Intrigante anche se non travolgente questa nuova pellicola di Michael Mann esamina con un piglio documentaristico i dieci anni più importanti della vita di Mohammed Alì, forse, il più grande pugile della storia. Dopo avere vinto il titolo di campione mondiale dei pesi massimi, Cassius Clay cambiò nome in Alì essendosi convertito all'islamismo. Vicino alle posizioni di Malcom X, Alì si rifiutò di essere arruolato dall'esercito che lo aveva dichiarato abile per andare in Vietnam. Accusato di diserzione fu ridotto sul lastrico da una sentenza che gli impediva di combattere, in attesa che il suo ricorso fosse esaminato dalla corte suprema.

Le vittorie morali e sportive di Alì sono raccontate in questo film con una cura e un'ossessione per il dettaglio letteralmente sorprendenti. L'intensità accorata della regia di Michael Mann, la somiglianza fisica tra Will Smith e il campione saltano subito agli occhi così come il montaggio emozionante amplificato dalla straordinaria colonna sonora composta da Lisa Gerrrard. Quello che funziona di meno nel film è la superficialità con cui vengono analizzati i personaggi e la scarsa passione che sembrano mettere alcuni interpreti nel loro lavoro.

Alì colpisce lo spettatore, ma lo tiene lontano. Il retroterra religioso, sociale e politico è in secondo piano rispetto all'aspetto sportivo della questione. Il razzismo, l'amicizia per Malcom X, il plagio di Alì ad opera dei reverendi mangiasoldi della nazione islamica, il controllo dell'FBI è scandagliato solo in superficie, mentre - per il resto - gli incontri sono ricostruiti con perizia e verosimiglianza uniche. Alì risulta anomalo nel cinema di Michael Mann che sembra avere controllato i virtuosismi registici, a discapito dell'intensità emotiva della sceneggiatura da cui l'immagine del campione è soltanto abbozzata senza mai farci scendere davvero in profondità...

In fondo sarebbe stato lecito attendersi di più.