Quante volte noi appassionati di fantascienza ci siamo posti delle domande su come potrebbe essere mangiare nello spazio, come cucinare e in che formato potrebbe essere il cibo. Attualmente Internet e le missioni spaziali reali ci permettono di sapere con esattezza quali cibi vengono consumati nello spazio e quali processi subiscono per poter essere ingeriti.
Il sito Avamposto42 è stato creato dall'astronauta Samantha Cristoforetti e ci offre una fotografia reale ci ciò che accade in una missione spaziale, anche in relazione ai pasti e ai cibi utilizzati. In realtà esiste un laboratorio specifico a Torino, chiamato Space Food Lab di Argotec, che esegue determinati controlli e test sui cibi che poi potranno essere inviati nella Stazione Spaziale Internazionale, primo requisito è che abbiano una durata di almeno diciotto mesi, ma come far durare tanto il cibo senza che si utilizzino sproporzionatamente conservati ed additivi. Samantha spiega che è necessario sottoporre gli alimenti a dei trattamenti specifici che possano ovviare i problemi derivanti dalla mancata eliminazione della carica batterica, come ad esempio la termostabilizzazione. Tali processi possono potenzialmente preparare qualsiasi alimento perché possa essere consumato nello spazio. Magari non sarà possibile utilizzare gli strumenti da cucina ai quali siamo abituati, come allestire un barbecue nella cucina della navicella spaziale, ma non siamo poi così lontani visto che è già stato inventato un barbecue “stargate”, che per la forma ci ricorda il portale utilizzato nella omonima serie per viaggiare nel tempo e nello spazio.
Certo è strano riconoscere che quanto immaginato dai creatori di serie e film di fantascienza, non solo ci ha permesso di fantasticare su come potrebbe essere il cibo nello spazio, ma spesso è stato davvero la base per sviluppare nuove tecnologie. In realtà ciò che alcuni decenni fa poteva sembrare pura immaginazione futuristica, sono state invece delle vere e proprie anticipazioni sulle nuove tecnologie che oramai fanno parte della nostra quotidianità o comunque sono oggetto di studio per l’avanzamento tecnologico.
Ad esempio nel famoso film di Kubrick 2001: Odissea nello spazio, uscito nell’ormai lontano 1968, proprio durante la scena nella quale viene consumato il pasto, l’equipaggio si serve un piatto con comparti rettangolari, contenenti varie tipologie di purea di diverso colore. La curiosità è che ognuno mangia visualizzando un monitor dove si aggiornano attraverso riproduzioni di immagini e notizie. La somiglianza di questo dispositivo tecnologico con lo schermo piatto dei nostri attuali tablet è talmente veritiera che è stata utilizzata per il processo tra Samsung e Apple in relazione al reale inventore di questo strumento tanto diffuso ai nostri giorni.
E ancora, sembra che i “replicatori” utilizzati nelle serie di Star Trek, siano stati lo spunto per i progettisti che hanno cercato di sviluppare l’idea della stampa tridimensionale del cibo. Nella serie originale, l’equipaggio della famosa Enterprise si nutre utilizzando una specie di macchina-sintetizzatore che una volta introdotte delle schede di diversi colori attraverso la sua fessura, restituiva diverse tipologie di cibo in forma di cubetti, ma sembra che questa era in grado di preparare anche bibite e gelato. La tecnologia della sintetizzazione si trasforma poi nelle serie successive con l’introduzione dei “replicatori” che con un semplice comando vocale erano in grado di preparare cibi e bevande più simili a quelle da noi conosciute, con qualche eccezione come ad esempio la birra blu, specialità romulana.
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