Alla Fantascienza va riconosciuto il merito di aver superato quell’antropocentrismo che rappresenta il perno intorno a cui ruota la letteratura mainstream. Quest’ultima, con il suo raccontare gioie, dolori e avversità che appartengono al vissuto di tutti, diventa universale, adatta ai più e di larghissima diffusione.
La stessa cosa non si può dire dei sottogeneri del Fantastico. La Science–Fiction può risultare disturbante, o quanto meno spiazzante per il grande pubblico. Forse perché, al contrario dell’Horror, non esorcizza le paure più comuni ma tende a definirne i contorni e ad anticiparne gli effetti sulla società, spesso con profetica efficacia. Può ancora ottenere grande visibilità quando, commista al Fantasy, descrive intrighi e conflitti che riprendono, allargandone lo scenario, quelli che hanno fatto la nostra storia.
Se, invece, affronta l’inesplicabile o prospetta una minaccia, l’incanto si spezza. Il lettore fugge, il genere diventa nicchia. Ma la cosa non deve stupire se si considera qualche elemento di base della psicologia di massa: in fin dei conti, una civiltà relativamente prospera come quella occidentale vive anche di rimozione.
Tuttavia la fascinazione per l’inaspettato, per il mostruoso, per il minaccioso permane e una parte dei lettori non sfugge alle sue spire.
Volendo offrire un esempio concreto, questa componente “oscura” contribuisce non poco al fascino di Bios, un bel romanzo di Robert Charles Wilson pubblicato nel 1999 da Tor negli USA e da Fanucci in Italia.
Una premessa è doverosa: l’autore, nella postfazione al romanzo, ammette di averlo scritto in un momento difficile della sua vita. Da qui scaturirebbe il pessimismo che permea l’opera e che traspare in tutte le componenti della narrazione.
La trama, a grandi linee, è questa: una tecnologia tanto avanzata quanto costosa consente all’uomo, già saldamente padrone del Sistema Solare, di raggiungere le stelle e i mondi che intorno ad esse ruotano. Ma il pianeta Isis sembra opporre una feroce resistenza all’esplorazione. L’homo sapiens non può entrare in contatto con la sua biosfera, pena una morte quasi immediata. Agenti patogeni di ogni genere, straordinariamente aggressivi e contro i quali nulla possono i sistemi immunitari delle creature terrestri, rendono quasi impossibile la presenza umana. Quest’ultima si attacca ostinatamente a stazioni di ricerca organizzate come fortezze totalmente stagne, all’interno alle quali si può accedere solo dopo lunghi e complessi processi di decontaminazione.
L’unica speranza di superare l’impasse sembra risiedere nella giovane Zoe Fisher, una esploratrice dotata di difese immunitarie potenziate.
In questo “scontro di biologie” possiamo individuare il primo elemento che caratterizza l’opera. Il nostro pianeta, nella realtà, ha visto intere famiglie di piante ed animali spazzate via da epidemie o dall’affermarsi di taxa esotici e aggressivi. Ma Isis è qualcosa in più. Rappresenta qualcosa che va oltre. Non è un comune ecosistema, per quanto complesso. È un mondo dotato di coscienza e personalità, capace di compiere scelte e azioni deliberate. Tra queste una inarrestabile offensiva, seppur priva di elementi realmente ostili, ai danni degli “ospiti” provenienti dalla Terra.
I pianeti senzienti ricorrono nella fantascienza, spesso con esiti assai felici. Due su tutti: il primo è Solaris il mondo-oceano pensante che dà il nome al capolavoro di Stanislaw Lem; il secondo è Gaia, deus ex machina in Fondazione e Terra e L’orlo della Fondazione di Isaac Asimov. Solaris è imperscrutabile nei suoi scopi e nel suo apparente rifiuto di qualsiasi forma di comunicazione. Ma la sensazione che trasmette all’uomo è più frustrante che inquietante. L’entità che domina la scena sembra voler innalzare un muro tra sé e gli estranei che, in ogni caso, beneficiano di una relativa sicurezza. La minaccia diretta non è mai manifestata.
Nel caso di Gaia, addirittura, siamo di fronte ad una forza complessivamente benevola i cui scopi ultimi tendono alla ricerca di una forma di armonia su vastissima scala.
Ma Isis non è nulla di tutto questo. Se fosse un’animale, lo si potrebbe paragonare ad un pachiderma che, nel suo incedere, schiaccia un nido d’insetti. Animato anche da genuina curiosità, non si fa scrupoli nel distruggere il corpo estraneo e anomalo che la biologia terrestre, così legata alla sopravvivenza del singolo organismo, rappresenta in un Universo in cui tutte le forme di la vita sono strettamente interconnesse.
