È curioso come l'arrivo di Arrival sugli schermi italiani sia slittato addirittura al 2017. Curioso certo, ma di ottimo auspicio perché film di fantascienza come Arrival sono quelli che si distaccano dalla tipologia di storia delle saghe cinematografiche, collocandosi nel solco di film quali 2001: Odissea nello Spazio e Interstellar.
Ci sono, inoltre, almeno due motivi di grande interesse: la storia basata sul racconto Story of Your Life di Ted Chiang, uno scrittore estremamente apprezzato, e la regia di Denis Villeneuve, ovvero colui che sta finendo di lavorare sul già molto discusso Blade Runner 2049. Abbiamo detto che il film si basa su un racconto, proprio per questo motivo vi invitiamo a vedere il film e leggere il racconto con ottiche diverse. In entrambe le storie incontrerete degli alieni che utilizzano due tipi di linguaggio del tutto diversi l'Eptapode A per la scrittura e l'Eptapode B per la lingua parlata e partendo dalla riflessione su come due tipi di linguaggi possano veicolare lo stesso concetto ma in maniere diverse, così andrebbero approcciati film e racconto nelle loro specifiche angolazioni della narrazione. Ma lasciamo lo spazio a qualche dichiarazione del regista.
“Sognavo di girare un film di fantascienza già dall’età di dieci anni – spiega il regista Denis Villeneuve, che si è letteralmente innamorato del racconto di Ted Chiang – credo che questo genere possieda il potenziale ed i mezzi per esplorare la nostra realtà in modo molto dinamico”.
Ma la difficoltà di portare una storia dalla pagina scritta al cinema si è manifestata subito, a quanto pare. “Non avevo tempo per scrivere una sceneggiatura – dice Villeneuve – e, ad essere onesti, non sapevo neanche affrontare quel racconto breve perché è molto intellettuale, in modo forte e bellissimo, ma da un punto di vista del dramma era un po’ difficile da articolare perché parla di processi particolari”. A questo punto interviene Eric Heisserer, lo sceneggiatore al quale viene assegnato il compito di rendere una avvincente vicenda di maturazione interiore (quella della protagonista del racconto) in una storia cinematografica altrettanto avvincente.
“Si sono presentati di nuovo qualche mese dopo con una sceneggiatura scritta da Eric che era sorprendentemente buona – dice Villeneuve – dico sorprendentemente perché Eric era riuscito a romanzarlo e a creare un senso di tensione e dramma all’interno di quel processo di traduzione.”
Ecco perché nel confrontare racconto e film sarà fin troppo semplice notare differenze o trovare svolte di trama “aggiunte dallo sceneggiatore” assumendo l'ottica di chi si chiede cosa succede al mondo esterno mentre la protagonista vive la sua iniziazione.
“Ciò che amo del racconto è il fatto che contiene diverse sfaccettature – spiega Villeneuve – quella che mi ha toccato di più è il contatto con la morte di qualcuno. Cosa succederebbe se sapeste in che modo state per morire e quando morirete? Quale sarebbe il vostro rapporto con la vita, l’amore, la famiglia gli amici e la vostra società? Essere maggiormente in relazione con la morte, in modo intimo con la natura della vita e le sue sfumature, ci farebbe diventare più umili. L’umanità adesso ha bisogno di questa umiltà. Ci troviamo in una era in cui regna il narcisismo. Siamo pericolosamente scollegati dalla natura. Questo è ciò che il racconto breve ha significato per me: un modo per tornare ad avere un rapporto con la morte, la natura e il mistero della vita”.
La differenza di approccio si riscontra anche nel differente titolo, mentre per il film è Arrival, puntando dunque sull'arrivo degli alieni e le conseguenze che questo arrivo produce sui singoli e sull'intera popolazione terrestre, quello del racconto è Story of Your Life, dove il punto centrale è proprio capire di chi sia la storia e chi la narra a chi.
Tutto questo sottende una rivelazione finale molto ben gestita nella versione cinematografica nel modo in cui Villeneuve conduce lo spettatore a scoprire e legare ogni sequenza.
