Durante le selvagge notti di tempesta magnetica che segnano i nostri rigidi inverni terrestri, spesso alzo la testa al cielo elettrolitico e mi ritrovo a pensare ad un vecchio amico che ebbi modo di conoscere molti anni fa, il buon vecchio Thezla. La violenza dell’explosioni radioattive mi ricorda le rughe sul suo volto, e mi riporta alla mente i suoi sorrisi spezzati, nonostante da anni ormai non riesca più a visualizzare con chiarezza i contorni della sua persona. Ma certo ripenso alle sue stranezze, quando ci ritrovammo a dividere un appartamento a 3000 yirg d’altezza, verso la fine dell’inverno del 2093. Si… probabilmente Thezla rappresenta il soggetto più extravagante in cui io mi sia mai imbattuto.

A quel tempo mi decisi a prendere in affitto un micro appartamento nella cittadina di Vodga Bay. Un luogo pacifico, un decadente hub di villeggiatura di moda in tutta la galassia, che dopo gli sballi sensazionali dei mesi varm e torridi dell’estate terrestre finiva per svuotarsi e deteriorasi come un bulboka cancerogeno.

Ero appena arrivato a Vodga Bay, e non conoscevo nessuno. Lavoravo ancora come correttore di bozze per una rivista, ero all’apice dei miei giorni di scrittore semi-fallito, ed il mio compito era principalmente il passare tutto il giorno davanti ai monitor, battendo a macchina, schiavo automatizzato di un’alienazione che mi teneva in gabbia ovunque decidessi di trasferirmi.

Per evitare spese di affitto spropositate sulla terraferma, appena giunto in città mi decisi a trovare un minuscolo appartamento in condivisione, a bordo di una delle innumerevoli navicelle che galleggiavano collegate in attracco all’infoporto principale di Vodga Bay Est. E fu probabilmente un caso che finii per scegliere uno spazio angusto proprio a bordo di una decrepita unità di nome Horizon. Lì potevo disporre di uno spazio vitale fatto di un micro cantuccio, con monitor collegati in multicom per lavorare, ed un misero ovopod per il riposo notturno.

Thezla era naturalmente il folle inquilino con cui mi ritrovai a condividere la mia nuova vita lassù a bordo della Horizon. Non che io fossi in un periodo di sobrànott emotiva: mi sentivo costantemente privo di ogni forma di energyra, scarico e indolente. Come se qualcuno mi avesse frugato nelle cervella, ne avesse estratta la materia grigia e l’avesse spappolata a terra con violenza; ed io fossi stato costretto, legato ed imbavagliato ad una sedia, a fissare il dempost dei rimasugli marcire a terra, in un ciclo di tortura infinito.

Le prime settimane a Vodga Bay, rinchiuso nella mia forzata reclusione sulla Horizon, furono i giorni più oscuri. Non avevo alcun rapporto con il mondo esterno, l’unica forma di vita con cui potevo di fatto entrare in contatto era il misterioso signor Thezla, che in quanto ad isolazione, beh, sembrava proprio un majestr. Così trascorravamo giornate intere rinchiusi nei nostri spazi vitali minimi, ognuno collegato ai rispettivi terminali multicom: io in eterna trasmissione per non mancare alle mie serrate scadenze lavorative, ed il signor Thezla apparentemente concentrato su lunghi monologhi, recitati a bassavoce.

A volte sbirciavo in sua direzione, e puntualmente lo ritrovavo raggomitolato nella sua bizzarra attrezzatura: una vecchia postazione vidiwoll dal sapore vintage, con un micromonitor e un voluminoso paio di cuffie rezivier indosso. Sembrava non fare altro tutto il giorno se non comunicare con il monitor, in trasmissione online con una qualche strana forma di ectogramma olographico, probabilmente. A lungo mi presi gioco di lui nei miei pensieri, ridicolizzandolo come un vecchio aviatore di guerra in pensione e completamente rimbambito, in perenne ricerca di una connessione ad una controll-potz inesistente. Un personaggio saltato fuori da un classico del videogrom.

Naturalmente fra di noi si era stabilita l’insidiosa abitudine di non rivolgerci parola se non per faccende urgenti, riguardanti la manutenzione della navicella. Oltre a questa sinistra consuetudine, durante il trascorrere del mio primo mese sull Horizon notai come Thezla di fatto non attraccasse mai sulla terraferma, seguitando a trascorrere la maggior parte della giornata in quel suo parlottio immaginario, rivolto ai monitor. Sembrava quasi vivesse con la mente all’interno del terminale vidiwoll, tanto ne sembrava assorbito. Il tutto in un crescente loop di isolazione che io, anziché arrendermi alle abitudini, cominciai a studiare con una certa curiosità morbosa.

