno, naturalmente, un po’ come avviene in molti classici della Science Fiction, soprattutto cinematografica. Procedendo nella lettura, infatti, è spontaneo fare accostamenti a film celeberrimi nei quali l’azione ha un peso determinante e incombe la presenza del mostro dietro l’angolo.
Alla fine, però, la vicenda esce dai binari previsti e prende una piega inaspettata. Due antagonisti, diversissimi tra loro, seppelliscono l’ascia di guerra e iniziano a studiarsi vicendevolmente e a imbastire un rapporto basato su un’inespressa, quasi inconfessabile, ammirazione reciproca. Un bel colpo di scena conclusivo che rende meno scontato uno sviluppo per il resto abbastanza canonico.
Non aggiungo altro per non rovinare la sorpresa a eventuali nuovi lettori della saga.
Prima di chiudere, è importante riprendere un concetto appena accennato all’inizio. I due romanzi di cui parliamo rappresentano insieme uno dei più genuini esempi della Hard Science Fiction prodotta negli anni Novanta. L’elemento scientifico, infatti, è curatissimo e consente la descrizione, pur nell’invenzione, di un ecosistema assolutamente verosimile. Tra l’altro sviluppato su un pianeta ruotante intorno a Tau Ceti che, nella realtà, appartiene alla stessa classe spettrale del nostro Sole. Per inciso, ricordo che di recente, ben dopo la pubblicazione delle opere di cui parliamo, si è scoperto che tra i pianeti che le orbitano intorno ve ne sarebbe almeno uno in grado di sostenere la vita.
Con ogni evidenza, la location è stata scelta in modo ineccepibile.
Questo per quanto riguarda la componente astronomica. Che dire di quella biologica?
La fisiologia dei Grendel nasce non solo dalla fantasia di tre scrittori di valore, ma anche dalla consulenza di un biologo di fama, il Professor Jack Cohen dell’Università di Warwick. Questo scienziato inglese, non nuovo a collaborazioni con le produzioni di fantascienza, anche cinematografiche, ha guidato l’invenzione dell’ecologia di Avalon operando un po’ da quarto autore dietro le quinte.
Concludendo, vi consiglio senz’altro la lettura in successione di L’incognita dei Grende” e di I figli di Beowulf. Un appassionato della buona vecchia fantascienza tecnologica non ne resterà deluso: i personaggi solidi, ma tutt’altro che banali interagiscono in (e con) uno scenario scientificamente verosimigliante. Quanto all’azione, come già esposto in precedenza, non manca, anzi il ritmo è incalzante. L’insieme è godibilissimo. Quindi non indugiate, soprattutto se non vi siete mai imbattuti in questi due bei romanzi, abbastanza convenzionali ma di piacevole lettura. Fate in modo di procurarvi il dittico. Cercate gli arretrati, saccheggiate le bancarelle, implorate gli amici che normalmente vi prestano i libri. Ne vale la pena, fidatevi.
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