Per progettare e realizzare l’aspetto estetico del film, poi, Villeneuve ha lavorato a stretto contatto con il suo direttore della fotografia sia in fase di pre-produzione che durante le riprese; con il suo montatore, Joe Walker, in post-produzione; oltre che con il suo scenografo, Patrice Vermette, che ha realizzato la navicella spaziale; il supervisore agli effetti visivi Louis Morin, che ha realizzato i progetti per la navicella e gli alieni; gli artisti Carlos Huante, autore dei disegni degli alieni e Martine Bertrand, disegnatore della lingua scritta degli alieni; l’ingegnere del suono Dave Whitehead, che ha aiutato a creare i click e i ronzii della lingua “parlata” dagli alieni; il supervisore al montaggio suono Sylvain Bellemare, che ha creato il rumore della navicella in movimento e del compositore Johann Johannsson che ha realizzato la colonna sonora.
“Tutto è iniziato con Patrice Vermette, mio caro amico e scenografo – dice Villeneuve – abbiamo fatto molti film insieme e Patrice è assolutamente la mia prima scelta, perché è una persona brillante. Ha cultura, ha passione e non ha mai lavorato ad un film di fantascienza. Aveva tutte le qualità che stavo ricercando e ho pensato che avrebbe dato freschezza al film. Inizialmente, la nave spaziale doveva essere rotonda, come una sfera, poi ho pensato che questo era stato già fatto. Non era abbastanza minacciosa o strana. Quindi ho avuto l’idea che la navicella avrebbe dovuto avere la forma di un ciottolo, una piccola pietra ovoidale. Mi sono ispirato ad un asteroide o un piccolo pianeta chiamato Eunomia (conosciuto anche come asteroide 15), in orbita nel sistema solare. La sua forma è pazzesca, come uno strano uovo”. Villeneuve aveva, fino ad aver conosciuto Eunomia, sempre supposto che ogni cosa proveniente dallo spazio, sia esso un asteroide, un pianeta o la luna, fosse sferica. “Questa strana e perfetta forma, a me sembrava minacciosa, misteriosa e spaventosa”.
Per i ruoli dei protagonisti Villeneuve ha fatto delle scelte leggermente atipiche, rivolgendosi (tra l'altro) a due attori ben conosciuti dal pubblico dei Cinecomics: Amy Adams (Lois Lane nel cineuniverso DC) e Jeremy Renner (Occhio di Falco nel cineuniverso Marvel).
“Questo è stato il casting più facile della mia carriera – dice Villeneuve – perché tutti si innamoravano a prima vista della sceneggiatura. La storia di Arrival è incentrata su Louise Banks, linguista di una università del nordest degli Stati Uniti che viene reclutata dal governo U.S.A. per addentrarsi in una delle navicelle spaziali, entrare in contatto con gli alieni e cercare di tradurre e capire lo scopo della loro visita. Si tratta della relazione con una civiltà diversa. Amy Adams era l’attrice che sognavo per questa parte perché sapevo che il pubblico avrebbe creduto in questo film se anche l’attrice ci avesse creduto – tutto si svolge attraverso i suoi occhi. Conosciamo questa civilizzazione, questi esseri venuti dallo spazio infinito, attraverso i suoi occhi – continua Villeneuve, spiegando l’importanza del personaggio principale – mi serviva un’attrice che fosse abbastanza forte da farci credere in quanto accade nel film – qualcuno con la vulnerabilità, la sensibilità, la forte intelligenza e l’abilità di portare tutto sullo schermo. Alla fine, il suo personaggio subisce un processo di lutto molto strano compost da diversi e sottili aspetti che volevo fossero sottolineati nel mio film. Mi serviva un’attrice forte. Amy si è innamorata della sceneggiatura e, con mia sorpresa, ha accettato immediatamente. Conosciamo il personaggio di Louise grazie alla sua storia con la figlia, che una delle parti del film che preferisco – dice Villeneuve – la Adams dona al suo personaggio molta umanità, profondità ed una bellissima vulnerabilità, la malinconia che stavo cercando.”
Villeneuve dice che il ruolo del comprimario Ian Donnelly era abbastanza diverso dai ruoli interpretati da Renner. “Scritturare Jeremy Renner è insolito, visto che è più un attore alla James Bond o Jason Bourne, nel ruolo di un intellettuale – dice il regista – credo che gli sia piaciuta la sfida proposta. Era divertente perché, di quando in quando, sul set saltava come una lepre visto che il ruolo lo conteneva troppo. Ma, seriamente, Jeremy ha accettato il ruolo perché non vedeva l’ora di poter ritornare a recitare al fianco di Amy Adams. Inoltre ha dato ironia al personaggio, nel senso buono, e una bella energia. Il film ne aveva bisogno – dice Villeneuve – perché Amy era più malinconica, un personaggio che attraversa un momento buio e disturbato. Lei inizia a comportarsi in modo strano, entrare in contatto con gli alieni sta cambiando il suo modo di vedere il mondo, ed è confuse e smarrita. Avevo bisogno di qualcuno aggrappato alla realtà e che portasse dinamismo e humor al film. E lui ha fatto un ottimo lavoro”.