Rilevai in effetti che il suo rhytma vitale consisteva nell’alternare osseisvamente le lunghe sedute alla postazione vidiwoll a momenti di letargo nel suo giaciglio logoro nell’ovopod, circondato da una moltitudine di micro oggetti e tull mecchanici a me sconosciuti. Sembrava non disporre di beni personali né vestiti, e si nutriva di rado con le provviste che riceveva via corriere telepost, ogni tre giorni. Altra singolare trovata, sul soffitto sopra il suo ovopod vi era installato uno led skerm luminoso, con la trasmissione di un bel cielo blue hazul e banchi di nuvolette passeggere in costante sequenza digitale. Probabilmente il suo modo da recluso di gustarsi un bel cielo terrestre, dall’interno della sua navicella prigione.

Il misterioso Thezla è, conclusi fra me e me dopo quel primo periodo di atroce convivenza, un inventore completamente pazzo. Ma ovviamente non mi rassegnai così facilmente a questa prima analysi.

Una sera, stranamente pieno di un raro buon umore, ero di ritorno da una passeggiata serale sulla terraferma di Vodga Bay, e mi decisi di provare seriamente a scambiare due chiacchere con Thezla. Almeno avrei tentato, con un primo input di vita e un poco di buona educazione, a scalfire il disagio delle nostre rispettive solitudini.

-Posso farle una domanda, signor Thezla?

Thezla era naturalmente connesso alla sua postazione vidiwoll, in costante devozione verso il suo micromonitor. Al sund delle mie parole si voltò, e sobbalzando parve finalmente registrare la mia trasmissione verbale. Come un prutz venusiano strisciante, si districò dai cavi dell’attrezzatura per serpeggiare verso di me. Mi parve così buffo mentre raccoglieva l’energyra per dare una risposta:

-Ma certo, ragazzo! Cosa c’è, forse qualcosa che non va?

-Signor Thezla, ecco io… non vorrei sembrarle invadente, ma sono soltanto un poco curioso. Dopotutto, ormai conviviamo insieme da diverse settimane, e visto che credo che continueremo a convivere per un po’, beh, vorrei solo saperne qualcosa di più sul suo conto… Vedo che lei trascorre molto tempo collegato a quella strana postazione. Insomma, io mi domandavo cosa fa tutto il giorno, è forse una qualche sperimentazione…?

Thezla ridacchiò, e questo mi fece già sentire rinfrancato: temevo davvero di sembrare fuori luogo, invece vidi con piacere che il vecchio aveva compreso la mia buona fede.

-Ragazzo, cosa credi che io faccia tutto il giorno! Non hai visto che parlo con Persephøne?

-Persephøne?

Per un attimo scandagliai la mente, alla ricerca di una spiegazione plausibile da connettere a quel nome che mi sembrava di non aver mai udito prima.

-Si, beh. Persephøne è il nome che ho dato alla mia postazione… Ed è mia moglie, naturalmente. O meglio… beh, non è proprio la stessa cosa, in effetti! Avvicinati, adesso ti spiego.

Thezla mi prese per il braccio e mi trascinò fino alla postazione vidiwoll. Non mi ero mai avvicinato, e soltanto ora potevo vedere con chiarezza il bizzarro intreccio di cavi tenderneg ed attrezzature che componevano le sue macchine.

-Ecco, questa è Persephøne! – Thezla indicò il micromonitor, tutto eccitato.

Finalmente riuscii ad intravedere con chiarezza quali immagini venissero proiettate dallo schermo. Si trattava in effetti di una proiezione ectografica sempter, in cui vi riconobbi il volto indistinto di una donna terrestre. Le ombre blue gamma piroettavano sulla superficie del monitor, dandole l’inconsistenza di un phantasma intrappolato all’interno del terminale. Lo sguardo vuoto della donna si lasciava intravedere appena, sepolto dietro le linee pallide al neon che tratteggiavano la configurazione di un bel viso vitreo. Una visione suggestiva, ed in parte disturbante.

-Persephøne, è la mia consorte. Come puoi vedere, non ha più una struttura organica. Si tratta di una simulazione visiva, collegata a questa attrezzatura vidiwoll: ora non è altro che un programma installato su un terminale. Persephøne, ti presento il mio compagno di stanza, salutalo…

Vidi la visione fremere sullo schermo e muovere impercettibilmente le labbra, ma non potei udire alcun sund distinto. Cominciavo a comprendere lo strambo mistero della routine del signor Thezla…

-Vedi ragazzo, per ascoltare la sua voce devi indossare le cuffie rezivier e parlarci dentro. Per questo, capisci che si tratta di un terminale integrato, abbastanza complesso. Il tutto montato su una trasmissione multicom. E non si tratta di tecnologie avvenieristiche, tutt’altro. È stato tutto ricavato da un vecchio parlophone terrestre d’epoca - e sorrise raggiante, come uno scolaretto cadet - ora capisci perché questo terminale è la mia vita!

