Era il giugno del 1991 quando, nelle edicole italiane, apparve una nuova testata della Sergio Bonelli Editore dal titolo Nathan Never. La casa editrice di Tex, Zagor e Dylan Dog, si lanciava nel pirotecnico mondo della fantascienza e lo faceva grazie a tre giovani sceneggiatori, già all'attivo con varie storie scritte soprattutto per Martin Mystère e Dylan Dog: Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna.
A onor del vero, la fantascienza aveva già fatto capolino in molte storie dei vari personaggi della casa editrice milanese. Basta pensare a Martin Mystère di Alfredo Castelli, che dalla fantascienza attingeva linfa vitale per molti dei suoi albi, ma anche personaggi come Tex e Zagor – apparentemente i più lontani dalla tradizione letteraria, fumettistica e cinematografica della science fiction – hanno avuto il loro incontro con alieni e mostri vari.
Nathan Never, tuttavia, segnava un deciso passo nel mondo della fantascienza, laddove lo stesso personaggio e lo scenario da cui partiva la nuova serie fumettistica prendevano le mosse dal film Blade Runner di Ridley Scott, uscito nove anni prima nelle sale cinematografiche.
La scelta iconografica degli autori e dei disegnatori non è più quella della fantascienza anni Cinquanta, ma si sposta decisamente sulla science fiction più moderna: dal cyberpunk degli anni Ottanta di autori come William Gibson e Bruce Sterling, ai manga e anime di quegli anni, fino al cinema del decennio appena passato, con pellicole quali il già citato Blade Runner (1982) a Tron (1982) di Steven Lisberger, da Interceptor (Mad Max, 1979) e il suo seguito Interceptor – Il guerriero della strada (Mad Max 2), entrambi di George Miller, fino a Terminator (1984) di James Cameron. Ma la lista sarebbe lunga.
Come Rick Deckard, il personaggio del film di Scott, tratto da romanzo del 1968 Il
cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?) di Philip K. Dick, anche Nathan Never è un ex-poliziotto e un antieroe, più che eroe nel senso pieno. Incorruttibile, coraggioso e per certi versi tradizionale, Never ama collezionare vecchi film, vecchi libri, quelli di un mondo passato, forse perché quello in cui vive non gli piace molto. Siamo nel 2177 e il mondo è fatto di megalopoli tecnologiche e senz'anima. La città in cui Never vive e lavora, infatti, non ha un nome, ma è “la città”, un agglomerato di acciaio e cemento, diviso in più livelli, dove convivono mutanti (chiamati nel fumetto Mutati) e robot e cyborg, umani e postumani, poveri e ricchi, spacciatori di droghe e persone normali. Insomma, un'umanità figlia della singolarità tecnologica professata tra gli altri dall'informatico Raymond Kurzweil e dallo scrittore di fantascienza Vernon Vinge.
Nathan Never ha compiuto 25 anni e per l'occasione, Bepi Vigna ha dato il via ad una nuova miniserie, composta se albi, dal titolo Giorni oscuri – Nathan Never Annozero, con i disegni di Roberto De Angelis.
Con Vigna abbiamo parlato del successo di questo personaggio della Sergio Bonelli Editore e della miniserie Giorni Oscuri.
Ci racconti come è nato Nathan Never, intendo come personaggio, e quali sono state le “fonti” dirette per la sua caratterizzazione?
Io e i miei due colleghi eravamo tre giovani sceneggiatori con ancora poca esperienza, ma molto sicuri di sé. Nathan è nato grazie anche alla nostra sfrontatezza giovanile che cii portò a proporre una serie a Bonelli, il maggior editore italiano.
Per il volto del personaggio l’idea di partenza è stato il Michey Rourke dell’Anno del Dragone, ma poi il volto venne modificato, perché volevamo una faccia nuova, che non fosse riconducibile a un personaggio noto. Era necessario anche creare un’icona riconoscibile e per questo pensammo a un impermeabile “eccessivo” che apparisse come un mantello sempre svolazzante; la barba incolta doveva sottolineare l’animo tormentato; i capelli in parte bianchi, erano il segno di un trauma vissuto in passato, dovevano ricordare costantemente il senso di colpa che affliggeva il nostro eroe.
A 25 anni di distanza dall'uscita nelle edicole, a cosa attribuisci il continuo successo di Nathan Never e che bilancio ti senti di tracciare?
Probabilmente il successo iniziale è stato aiutato anche dal fatto che, qualche anno prima, c’era stato il fenomeno Dylan Dog. Quando fu annunciato che la Bonelli usciva con una nuova collana di fantascienza si creò una grandissima attesa.
Noi siamo stati bravi a creare un personaggio che aveva molte sfaccettature, quindi non era scontato. Credo che questo aspetto derivi anche dal fatto che noi tre autori siamo persone molto diverse tra loro per gusti, esperienze, interessi culturali. Poi fin dai primi anni abbiamo cercato sempre di rinnovarci, dando vita periodicamente a delle saghe che ridefinivano i parametri della serie e introducevano nuovi personaggi.