Come ormai avrete capito, nel film gli alieni ci sono e si vedono, per la precisione se ne vedono due. Villeneuve ha riflettuto a lungo sul disegno di Abbott e Costello, i due alieni che conosciamo in Arrival (nella versione in italiano sono diventati Tom e Jerry, il gatto e il topo dei cartoni animati NdR). “Abbott e Costello sono due dei personaggi principali – spiega il regista – sono i due alieni che Louise Banks e Ian Donnelly incontrano nella camera all’interno dell’astronave. Ho provato frustrazione cercando di disegnare un alieno. Creare qualcosa mai fatto prima è veramente difficile. Volevo che fosse grosso, di grande presenza, come una balena. Volevo avere la sensazione di trovarmi sott'acqua vicino ad una bestia enorme dove senti una grande intelligenza o una presenza. Forse si ha questa sensazione anche con gli elefanti. Se si incontra un elefante nella savana, c’è la sensazione di una presenza forte, una presenza istintiva e una profonda intelligenza. Questo era quello che cercavo per disegnare un alieno. Ecco perché per me era importante che gli alieni avessero necessariamente gli occhi, ma volevo anche sentire la loro presenza, sebbene all’inizio non si ha un contatto forte con loro”. Nonostante nessuno, a parte Banks, Donnelly e i militari, riesca a vedere gli alieni, la loro mera presenza sulla Terra scatena una crisi esistenziale per molta gente. “L’idea era che se le astronavi fossero atterrate, le società avrebbero dato di matto in tutto il mondo”, spiega Villeneuve. “Perché, innanzi tutto, è un’enorme crisi esistenziale per le persone religiose che pensano di essere al centro dell’universo. C’è un contrasto forte che adoro, la loro è una presenza pacifica, non fanno niente eppure la loro presenza da sola provoca il caos. L’unico luogo in cui c’è silenzio e concentrazione è all’interno del guscio. Per entrare in contatto con gli alieni, i nostri eroi devono entrare nell’astronave, in una camera specifica dove possono scambiare informazioni con gli alieni attraverso uno schermo. Non possono toccarli. Non possono sentirne l’odore. Riescono a malapena a vederli attraverso una strana nebbia, la strana atmosfera dall’altra parte. Sono come elefanti nella nebbia”.
Il mistero centrale della storia, il puzzle che i protagonisti cercano di risolvere, è il perché gli alieni siano qui sulla Terra. “Il loro atterraggio non ha scopi politici”. Villeneuve spiega dove atterrano gli alieni. “Semplicemente atterrano in spazi confortevoli per le loro astronavi. Per me era importante dare un tocco di freschezza a questi alieni, non una invasione ma un atterraggio sulla Terra. Proprio alla fine del film, ci sarà un momento di collaborazione, perché si rendono conto che gli alieni hanno offerto la loro cultura e il loro linguaggio a piccoli pezzi. Una volta messi insieme quei pezzi di linguaggio, si riesce ad ottenere una sorta di enciclopedia della loro cultura e del loro linguaggio”. Villeneuve ha voluto l’artista Carlos Huante per aiutare a creare l’aspetto degli alieni. “Per creare gli alieni ho lavorato con un artista che adoro – spiega Villeneuve – ho consultato diversi profili e poi mi sono imbattuto in quello di Carlos Huante, che aveva lavorato con Ridley Scott in Prometheus e in altri film. Ho sentito che, grazie alle sue creature, quello era proprio ciò che stavo cercando: un’anima, una presenza, un mistero e anche molta originalità. Forme che non avevo mai visto prima. Alieni che credo non si siano mai visti al cinema. Ho iniziato a sviluppare l’idea assieme a lui, vagliando tonnellate di proposte. La cosa più difficile mai fatta in vita mia, è stato di provare a creare nuove forme di vita. Volevo che l’alieno fosse una creatura surrealistica, che proviene dal mondo dei sogni, degli incubi. Sotto questo aspetto è stato un successo. C’è ambivalenza negli alieni, sono pacifici o ostili? Anche il loro corpo e i loro movimenti lasciano di proposito spazio all’interpretazione e si riveleranno solo con lo svolgersi della storia. Per realizzare la loro strana forma, ci siamo sottoposti ad una lunga fase di disegno. Volevo anche che il pubblico potesse scoprire gli alieni passo dopo passo nel corso del film, non subito, perciò abbiamo svelato lentamente sempre più le caratteristiche della loro struttura e dei loro corpi”.
