Un noto commentatore televisivo, in crisi di ascolti, annuncia il suicidio davanti alle telecamere: il pubblico è elettrizzato e la trasmissione fa registrare un’impennata degli ascolti. Immediatamente, una giornalista e la rete televisiva decidono di sfruttare la situazione, trasformando il conduttore in una specie di predicatore dell’etere. Da quel momento ha un successo strepitoso, specie da quando – credendosi direttamente in contatto con Dio – diventa una sorta di profeta. Quand il suo indice riprende a scendere, il commentatore televisivo viene ucciso in diretta da un terrorista.

Non è un fatto di cronaca, ma la trama del film Quinto Potere (1976), del regista americano Sidney Lumet. Un film che allora, come oggi, suona come una denuncia sullo strapotere della televisione e la presa di coscienza sul ruolo guida assunto dal piccolo schermo nel sistema dei mass-media. Ma la trama del film è anche un precursore dei tanti reality show che impazzano in tv, a cominciare dal capostipite Il Grande Fratello.

Nel film di Lumet, nel momento in cui l'anchorman televisivo annuncia il proprio suicidio in diretta televisiva, supera un confine, rende minima – se non l’abolisce del tutto – quella distanza sempre esistita tra chi la televisione la fa e chi la guarda. E questo il meccanismo che c’è alle spalle del format de Il Grande Fratello. Ma è solo la punta di un iceberg molto più grande, di un fenomeno che lo studioso canadese David Lyon ha definito “gabbia elettronica”, nel suo saggio La società sorvegliata. Tecnologie di controllo della vita quotidiana (2002).

La sorveglianza delle nostre città – guarda caso attuata proprio con l’occhio elettronico delle telecamere –, i reality show che impazzano per le tv di tutto l’Occidente, la voglia di voyeurismo che dilaga su Internet sono tre fenomeni sociali, solo apparentemente dissimili, ma che in realtà sono profondamente legati e rappresentano le facce di una stessa realtà: stiamo – senza essere catastrofici o apocalittici – dirigendoci verso un’era da Grande Fratello di orwelliana memoria.

Basta pensare al ruolo delle telecamere di sorveglianza, sempre più presenti nelle nostre città, quando accadono fatti delittuosi o che interessano la collettività. Se c'è stato un delitto o un abuso o qualsiasi altro fatto che deve essere fatto conoscere al pubblico, si va a vedere se nei dintorni ci sono delle telecamere che hanno ripresto tutto. E state pur certi che una telecamera quasi sempre ha ripreso il fatto.

I social network, come facebook o youtube, fungono da “palcoscenico” ed ecco che il video viene diffuso su tutti gli schermi, piccoli o grandi che siano.

Questo proliferare d’immagini pone, ovviamente, enormi questioni in tema di privacy, di libertà individuali. Per un verso il diffondersi delle tecnologie legate alla sorveglianza e al controllo ha raggiunto un sviluppo inimmaginabile solo qualche anno fa; dall’altro verso, l’uso di tale tecnologia ha modificato sempre più lo stesso concetto di sorveglianza e di privacy.

La videosorveglianza nei luoghi pubblici – dalle banche alle fermate della metropolitana, dagli uffici postali ai supermercati, fino agli alberghi –, il rilevamento della traccia elettronica lasciata dall’utilizzo di bancomat e carte di credito, fidelity card delle insegne distributive e dell’iscrizione a quel sito Internet per ottenere determinate informazioni sono vere e proprie forme di controllo che producono una gran massa di dati che finiscono in altrettante banche dati. Se una volta, però, tali dati erano rilevabili e usati solo da forze di polizia e organismi similari, oggi sono i signori del marketing a tracciare – con queste informazioni e le nuove tecnologie della comunicazione – il profilo di ciascun cittadino, o meglio di ciascun consumatore.

Ognuno di noi, insomma, è intrappolato in una rete tecnologica che traccia il nostro profilo di consumatore e si diventa così facili bersagli per manipolazioni e pressioni di vario genere. E a questo fenomeno che fa riferimento David Lyon, il quale sottolinea con forza che tutto ciò non può che generare anche un profondo problema di democrazia.

A questo scenario reale, che può sembrare apocalittico, gli scrittori di fantascienza ci erano già arrivati, ma il mondo che è fuori da quello fantascientifico non lo sa, o forse ha pensato che era meglio non sapere.