Vi bastano un paio di buone ragioni per amare una serie, pure se l’avete scoperta su un giornaletto infarcito di motori e veline e l’avete riletta anni dopo in formato lillipuziano? Eccole qua. Ci mettiamo dentro uno sceneggiatore birbone e scafato, poi aggiungiamo un disegnatore della Madonna, sprovvisto forse di cattedrale ma non di devoti.
Facciamo due nomi di quelli buoni: Ron Goulart e Gil Kane.
Scegliamo un anno folgorato da spazio e astronavi come il 1977, un anno che scodinzola dietro qualsiasi cosa abbia la parola “Star” all’interno del proprio nome – tipo Star Wars, giusto per dirne una.
Ci siamo quasi.
A maggio George Lucas ha fatto uscire il suo film nelle sale e mesi dopo è già in moto la macchina del merchandising che farà la “scarpetta” in ogni aspetto vendibile della storia. Col suo tocco di Mida (o “tocco di Media”) la pellicola dà il via a un gran fiorire di surrogati che ne inseguono il successo in varie forme. Star Crash del nostro Luigi Cozzi esordirà l’anno dopo, forte di SPFX artigianali e del memorabile bikini di Caroline Munro. Nello stesso 1978 parte la serie Battlestar galactica, che a Lucas dovrebbe qualche damigiana di caffè pagato, inoltre ci sono gli adattamenti degli albi Marvel di Roy Thomas e Howard Chaykin, fino alla successiva strip di Russ Manning del 1979.
Insomma c’è gran fermento nell’aria. Restarne fuori è impensabile, per questo al Newspaper
Syndacate NEA spunta una voglia a forma di stella e i signori Goulart & Kane vengono chiamati alle arti per un nuovo prodotto siderale. Star Hawks.
La base di lancio del comic sono i paginoni di The Menomonee Falls Gazette, un tabloid settimanale che ospita classici dell’avventura da Prince Valiant a Steve Canyon, polizieschi (Dick Tracy, The Spirit), sdilinquimenti sentimentali alla Apartment 3G o Mary Perkins, insieme a humour, SF ed eroi mascherati.
Il 3 ottobre 1977 tutto è pronto per lanciare la coppia di cosmo-sbirri.
Rex Jaxon e Chavez si presentano ai lettori e lo fanno con un formato a doppia banda pressoché inedito, portando una ventata di novità agli ingessati codici delle strip giornaliere. Un’entrata col botto.
Di space opera nei fumetti se n’era già vista in abbondanza, sia nella versione romantica di Raymond che in quella scientifica di Twin Earths. L’arrivo di Guerre Stellari, però, ha imposto un genere ibrido, fortemente avventuroso, in cui le contaminazioni di esotismo, azione, alta e bassa tecnologia, strizzano un occhio al fantasy recuperandone il senso epico e la suggestione favolistica. Praticamente, pulp versione 2.0.
Star Hawks mostra di imparare bene la lezione cinematografica e, con altri mezzi, ne riprende gli elementi di successo riportandoli su carta.
La spettacolarità del kolossal ritorna negli scorci audaci, i grandangoli e le esasperazioni anatomiche che dinamizzano le scene. I missili di un tempo impallidiscono davanti alle astronavi di Kane, imponenti bestioni dal design aggressivo e volumetrico. Articolate sono pure le architetture e i macchinari, spesso debordanti dalle vignette grazie al formato doppio che consente impaginati liberi.
Usando un connubio di modernità e passato, i costumi e le armi bianche offrono gustosi anacronismi medioeval/ futuribili, lo stesso mix con cui sono costruiti i protagonisti.
Rex somiglia a un Mark Hammill incanaglito da James Coburn. Chavez, coi suoi baffoni all’insù e gli orecchini pirateschi, è ispirato a Victor McLaglen, attore di cui cita il fascino demodé (in versione calva). Sul piano del carattere, i contrasti sono ben marcati. Il cauto Rex e il focoso e donnaiolo compagno si punzecchiano al modo di Starsky & Hutch, con dialoghi asciutti che svecchiano la consueta verbosità dei comics tradizionali.
L’universo in cui si muovono i partners è un caos multirazziale in cui umani, macchine e alieni intrecciano i loro traffici sotto l’occhio vigile dell’Interplanetary Law Service, la struttura operante sulla base orbitale di Hoosegow.