“Ho richiesto a Patrice di costruire realmente gli interni dell’astronave – spiega Villeneuve – era un grande impegno per la produzione ma ci ha permesso di realizzare il grande tunnel e la camera. Non abbiamo usato effetti visivi, tutto è reale, e gli attori sono riusciti a sentire la singolarità di quella stanza”. Villeneuve voleva che l’astronave sembrasse realizzata con materiali introvabili sulla Terra e sconosciuti alla scienza, inoltre voleva che l’astronave ribaltasse la nostra conoscenza della fisica. “Oltre ad una composizione dell’astronave sconosciuta agli abitanti della Terra doveva esserlo anche il suo funzionamento e il modo con cui si muove attraverso lo spazio, tutto doveva essere completamente diverso da quanto l’uomo avesse mai visto prima. Di questo devo dare merito al mio reparto montaggio, Joe Walker e il personale della Frames Store, che hanno fatto un lavoro fantastico nella realizzazione della partenza degli alieni alla fine del film”.
Se da una parte Villeneuve voleva che gli alieni e la loro astronave sembrassero provenire da altre galassie e avvolti dal mistero, dall’altra parte voleva che tutto quanto rapportato agli umani e alla nostra tecnologia, fosse il più realistico possibile. “Lo scenografo ha dovuto lavorare molto – spiega Villeneuve – volevamo che il film apparisse il più reale possibile, quindi Patrice ha dovuto compiere lunghe ricerche, per assicurarsi che le attrezzature usate dai militari fosse la più accurata possibile, oltre che semplice e non spettacolare. Non volevo che gli umani usassero una tecnologia che ancora non esiste. Volevo che usassero attrezzature disponibili al giorno d’oggi le attrezzature che usiamo per contattare e parlare con gli alieni”. Villeneuve è rimasto meravigliato dal fatto che le ricerche hanno svelato che le attrezzature dovevano essere assolutamente low tech. “Sono rimasto scioccato – dice il regista – perché se vogliamo parlare con gli alieni, dovremo usare una lavagna bianca e un pennarello per dire ‘ciao’. Non ci sono molti modi per imparare una lingua, per esprimere un linguaggio. Tutto sommato è come insegnare ad un bambino, e per me quella è un’immagine che mi colpisce per la banalità del sistema con cui contattare qualcuno di così poco ordinario, come ad esempio una diversa civiltà. Patrice si è assicurato che ogni minimo dettaglio del film risultasse autentico, dalle tute indossate dagli attori fino alle attrezzature che usano. Oggetti usati quotidianamente entreranno in contatto con quella nuova civiltà, mentre noi proveremo ad avvicinarli nel modo più umano e umile possibile”.
La comunicazione e il linguaggio alieno sono il nocciolo della storia e della struttura del film, fornendo e rivelando entrambi la struttura narrativa. “La bellezza del racconto breve è che parla di linguaggio – spiega Villeneuve – mi sono innamorato del racconto breve perché esplora il linguaggio, in modo bellissimo, poetico e potente. Il problema è che l’esplorazione intellettuale del linguaggio può risultare ipnotizzante nel racconto, in un romanzo o comunque su carta, ma in un film avevo bisogno di qualcosa per creare tensione. La presenza e l’impatto degli alieni occupa gran parte del film rispetto a quanto non faccia nel racconto. Avrei voluto avere più spazio per esplorare più a fondo il linguaggio nel film, ma il film stesso non lo consentiva. Questo è il mio unico rimpianto, avrei desiderato restare più fedele al racconto sotto questo aspetto”. Sia in forma scritta che “parlata”, il linguaggio alieno ha comportato alcune difficoltà, come ad esempio quella di creare il suono caratteristico dell’astronave. “Lo scenografo ha giocato un ruolo importante in questo progetto, perché non ha solo creato gli interni della navicella ma, cosa più importante, ha dovuto sviluppare il loro linguaggio – spiega Villeneuve – Patrice ha avuto l’idea di avvalersi dell’aiuto dell’artista Martine Bertrand. Lei ha pensato subito ad un approccio astratto. Io volevo che il linguaggio fosse spaventoso e impressionante, non volevo che ricordasse in alcun modo il linguaggio umano, un linguaggio che provenisse da un modo diverso di pensare. Martine ha avuto l’idea di creare cerchi astratti, quasi come macchie di caffè. Il modo in cui lei ha sviluppato il linguaggio, è una delle cose che preferisco del film”. Una grossa parte del lavoro svolto, ha implicato la creazione di un linguaggio credibile. “Patrice ha creato un dizionario – spiega Villeneuve – ha inventato una struttura, come sviluppare le parole, come sono costruite le parole.