A leggere molte storie di Nathan Never, c'è senza dubbio un legame stretto con la narrativa di fantascienza, a partire dai classici e soprattutto con il cyberpunk che proprio in quegli anni era molto di moda anche nel nostro Paese. Quali sono i tuoi scrittori preferiti?
Il cyberpunk ci ha certamente influenzato molto. Avevamo letto Gibson e avevamo capito che l’interazione uomo-macchina sarebbe stato un tema sempre più presente nella realtà.
Sono tantissimi i romanzi di fantascienza che mi verrebbe da citare, opere di autori come Bradbury, Dick, Henlein e naturalmente Asimov, ma non trascurerei Richard Matheson. Se dovessi scegliere un libro direi Dune di Frank Herbert. Oltre alla fantascienza non bisogna trascurare il romanzo poliziesco, soprattutto la scuola hard-boiled americana (Chandler e Hammett su tutti).
Rispetto a 25 anni fa, oggi i media si sono moltiplicati e non c'è dubbio che il cinema, la televisione, il fumetto stesso, i videogiochi e la Rete si intrecciano di continuo in un Melting pot culturale e mass-mediatico. Quanto tutto questo influenza anche la scrittura di un fumetto di fantascienza come Nathan Never?
Oggi nella narrativa tutto sta cambiando, è in atto una rivoluzione epocale destinata a mettere in discussione le forme e le strutture del vecchio racconto. Personalmente sono molto felice di poter vivere questo momento. Il fumetto, che è un mezzo espressivo ibrido, recepisce prima i cambiamenti e spesso riesce anche ad anticiparli.
Ad accelerare il rinnovamento in atto hanno contribuito la televisione, internet, i videogames. Rispetto alla vecchia fabula il videogame ha sostituito gli “avvenimenti” con le “attività”, spingendo i meccanismi interattivi fino a una serie di prove organizzate su diversi livelli. Se nei giochi tradizionali di un tempo le regole erano enunciate chiaramente, una volta per tutte, nei videogames non esistono più norme ferree, ma spesso queste devono essere identificate dal giocatore ed è proprio attraverso di esse che l’impegno ludico prende forma di narrazione.
Un tempo i prodotti seriali erano considerati un ambito spurio in cui si relegavano d’ufficio i fumetti e i racconti illustrati e tutti i prodotti narrativi (letterari e non), che si rifacevano a un “genere” (come i “gialli”, la fantascienza, l’horror, il western). Oggi, invece, ci si accorge che il modello seriale ha delle potenzialità enormi: è come se si scoprisse una forza, rimasta a lungo inespressa, che permette di superare i limiti del romanzo e del film, consentendo di sperimentare nuovi impianti drammaturgici, avventurarsi in approfondimenti, digressioni, sfumature e introspezioni, fino a poco tempo fa impensabili all’interno di un unico prodotto narrativo.
Ci spieghi un po' come nasce una storia di Nathan Never, dall'ideazione del soggetto fino alla stesura dei disegni?
Uno spunto narrativo può nascere in molti modi, da una emozione, da un’immagine, da un’esperienza di vita.
Io prendo continuamente appunti, annoto frasi che sento o che leggo, cose che vedo, considerazioni che mi vengono in mente. Molto spesso da questi appunti nascono poi delle storie.
Di solito non scrivo dei soggetti troppo dettagliati, altrimenti la sceneggiatura diventa un lavoro troppo meccanico: il vero momento creativo preferisco che sia quello in cui si scrivono le scene e i dialoghi, in cui si studia la griglia della tavola e si mettono le indicazioni per le inquadrature all’interno della vignetta.
Se devo scrivere per un particolare disegnatore cerco di fare in modo che il mio testo si adatti il più possibile al suo tratto, quindi scelgo inquadrature e atmosfere anche in base a quello che il disegnatore potrà fare.
Per i suoi 25 anni, è in edicola la miniserie in 6 albi Giorni oscuri. Come ti è
nata l'idea di far tornare il personaggio alle origini, prima ancora che fosse assunto dall'Agenzia Alfa?
Volevo raccontare la storia dall’inizio, rivelando anche delle cose non erano state mai rivelate, proporre una “verità” che i lettori non hanno mai nemmeno immaginato.
Da un lato volevo sorprendere i vecchi lettori, ma da una altro lato sentivo anche l’esigenza di recuperare lo spirito dei primi albi e di presentare Nathan e il suo mondo anche a un pubblico nuovo, che magari lo scopriva la prima volta.
Senza raccontare nulla della minisaga, ci puoi anticipare cosa deve aspettarsi il lettore?
Anno Zero è un esperimento per provare a ridefinire il rapporto tra i lettori e la serie. Quindi il lettore si deve aspettare delle sorprese. Ma non posso e non voglio aggiungere altro.
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