Diciamolo subito, per quanto più o meno atteso dai fan della saga di Alien, il nuovo episodio, ovvero Alien Covenant, non riesce a convincere appieno alternando momenti interessanti ad altri noiosi e prevedibili, e questo nonostante Ridley Scott sia tornato al timone (o forse proprio per questo) con il bellicoso piano di proseguire la serie come ha sempre voluto lui, disconoscendo tutti i precedenti con buona pace forse solo di Aliens – Scontro Finale (ma stando alle ultime notizie anche questo finirebbe vittima della mattanza).
Girato interamente in Australia e Nuova Zelanda, questo episodio si spende moltissimo sul personaggio di Michael Fassbender impegnato nel doppio ruolo dell'androide David visto in Prometheus e del suo “fratello” Walter, versione nuova ed aggiornata che viaggia sull'astronave protagonista del film.
E soffermiamoci sul titolo: Alien: Covenant. Quanti di voi hanno immaginato
leggendo questo titolo una intera nidiata di piccoli xenomorfi o addirittura un enorme pianeta/allevamento con tante madri e milioni di xenomorfi pronti a uccidere ed essere uccisi? E invece no. Covenant è il nome dell'astronave terrestre che conduce coppie di coloni (chiari i rimandi ai padri pellegrini e perfino alle carovane del Far West) nonché materiale biologico costituito da embrioni pronti per colonizzare nuovi sistemi.
E stavolta tocca a loro imparare che nello spazio nessuno può sentirti urlare.
Ma andiamo con ordine. Il film scritto a quattro mani da John Logan (uno che ci ha dato Il Gladiatore, Skyfall, ma anche Star Trek Nemesis e Spectre) e Dante Harper (alla sua prima esperienza da sceneggiatore) inizia con una filosofica conversazione tra David/Fassbender e il suo creatore Weyland/Guy Pearce dove questi chiarisce il suo scopo di esplorazione delle due estremità dell'esistenza umana affidandole per così dire a David e cioè: giungere alle cause della comparsa della vita umana e a quelle della sua estinzione, segue lo stacco su Walter a bordo della Covenant che, a causa di un problema ai sistemi, è costretto a risvegliarne gli occupanti.
Ogni afflato metafisico finisce qui, non temete, perché c'è appena il tempo di veder morire James Franco nei panni del comandante per l'inevitabile problema al risveglio, nonché dare qualche rapida occhiata a equipaggio ed astronave ed ecco che giunge un segnale di soccorso da un pianeta abitabile ma non mappato. Da questo momento immediatamente si sa, man a mano che vengono presentati, quali e quanti dei personaggi finiranno per diventare terreno di coltura degli xenomorfi.
Ma è anche per questo che si va a vedere un film di Alien, lo sappiamo, così come non viene delusa nemmeno la curiosità di vedere chi raccoglie il manto di eroina simil Ripley.
Questa volta tocca a Katherine Waterston, nei panni di Daniels, vedova del comandante, che inizia subito ad altercare con il comandante in seconda Oram, interpretato da Billy Crudup, sull'eventualità di andare o meno a controllare la fonte del segnale di emergenza.
Ecco, se vogliamo cercare qualche differenza, mentre la Nostromo inciampava negli xenomorfi suo malgrado, qui la Covenant è attirata nella rete di David metà Jeeves e metà Lecter e l'effetto che ne deriva fa sembrare gli alieni non solo sempre micidiali e capaci di farti sobbalzare, ma anche esecutori di un compito assegnatogli da una mente ragionante, togliendo un po' quella sensazione di puro terrore che suscitavano nel primo film mostrandosi quali esseri viventi dediti alla propria riproduzione e al massacro di ogni altra specie e basta.
E gli Ingegneri? Beh, ce li siamo persi, un po' come accadde con i Midichlorian nella seconda trilogia di Star Wars. Peccato, perché anche se la fantascienza traborda di razze inseminatrici delle stelle sarebbe stato interessante vederne sviluppare i concetti.
I punti di forza del film sono anche i suoi limiti, ovvero le interpretazioni di Fassbender e della Waterston, il primo giganteggia nel duplice ruolo del tentatore e del tentato, la seconda pur immettendosi nel solco delle eroine femminili della saga quali Sigourney Weaver e anche, perché no, Noomi Rapace, dimostra però ottime doti interpretative capaci di regalare una eroina non fotocopia ma familiare e solida.
La trama sceglie di essere meno grandiosamente fantascientifica come fu
Prometheus per diventare un po' più sporca, claustrofobica e violenta, evitando qualcuna delle situazioni più dibattute proprio di Prometheus ma allo stesso tempo fornendo una serie di sequenze da puro fan service. Il nuovo pianeta è quasi una specie di eden con paesaggi idilliaci tanto da scioccare davvero quando mostra la propria indole mortale e avversa agli umani facendo di Covenant (almeno in questo) un film che prende la grammatica della saga e la declina in una nuova modalità.
È un eden con il suo satana sintetico, dunque, pronto a unirsi al suo fratello/discendente/simile per tentare mortalmente la razza umana e, magari, estinguerla.
È vero, stiamo ancora parlando di Fassbender e del suo personaggio, ma è questo che il film lascia maggiormente, la presenza di un villain capace di infondere un reale piano all'origine degli xenomorfi tanto in modo da portare l'umanità al nuovo scalino evolutivo.
Come conciliare questo con il primo Alien sarà probabilmente compito del prossimo (o prossimi) film, e mi sembra complesso esattamente quanto giustificare il cambio della tecnologia da touchscreen a video monocromatici con tastiera.Viene comunque da pensare cosa accada a Ridley Scott quando si mette a dirigere un film di Alien, perché quando dirige altro (The Martian) riesce ancora a fare un lavoro egregio.
È davvero necessario proseguire saghe come questa?
Se lo scopo è dare alle nuove generazioni emozioni simili a quelle che ancora ricordiamo del “nostro” primo Alien o di altri film non sarebbe meglio lasciare libera l'inventiva dei nuovi film maker in modo che possano trovare la “”loro” nuova strada per le nuove generazioni invece di riscaldare solo minestre dal sapore noto?
Ma queste sono solo domande retoriche da vecchi xenomorfi.
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