Davanti a Piazza Unità il sole scivola sul molo e si immerge nell’acqua. Trieste oggi è raggiante, ma noi non abbiamo tempo da perdere in passeggiate: sta per iniziare la prima serie di cortometraggi del Méliès d’Argent Short, presto, tutti dentro al bunker di Trieste Science+Fiction. Ci rintaniamo in Sala Tripcovich con un caffè macchiato in bicchiere o come lo chiamano qui "un capo in b" (robe che neanche il minculpop). I corti scorrono via veloci, alcuni arrivano come proiettili e colpiscono l’immaginazione.

I need my space è la buffa e magica storia di un inventore che costruisce una navicella per scappare dall’insopportabile moglie. Ancora sorrisi con l’intergalattico Bruce Gallagan, le cui gesta spaziali assieme alla compagna sono un inchino a Star Wars esteticamente molto riuscito. Ma forse il momento più alto è la fiaba nera Till death do us part, altro chiaro omaggio stavolta al cinema espressionista tedesco. Un anziano si ritrova a vivere con la moglie appena resuscitata, cercando di rieducarla alle buone maniere. Un cortometraggio fatto di gesti e piccole situazioni, senza neanche una parola: il regista tedesco Shulz fa centro per sottrazione. Menzione speciale per Deux escargots s’en vont di Jean-Pierre Jeunet, neanche quattro minuti di animazione con doppiatori d’eccezione, da Audrey Tautou a Mathieu Kassovitz. 

Il primo vero film della giornata ci ha attivato neuroni che credevamo ormai spacciati per la mancanza di sonno. Forse l’opera più lenta e calibrata finora proiettata al festival, Blind sun avvolge il pubblico e lo schiaccia delicatamente in una morsa fatta di caldo, disagio e silenzio. Nel mondo raccontato, non troppo distante dal nostro presente, l’acqua è razionata e tutto sembra condurre verso un’imminente catastrofe: polizia violenta, disservizi, dissoluzione morale. La brulla Grecia diventa un terreno minaccioso dove il protagonista si aggira come uno spettro, in un inesorabile crescendo che sfocia in un tragico ma purificante finale fatto di fuoco e acqua. Oddio, lentissimo questo film esclama appena uscito dalla sala Riccardo, 30 anni. Forse, ma con una profondità e un rigore stilistico del genere è difficile fargliene una colpa. 

La fila per vedere la premiazione di Rutger Hauer è scoraggiante, ma noi balziamo direttamente in sala grazie alle nostre carte magiche. L’attore incassa nuovamente applausi e il presentatore chiede di indovinare la tanto attesa pellicola a sorpresa. Un burlone delle ultime file urla Furia cieca! (un action che certamente non è l’apice della carriera di Hauer) e la sala scoppia a ridere. All’annuncio che il film sarà proprio Blade Runner, c’è chi è felice di poterlo vedere per la prima volta al cinema, ma anche chi avrebbe preferito qualche perla nascosta. Però nessuno esce fuori neanche a fumare, perché dopo trentaquattro anni il capolavoro di Ridley Scott fa ancora la sua porca figura. Piccoli ululati nelle prime scene con Rutger Hauer.

Seguirà poi una sessione di botta e risposta col pubblico moderata da Giona A. Nazzaro, che noi ricordiamo per la sua cervellotica rubrica di cinema su Rumore. Chiusura al Teatro Miela con Ludo, un horror indiano dalle belle atmosfere e qualche sano momento di spavento, ma con una sceneggiatura un po’ traballante. Credevo che il cinema indiano fosse tutto tipo Bolliwood dice ancora spaventata Irene, 21 anni. Tutto tipo Bolliwood? Questo sì che fa paura.