Dopo avere gerovitalizzato il genere dei "sandaloni" e dopo avere fatto di Hannibal (a scapito, forse, della qualità complessiva della saga) un mega successo internazionale, Ridley Scott torna alla regia per un altro film destinato a fare la storia del cinema. Anche se la sceneggiatura di Black Hawk Down sembra non proporre nulla di nuovo a livello concettuale, dal punto di vista strettamente cinematografico si può parlare di esperienza "interattiva" con lo spettatore catapultato al centro di Mogadiscio, quando - il 3 ottobre 1993 - un centinaio di soldati americani si trovarono a dovere fronteggiare un'esplosiva situazione di guerriglia, durante una normale operazione di polizia internazionale. E se da un lato Black Hawk Down propone velocemente la riflessione su temi come l'amicizia, il cameratismo, gli interventi militari in altre nazioni del mondo, la lotta per la sopravvivenza, d'altra parte il pubblico è portato qualche passo più in là di dove era stato accompagnato da cineasti come Kubrick, Stone, Coppola e De Palma. Apocalypse Now!, Full Metal Jacket, Platoon e Pearl Harbor sembrano, in confronto, delle passeggiate. Ridley Scott ha costruito un film tecnicamente perfetto in cui ci si sente in prima linea, sotto il fuoco del nemico che sembra venire da ogni dove. E se le immagini contano molto di più delle parole non si può negare che il messaggio di impotenza, dolore, rabbia, violenza e morte che ci viene mostrato da Black Hawk Down vale assai di più di centinaia di dichiarazioni di pace. Gli uomini catapultati in questa battaglia senza quartiere non sono degli eroi, ma dei disperati costretti a sopravvivere perfino all'idea che la propria tanto sbandierata efficienza sia messa in crisi dai Signori della guerra di un piccolo stato africano precipitato in una guerra civile senza uscita. La Somalia di Ridley Scott è la tomba di tutte le illusioni di supremazia militare con un cinema potente e devastante che pone lo spettatore dinanzi a quello di cui è fatta la guerra. Incertezza, paura, rabbia. Black Hawk Down rappresenta per il 2000 quello che Apocalypse Now è stato per gli anni Settanta.