Mi viene difficile parlare con obiettività della Deepcon numero 17, che mi ha visto
come ospite oltre che come convenuto. Pertanto vi affido a chi ne ha scritto in rete, come per esempio Fantascienficast, e vi riassumo solo la breve ma intensa chiacchierata che, insieme a Marco Passarello, ho avuto con Walter Koenig, attore che ricordiamo come Pavel Checov di Star Trek, che gli ha dato sicuramente la fama e l’occasione per interpretare quello che invece ritengo sia il suo ruolo più interessante: Alfred Bester, l’alto ufficiale degli PSI Cop, la polizia dotata di poteri telepatici della serie Babylon 5 di J. Michael Straczynski.
Philip K. Dick afferma che il fascismo è il nemico ovunque appaia. Alfred Bester è un agente del fascismo? È neutrale? È buono? Cosa ne pensa?
Ritengo che come attore non si possa etichettare un personaggio che si interpreta in modo contraddittorio a quelle che sono le proprie idee, ma per interpretarlo dal punto di vista del coinvolgimento, devi credere nel personaggio. Se lo etichettassi come fascista, allora starei esprimendo un’opinione e non vivendo quel personaggio. Quindi quello che devo fare, e che ho fatto, è giustificare il suo comportamento nella mia mente. A prescindere da quello che potrei pensare di quel personaggio nella vita reale. Per me, lui dev’essere giustificato. E devo credere in quello che fa, nel suo comportamento. Quindi prima di tutto lo guardo dal punto di vista della devozione verso la sua gente. Lui svolge delle indagini per salvarla. Non si ritiene un assassino, ma un difensore di ciò in cui crede. Ed è così che io lo considero. Non permetto agli altri elementi di interferire.
Koenig è egli stesso scrittore. Tra le tante cose, negli anni ’90 ha scritto una serie a fumetti per la Malibu Comics, nel 2006 ha scritto, interpretato e prodotto un film di fantascienza intitolato InAlienable e nel 2013 una miniserie, poi raccolta in volume, chiamata Walter Koenig's Things To Come disegnata da J.C. Baez, e pubblicata dalla Bluewater Comics. Mi è sembrato quindi interessante approfondire il suo processo creativo.
Quando crea le sue storie, è ispirato più dalla sua esperienza come attore o da quella come lettore?
Dicono “scrivi delle cose che conosci”, sicuramente questo fa parte del processo. Quindi, anche se inserisco il personaggio in una situazione che non conosco, devo pensare di sapere come reagirebbe, attingendo al mio essere, a come io reagirei.
È davvero una combinazione di cose. Io non so nulla di vampiri, ma ho scritto un graphic novel su come sono nati e si sentono. A rendere diversa la mia storia è il fatto di non essere incentrata sul succhiare sangue, ma su come esistere in un mondo dove sei l’unico essere senziente e ti senti fuori posto, senti di non appartenere a quel luogo. I miei vampiri si sono evoluti da alcuni gruppi di unità e vengono puniti per quello che gli umani hanno fatto, perché gli umani si sono autodistrutti. Costruiscono una chiesa, chiedendo il perdono di Dio, almeno una parte dei miei vampiri… mentre altri accettano la loro sorte e sono disposti ad andare avanti e a vivere come impongono i loro corpi e la vita. Ma ho inserito l’aspetto del confronto, perché penso che siamo sempre in conflitto con noi stessi: faccio questo o faccio quello? Dico qualcosa di brutto su un mio amico? Ma se non lo faccio ferirò altre persone, cose del genere. Abbiamo sempre a che fare con conflitti di questo tipo. Quindi i miei vampiri sono in conflitto, e da loro si sviluppa un’altra generazione di esseri umani. Quindi penso che il processo (di scrittura) debba sempre vertere su cosa può creare la tua mente, e cosa può portare il tuo cuore alla storia per renderla commovente e credibile.
Nel 50° anniversario della nascita di Star Trek però, è stato doveroso parlare del suo creatore.
Un ricordo di Gene Roddenberry.