C’erano cataste di documenti a spiegarmi come funzionava il linguaggio. Il livello dei dettagli e la passione con cui Patrice si è dedicato al progetto, è stata la cosa più bella da vedere.”
La creazione del linguaggio parlato dagli alieni, è stata una difficoltà con cui Villeneuve ha dovuto confrontarsi soltanto in fase di post produzione. “In fase di post produzione, ho dovuto risolvere una questione che mi si poneva ed era il modo in cui parlano gli alieni – dice Villeneuve – avevamo sviluppato la scrittura, ma c’era il problema del sonoro. Joe Walker, il mio montatore, mi ha parlato di una persona, Dave Whitehead, che vive in Nuova Zelanda, famoso per aver lavorato in un film di Neil de Camp e ne il Signore degli anelli. È un maestro del suono, uno di quelli che conoscono le onde sonore e che si interessa e sviluppa strane lingue. Pensava che l’idea fosse una bella sfida ed ha iniziato a lavorare sul linguaggio assieme a Joe Walker. Il processo ha richiesto parecchio tempo e lui è stato molto generoso. Sono molto soddisfatto del modo in cui parlano gli alieni. In realtà, non è un vero e proprio parlare, si tratta più di esprimere le emozioni attraverso il suono. Di David adoro la sua logica profonda, basata sul modo con cui gli alieni sono stati disegnati e sul loro corpo. Il fatto è che il suono più potente è il silenzio – spiega Villeneuve riguardo la progettazione del suono – ho provato a far respirare il film con un approccio minimalista. Sylvain Bellemare, supervisore del montaggio suono del progetto, ha voluto includere alcuni suoni impressionanti. Gli alieni sono muti, ma quando si muovono o fanno qualcosa, i rumori sono notevoli. Mi serviva qualcuno che inventasse un suono pazzo ed ho trovato un ingegnere del suono altrettanto pazzo – spiega Villeneuve – un mio amico, Sylvain Bellemare, era l’uomo perfetto per progettare il suono del film. Sylvain ha avuto la pazzesca idea di simulare il rumore delle rocce durante un terremoto, quando l’astronave si muove, uno dei rumori più potenti mai sentiti al cinema”.
Ovviamente non sono mancati i problemi. “Ogni film ha le sue difficoltà, e in questo la più grande era rappresentata dal suo montaggio – spiega Villeneuve – Arrival deve molto a Joe Walker. Quando siamo giunti in sala montaggio, la sceneggiatura era ancora da aggiustare e Eric, lo sceneggiatore, è riuscito a darle una nuova struttura, ma ci siamo accorti che non era ancora abbastanza dinamica e che la sensazione di ripetizione che temevo era ancora presente, oltre ad esserci ancora incongruità nel comportamento di alcuni personaggi. Alla fine ci siamo comportati come se il film fosse in un certo senso un documentario – spiega Villeneuve – ristrutturandolo e lavorando con quanto a disposizione. Abbiamo ristrutturato il film in modo che risultasse meno lineare, che aderisse maggiormente ai temi e all’idea di partenza del film. Joe ha fatto un lavoro fantastico e quando ha visto la luce ne siamo stati orgogliosi”.
Il risultato è un film assolutamente rispettoso del racconto di Chiang specialmente nel riportarne le emozioni ma allo stesso tempo anche un film che si lascia seguire bene scena dopo scena utilizzando con ottima riuscita i mezzi del linguaggio cinematografico.
Un robusto film di fantascienza, a nostro modo di vedere, che lascia il piacere di riflettere e far lavorare il cervello esattamente come succede con i racconti di Ted Chiang.
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