Trasmesso in USA per la prima volta il 10 settembre del 1993 e giunto, quasi un anno dopo, sui nostri teleschermi di Canale 5, X-Files ha restituito agli spettatori di mezzo mondo il gusto di quel mistery drama che molti davano per sprofondato nella palude di quiz, varietà, talk show tutti gravitanti nell’odierna televisione generalista.
Un sincero plauso al suo ideatore, il californiano Chris Carter, capace di pianificare ed imporre le proprie scelte ad un colosso dell’Entertainment come la Twentieth Century Fox: dall’indicazione dei due attori protagonisti (nulla a che vedere coi “modelli” di Baywatch o Melrose Place) al sapiente dosaggio di effetti speciali (non risparmiando momenti ed immagini di straordinario spettacolo) fino alla costituzione di uno staff affiatato, composto da bravi sceneggiatori come Howard Gordon, Alex Gansa, la coppia Glen Morgan e James Wong (messasi per breve tempo in proprio con Space: Above & Beyond), registi affidabili come David Nutter (i migliori episodi della prima serie portano la sua firma), scenografi e fotografi (Graeme Murray e John Bartley) in completa sintonia con l’atmosfera irreale e sulfurea del programma; una singolare colonna sonora (Mark Snow) e la “magia” finale del Dipartimento Costruzioni diretto da Rob Maier, in grado di allestire dal nulla interi set. Un organico funzionale come una buona squadra di calcio, in gradi di potenziarsi con pochi buoni acquisti (il regista/producer Rob Bowman, ad esempio) e con l’ottimizzazione di risorse umane e finanziarie a propria disposizione.
Era dai tempi di Ai Confini della Realtà e Star Trek che non si assisteva ad un così
vasto consenso di pubblico e di critica (espansosi in almeno 60 paesi di tutto il mondo), talmente accattivante da conquistarsi anche le roccaforti dei periodici più diffusi e alla moda: quelli dotati di almeno mezza dozzina di opinionisti sempre pronti a puntare l’indice sulla “… Tivvù violenta e diseducativa”.
Ad X-Files vanno riconosciuti molti meriti. Inizialmente prodotto dalla Fox Tv nei suoi studi di Vancouver (Canada), questo serial riesce miracolosamente ad offrirci un riuscito esempio di “melting p(l)ot”: Cronaca e Finzione, scrupolose ricerche scientifiche e spregiudicate ipotesi paranormali vi si intrecciano sapientemente. Fin dai suoi primi fotogrammi, sigla compresa, veniamo condotti per mano di una trama elementare ma ipnotica. Protagonisti assoluti: i due agenti FBI Fox Mulder e Dana Scully che si ritrovano ad indagare fianco a fianco per “ordini superiori”. Lui è un solerte studiosi di fenomeni occulti (“spettrale” è il soprannome che gli hanno affibbiato i colleghi). Lei una fedele osservante dei dogmi della Dea Ragione. Entrambi, però, dovranno confrontarsi con inquietanti omicidi ed un rapimento di matrice extraterrestre. Da quel momento le loro vite finiranno segnate per sempre dall’ossessione per l’Ignoto e la ricerca della Verità.
Un “oscuro scrutare” rivolto alle arcane presenza in agguato sul nostro pianeta, oltre le cortine fumogene erette da settori deviati del governo e dei Servizi Segreti.
Terminati gli elogi, qualche critica è d’obbligo: la caratterizzazione dei personaggi, inizialmente, risulta un po’ rozza. Carter scrive la maggior parte dei primi dieci episodi ma l’esigenza di evidenziare il “contrasto” tra i due detective dell’Insolito lo spinge a soluzioni frettolose. Pur di fronte alla più schiacciante delle evidenze, e dopo averne già viste di tutti i colori, Scully (l’algida ma attraente Gillian Anderson) ostenta uno scetticismo che travalica i limiti del buon senso e del verosimile. Il suo personaggio corre il rischio del facile stereotipo. Idem dicasi per Mulder (il pur discreto David Duchovny). Al contrario di Scully fa di tutto per ingraziarsi le simpatie dello spettatore ma la sua natura “riflessiva” finisce spesso col rasentare il grottesco: là dove l’eroe degli anni ’60 ancora ricordava come rifilare un pugno in piena faccia la rappresentante di quel Potere incurante delle persone che schiaccia, il paladino di Fine Millennio si limita a sguardi carichi di insofferenza e indignazione (vedere l’episodio Il Diavolo del New Jersey scritto da Carter, od anche Caccia all’Alieno, di Howard Gordon e Alez Gansa).
Ad onor del vero, molti dei difetti citati vengono già “rattoppati” nel corso della prima serie, con una rapidità insolita per gli standard della moderna fiction televisiva. La qualità degli script prende già il volo in Contatti, episodio numero dodici scritto dalla coppia Morgan-Wang e diretto da David Nutter. Un miglioramento che raggiunge l’acme già nella seconda stagione con magnifiche storia quali Lo Scambio e L’Ultimo Respiro (anche se con qualche traccia delle imperfezioni di prima) e, soprattutto, in piccoli capolavori come La Pelle del Diavolo e Misteri Vudù. Vertici quasi sempre confermati anche nelle serie successive (ormai siamo arrivati alla sesta stagione) con cicli di storie come quello di Anasazi ed episodi speciali scritti da maestri del fanta-mainstream del calibro di Stephen King (Chinga) e William Gibson (Intelligenza Artificiale). Un mezzo passo falso va invece considerato X-Files: The Movie, exploit cinematografico dello show di Carter che non aggiunge ne toglie alcunché a quanto già visto (e fatto) sul Piccolo Schermo.
In definitiva, però, X-Files resta sicuramente la miglior serie di speculative fiction
mai realizzata in quest’ultimo decennio. I suoi personaggi, anche quelli di contorno (dall’odiosissimo Krycek al temibile Uomo che Fuma, dal vice-direttore Skinner agli impagabili Guerrieri Solitari), formano una galleria di caratteri non banali ma comunque riconoscibili. I suoi intrecci – collegati alla congiura del silenzio, alla collaborazione fra Servizi Segreti ed entità aliene per la “colonizzazione” della Terra, al misterioso rapimento della sorella di Mulder – si dotano di una continuity temporale ricca di continui mutamenti e colpi di scena (l’abduction di Scully da parte degli extraterrestri, l’uccisione del padre di Mulder da parte di Krycek) riconducibili alla struttura di un serial drama, non dissimili da una soap opera o uno sceneggiato a puntate. I suoi episodi autoconlusivi – con il duo che si imbatte di volta in volta in lupi mannari, fantasmi, vampiri etc – assemblano un “corpus” di storie a parte definibile come “serie” pura e semplice, sul modello di Agente Speciale o Selvaggio Selvaggio West.
Due linee narrative, quindi, sapientemente allestite da Carter per attrarre fasce di pubblico diverse fra loro. Un astuto espediente che si somma a quelli indirizzati agli spettatori più esigenti, come i numerosi camei di grandi star della science fiction (il Roy Thinnes de Gli Invasori, il Peter Boyle di Frankeinstein Junior, il Brad Dourif di Dune etc) e la vena autoparodistica di episodi quali Scarafaggi o Dov’è la Verità?.
Una lezione esemplare, quella di X-Files, sul come trasformare il proprio show in un prodotto “di culto”. Un manuale scritto da un certo Rod Serling tanti anni prima, quando la televisione era tutt’altra cosa. Carter può considerarsi di diritto fra i suoi allievi più bravi.
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