Una piccola schiera di personaggi completa il cast. C’è un capo seducente ma di polso, Alice K. Benyon, un bizzoso cane-robot di nome Sniffer, un cattivo dalle fattezze Voldemortiane, (Raker), lo sfregiato Smiler Tryce – un villain che piacerebbe al Joker di Nolan, seguiti da altre figure occasionali legate ai casi del momento.
La vita nel Barnum System, il set ideato da Goulart per alcuni suoi romanzi, è sempre prodiga di magagne e occasioni di menare le mani. Intrighi politici, dittatori da abbattere, cartelli criminali, contrabbando, tecnologie illegali e inevitabili fanciulle da salvare, sono tutti spunti con cui lo sceneggiatore confeziona intrecci svelti da sbrogliare a fil di spada, colpi di laser & capocciate.
Non mancano note di umorismo, tipiche di Goulart, ad alleggerire il clima e regalare un tocco ribaldo ai personaggi. Peccato che la sua vena satirica sia tenuta a freno da soluzioni edulcorate, più adatte al pubblico eterogeneo dei newspapers. In fase di pre-produzione, infatti, è lo stesso Kane a suggerire al collega di rimaneggiare i testi rendendoli meno eccentrici, e non possiamo non soffrire pensando di esserci persi potenziali gag in stile Il perfido cyborg o Nel sistema della follia. Cose troppo in anticipo sui tempi.
A consolarci ci pensano i disegni di Gil Kane che con la loro personalità sollazzano senza risparmio retina e nervo ottico.
Dopo anni di supereroi in cui è diventato una figura di punta insieme a Jack Kirby, Carmine Infantino e Neal Adams, Kane ha sperimentato nuovi modelli espressivi pubblicando His name is… Savage e la serie Blackmark. Quando approda a Star Haws, perciò, è già padrone di un linguaggio personalissimo, contraddistinto dal segno plastico, le figure michelangiolesche e i tratteggi eleganti da incisione liberty.
Impossibile non gustare i suoi panorami che rompono gli schemi, le creature aliene fantasiose, o la coreografia delle battaglie e le prospettive delle corazzate spaziali – ok, ci fermiamo qui. Con questi virtuosismi il nostro Gil vince il Comic Strip Award del ’77. La sorte della serie, comunque, ha il respiro corto.
Nel giugno 1979 Star Hawks viene “normalizzato” in una mono-striscia su pressione di molti quotidiani dai gusti tradizionali. Oltre perdere la propria singolarità grafica, nello stesso anno la serie perde anche Ron Goulart, che passa la mano dei testi ad altre vecchie pantegane del settore quali Archie Goodwin, Roger Stern e Roger McKenzie.
Il cambiamento non fa troppi danni, ma neanche aggiunge idee, opacizzando soltanto un poco la resa del comic. Per contingenze varie, alcuni disegnatori ospiti affiancheranno Kane in forma anonima, anche se riconoscibile da un occhio attento. Parliamo di figure di alto livello quali Ernie Colòn, visto col suo bel segno sintetico sulle testate Warner Publishing, oltre al giovane Howard Chaykin, scalpitante disegnatore di talento, ancora manierato nell’inchiostrazione.
Dopo tre anni e mezzo di missioni i falchi stellari sciolgono i ranghi nel 1981, prendendo congedo dal pubblico con la striscia numero 1252.
Oltre alle novelizations di Goulart (EMPIRE 99 e THE CYBORG KING), i loro fumetti torneranno comunque in alcune riedizioni, tra cui i quattro comic-books della Blackthorne Publishing (1985/1987). Nel 2004 saranno anche oggetto di un ristampone completo ad opera della Hermes Press, sforzo reso purtroppo illeggibile dal formato mignon delle vignette. Il problema risulta analogo all’ultima uscita italiana dei Star Hawks, pubblicata da Eureka nel ’81 in un supplemento grande quanto un albetto di Nonna Abelarda.
Che farci, è il destino tricolore del duo, presentato nel 1978 in una sciagurata edizione del Corrier Boy, l’ex Corriere dei Ragazzi ridotto a facsimile di Sorrisi e Canzoni TV.
Dopo tante battaglie cosmiche, un’amarognola ironia davvero alla Goulart.
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