Alla fine l’uomo, come narrato nell’epilogo del romanzo, reagisce in modo prevedibile, con una enorme estrinsecazione di potenza tecnologica e con l’invio di un nuovo gruppo di esploratori dotati di un sistema immunitario praticamente invincibile. Oppone la forza alla forza. Ammette di aver tanto da imparare, ma solo per giustificare un nuovo tentativo di conquista.
Un secondo elemento va approfondito. A parte la guerra combattuta a colpi di tossine, batteri e anticorpi che costituisce la parte più appariscente del romanzo, è emblematica la descrizione della civiltà terrestre che, così come viene dipinta da Robert Wilson, appare pienamente distopica. La società è rigidamente stratificata, quasi feudale, e in essa ad ogni individuo è assegnato un posto ben preciso. La mobilità sociale è sostanzialmente azzerata. L’economia e la politica sono dominate dalle Famiglie, élite che costituiscono dei trust mediante i quali detengono e si spartiscono il potere su un mondo attanagliato dalle disuguaglianze, dai conflitti e da ricorrenti pandemie. I membri della casta dominante e i loro agenti, inoltre, sono privi di parte della loro umanità essendo dotati di un “timostato”, una ghiandola artificiale che, regolandone il livello ormonale, li solleva da qualsiasi sensazione di sconforto, ne riduce la percezione della fatica, ne regola l’umore.
Un quadro complessivo, come si vede, fortemente distopico che costruisce uno scenario cupo, desolante, praticamente senza speranza.
Solo le lontane Repubbliche di Kuiper, remoti avamposti umani posti di fronte al vuoto interstellare, mantengono una certa indipendenza culturale e consentono agli individui di scegliere liberamente il proprio destino. Una frontiera, come quelle tanto radicate nell’immaginario americano, che consente la sopravvivenza di un barlume di libertà.
Il terzo elemento che definisce il quadro complessivo è la condizione della protagonista, Zoe, giovane vittima di un esperimento medico che ricorda l’aberrante scienza nazista praticata nei campi di sterminio. I personaggi secondari che le ruotano intorno ne mettono ulteriormente a fuoco la figura.
La scienziata ribelle Anna Chopra agisce da occulta liberatrice nei confronti della giovane, rimuovendole il timostato e donandole un futuro comprendente ogni sorta di emozioni e sentimenti.
Avrion Theophilus, spietato membro di medio livello di una delle Famiglie, si presenta apparentemente quale mentore di Zoe ma, in realtà, è soprattutto il suo aguzzino. Riesce efficacemente ad interpretare il ruolo di tutore bonario e sollecito, ma non conosce scrupoli nel condurre in porto il progetto di cui è responsabile.
Tam Hayes, capo biologo del Progetto Isis, è uno scienziato appartenente al clan repubblicano Spina Rossa di Kuiper che intreccia un complesso rapporto umano con l’esploratrice, il primo dopo quelli aberranti vissuti nel corso di un’infanzia oscura.
Infine, è Isis a comunicare direttamente con la ragazza quando questa, ormai entrata pienamente in contatto con la sua biosfera, viene travolta da un febbricitante delirio. Alla fine, anche il suo sistema immunitario potenziato finisce per cedere e la ragazza muore fondendosi con la biosfera aliena.
Sicuramente ci troviamo di fronte a un esempio di ottima fantascienza, matura nei temi e impeccabile negli sviluppi della narrazione. La critica alla società contemporanea, dove le corporation sembrano dei trust in embrione, è palese e tutt’altro che superficiale.
Il riferimento a zone del mondo preda di conflitti cruenti, insanabili e incontrollabili è quasi profetico, considerando che il romanzo è stato scritto prima del fatidico 11 Settembre 2001. La costruzione dei personaggi secondari è particolarmente felice e conferisce una spiccata coralità allo sviluppo della storia. L’originalità dell’insieme si mantiene, nonostante i temi principali (la minaccia biologica, l’ecologia aliena, un’individualità autocosciente di dimensioni planetarie) siano stati più volte e autorevolmente trattati. Su tutto, lo scenario dell’assedio che ha precedenti letterari illustrissimi ma che, in modo particolare, ricorda la Peste di Camus per la natura dell’insidia, tanto invisibile quanto letale, e per la sensazione claustrofobica che viene trasmessa al lettore pagina dopo pagina.
Non mancano, quindi, gli spunti di riflessione. È richiesta una lettura attenta, ma il premio consiste in una storia che rimane nella memoria e mantiene un ritmo avvincente dall’inizio alla fine.
Insomma, Bios è un romanzo davvero riuscito e ben inquadrato nella produzione di un autore che dell’inesplicabile e dello spiazzante ha fatto un marchio di fabbrica. Uno dei narratori più interessanti e coinvolgenti della fantascienza mondiale negli anni ’90. Ben lo dimostrano altre due sue opere, piccoli capolavori che meritano di essere meglio conosciuti dal grande pubblico e che possono soddisfare anche i palati più esigenti: Mysterium (1994) e Darwinia (1998).
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