Gene era una persona molto affabile, nella mia esperienza, e con tutti. A parte
forse Gesù Cristo, non esiste una persona di cui qualcuno non parli male. Gene era una bella persona, possedeva un senso dell’idealismo, voleva esprimere il fatto che il nostro mondo doveva migliorare rispetto a com’era. Aveva prestato servizio nell’aeronautica militare, aveva volato sugli aeroplani, era stato un poliziotto, aveva anche visto quel lato (brutto) della vita, ma a dispetto di questo aveva un modo molto umano di affrontarla, e le sue storie erano finalizzate verso un’epoca in cui avremmo potuto vivere tutti insieme. Per questo (nella serie) avevamo un’afro-americana, un nippo-americano o asio-americano e un russo quando (nel mondo reale Ndr) eravamo durante la Guerra Fredda. Li mise tutti a bordo dell’Enterprise, ed è questo probabilmente il regalo più grande che ha dato come contributo alla cultura: mostrare che, anche se la serie si svolgeva in un mondo futuro, che non avevamo ancora abbracciato, quell’epoca in cui potevamo tutti andare d’accordo e vivere insieme poteva arrivare. Anche se sono sicuro che si rivolterebbe nella tomba se vedesse quello che sta accadendo negli Stati Uniti in questo momento in particolare. Voglio dire, è imbarazzante nei confronti del resto del mondo, è un sacrilegio per quanto mi riguarda che persone che sono in corsa per diventare Presidente degli Stati Uniti abbiano certe opinioni, e che questo si ripercuota terribilmente sulle persone che votano per loro. E possiamo disapprovarli, possiamo disapprovare i Trump e i Cruz quanto si vuole, ma ci sono moltissime persone là fuori che li applaudono, ed è una situazione orribile. Qualcuno mi ha mandato una mail, e alla fine parlava della Germania nazista, dicendo: “La nostra nazione, gli Stati Uniti, non sono la Germania nazista, non ci siamo minimamente vicini”. Ma sapete… dal seme più piccolo nasce un albero, e io sono preoccupato perché ci troviamo nella stessa situazione sociologica, economica e politica perché una cosa del genere possa accadere nel caso in cui lui venisse eletto. Se Trump, persino se Cruz venisse eletto. Spero vivamente che questo non avvenga, e ritengo che la maggioranza delle persone sane di mente pensi che non avverrà.
Credo che quando ha iniziato a recitare in Babylon 5 si sia trovato nel pieno della transizione tra le serie a episodi autoconclusivi e quelle a lungo arco narrativo e trame complesse, come vengono realizzate oggi. Com’è stata questa esperienza? E pensa che ci siano stati solo lati positivi o anche alcuni negativi?
Be’, penso che abbia funzionato benissimo. Il problema con Babylon 5 fu che Joe Straczynski la scrisse originariamente per un arco di cinque anni, ma poi a metà del terzo anno, o meglio verso la fine, gli dissero che avrebbe avuto soltanto un altro anno a disposizione. Così dovette assottigliare l’arco di cinque anni, e terminare la storia in modo più repentino. Cerco di risolvere nel quarto anno tutte le questioni rimaste in sospeso. Poi gli dissero: “Oh, indovina un po’? Ti diamo un quinto anno”. Questo dopo che aveva risolto tutto nel quarto. E fu molto difficile. Ma lui è un narratore straordinario, meraviglioso, dotato di una mente eccezionale. E se non avesse subito quell'interruzione, penso che la storia si sarebbe risolta in un modo estremamente soddisfacente per tutti. Per come sono andate le cose, ha fatto un ottimo lavoro di manipolazione della storia, per far sembrare che finisca e poi farla continuare. Penso fosse fantascienza straordinaria, una serie grandiosa, che avrebbe potuto raggiungere il genere di successo che ha avuto Star Trek, perché in essa c’erano persone ottime, non soltanto attori di grande talento, ma i personaggi erano buoni, quasi tutti, e personificavano il meglio di noi stessi, e tendiamo a identificarci con persone del genere. Quello che voglio dire è che il messaggio si sarebbe potuto diffondere molto di più, e avrebbe potuto permeare la cultura più di quanto abbia fatto in queste circostanze attenuate, visto come è stata troncata la storia. Ai personaggi non è stato permesso di svilupparsi quanto avrebbero potuto. Ma resta la produzione a cui ho preso parte di cui vado più fiero.
Capisco. Star Trek aveva una visione molto ottimistica. Si vedono uomini di nazionalità diverse lavorare insieme, di solito anche insieme ad alieni, ma da allora in poi la fantascienza è diventata sempre più pessimistica. Semplicemente riflette i cambiamenti dei tempi o pensa che la fantascienza dovrebbe tornare a essere ottimista?
Penso che la fantascienza dovrebbe essere di nuovo ottimista, perché così ci darebbe uno scopo verso cui tendere. Non penso che questi siano tempi ottimistici. Forse sono troppo melodrammatico, forse sono troppo drammatico, ma sono davvero molto preoccupato per la direzione che sta prendendo la nostra nazione, gli Stati Uniti. E ritengo ci serva un faro che ci mostri come possiamo fare meglio di come stiamo facendo. Il razzismo sta dilagando nel nostro paese, è terribile. L’ignoranza della persona media è sconcertante. Proprio non capiscono. Guardano i fronzoli e pensano che una persona come Trump sia piacevole e divertente, ma ignorano quello che dice e quello che rappresenta. Non tutti, ovviamente, e si spera non la maggioranza, ma di certo nel partito repubblicano sono disposti a seguirlo, a prescindere dalle conseguenze, perché questo gli darebbe potere. Ed è quello che è accaduto in Germania negli anni ’30: qualcuno li fa sentire potenti, di nuovo al comando delle proprie vite, indica che hanno qualcuno da odiare, che è il motivo… qualcuno contro cui possono puntare il dito, che rappresenta la causa del pessimo momento che vivono, il motivo dello stato in cui si trovano. Lo stiamo vedendo di nuovo. Di certo in questo momento non sarebbe giusto dire che il nostro corso e il corso di Hitler sono la stessa cosa, non sono ancora la stessa cosa. Ma sta succedendo abbastanza… c’è abbastanza da osservare, se si riesce a vedere oltre gli alberi e scorgere la foresta, sta succedendo abbastanza per essere molto preoccupati… davvero molto.
L’ultima domanda. Abbiamo perso Star Trek e bramiamo un altro film e un’altra serie televisiva, ma… non pensa che a Hollywood ci sia troppo rimaneggiamento verso quei giorni, rimodernando sempre del materiale vecchio invece di fare qualcosa di più creativo?
Vuoi che facciano qualcosa di più creativo?
Voglio dire, parlando in generale, pensa che a Hollywood ci siano troppi remake e troppe poche novità?
In generale, l’industria è alimentata dal denaro. Il minimo comun denominatore è: cosa ci farà guadagnare soldi? Così funziona. Se dobbiamo fare storie che ispirano, che hanno implicazioni umanitarie, o che sono molto toccanti e personali, e hanno successo, siamo fortunati. Ma l’industria è progettata per spendere da cento a duecento milioni di dollari per fare un film che sia uno spettacolo, che abbracci tutto il mondo, e quindi dia un profitto che giustifichi l’enorme somma investita. Non si possono fare film del genere, parlando in generale, senza rinunciare a qualcosa. E quello a cui rinunciano è la storia personale, la storia umana. La sostituiscono, e al suo posto mettono la CGI, le esplosioni e tutti i bellissimi ma insignificanti effetti visivi. E questo è attraente per il denominatore comune, non per l’intelligenza di qualcuno, o il senso di qualcuno di ciò che è giusto ed è importante esporre: insegnare al nostro mondo a essere un posto migliore. Abbiamo sempre avuto film a Hollywood, e nel resto del mondo, che hanno parlato della condizione umana, delle gravissime conseguenze della vita, se scegliamo di percorrere la strada sbagliata. Penso che ora siano meno diffusi, quanto più denaro viene pompato in questi spettacoli. Resta il senso dello spettacolo, ma non quello del cuore umano, e penso che questo rappresenti un problema. Sto generalizzando. Posso citare tre o quattro film, realizzati in America, o almeno girati in inglese, che ho visto lo scorso anno e che sono bellissimi. Per esempio 99 Homes è un altro di questi film che parlano della condizione umana e ti fanno sentire bene, e pensare alla fine che siamo una razza che vale la pena di salvare.
Si ringraziano per l’aiuto alla trascrizione Flora Staglianò e Gabriella Gregori.
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