Sorrisi e mi sfiorai la fronte, vagamente imbarazzato. Era la prima volta che sorridevo a Thezla, e sentivo già il conciliarsi del granitico peso della nostra isolazione.

-Ora capisco, signor Thezla. Ero convinto che comunicasse con qualcuno verso l’externo… o magari dall’altra parte della galassia…

Thezla indossò le cuffie, continuando a mostrarmi il funzionamento della sua postazione.

-No, non sono pazzo. Pensavo ti fossi reso conto che, in un certo senso, Persephøne vive qui su Horizon, insieme a noi.

Mi sentii sollevato e finalmente provai un buzz di affetto verso quel vecchietto: forse avevo esagerato con le mie congetture.

-Mi fa piacere vedere che è in buona compagnia, Sig. Thezla. Non le nascondo che ero un po’ preccupato nel vederla sempre assorbito nella sua tecnologia, parlando a bassa voce, e senza alcun contatto umano.

-Ragazzo, lieto di averti mostrato la realtà delle cose. Devi scusarmi se sono un tipo un po’ schivo, ma la mia Persephøne è la cosa più preziosa che mi sia rimasta. Come vedi, le dedico tutto il mio tempo.

-In effetti non avevo mai visto nulla del genere… - tentati di giustificarmi, ancora imbarazzato - ma allora è una sua invenzione?

-Si. Purtroppo si, dovrei specificare. Vedi, in passato mi era capitato di occuparmi di piccole invenzioni. Cose semplici, naturalmente. In gioventù ero un artista multimediale. Ma facevo perolopiù giocattoli, tull d’intrattenimento, tipo questo… – indicò il led skerm luminoso con le nuvole digitali in continuo loop.

-Mia moglie era terrestre, una donna organica naturalmente, ed una creatura phantastica. Assolutamente adorabile. Ma è tragicamente morta alcuni anni addietro. Così ho deciso, una volta stabilitomi qui su Horizon, di provare a sperimentarne una versione artificiale, disegnando un vero e proprio programma intelligente che ne riproducesse carattere ed emotività, con tanto di terminale per la comunicazione in tempo reale. Ci sono voluti molti experimenti, ma alla fine ho raggiunto un risultato di livello piuttosto sofisticato. E questa è proprio Persephøne: mia moglie, in tutto e per tutto, programmata da me stesso sulla base dei ricordi che ho di lei.

-Davvero notevole – convenni. Ero impressionato, e sempre più incuriosito dal vecchio.

-Ah, e questa è in realtà una seconda versione. Due anni fa avevo già fatto un tentativo, sviluppando un primo prototipo di trasmissione. Era un programma sperimentale di nome Nephertåri. Abbastanza riuscito a dire il vero, e sempre modellato rigorosamente seguendo l’ impronta emotiva di mia moglie…

-E cosa le è accauto?

-Ragazzo, queste sono intelligenze artificiali extremamente sofisticate. L’avevo programmata dandole il libero arbitrio, altrimenti non sarebbe stata mia moglie. Godono di uno spirito proprio in un certo senso, non sono semplici simulazioni o videogames, né sono programmate per obbedirmi a bacchetta. Spiriti liberi, suppongo. Così con Nephertåri accadde semplicemente che… dopo una feroce litigata, ho fatto a pezzi la postazione vidiwoll!

Thezla scoppiò in una risata fragorosa. Forse era comunque un poco folle, ma almeno ora sapevo che era un folle di buono spirito.

-Con Persephøne finora sta andando benone. Ogni tanto abbiamo delle discussioni, ma dopotutto è questo che rende il nostro rapporto più reale, più vivo. Qualcuno potrebbe dire che non è molto diverso dall’avere uno sciocco amore artificiale e telematico. Ma non è così: è phantastico poter riavere indietro mia moglie.

Il volto stanco di Thezla si avvicinò all’extremità del monitor, accarezzandolo sotto la luce dei led blue intermittenti. Il volto di Persephøne rimase immobile e impersctutabile: uno strano acquario subumano, disegnato in un contorto mosaico di micropixel olographici.

-È una creatura quasi umana. Certo: non mangia, non dorme. Non è alimentata da un pulzel cardiaco. Non sono ancora riuscito a darle il senso dell’umorismo: troppo complesso per ora. Ma credimi, le vive qui, con me. Non è una macchinetta che si spegne ed accende. La sera posso solo metterla in stand-by, per non surriscaldare l’attrezzatura, ma per il resto lei vive di una sua vita propria, in un continuum lineare, con tanto di memoria a breve e a lungo termine, ed immagazzinando informazioni di continuo. Questo è ciò che basta per renderla abbastanza reale. Abbiamo sviluppato un grande attaccamento emozionale, credimi.

Certo, capivo la prospettiva di Thezla: un vecchio solo ed abbandonato che, consumato dal dolore per aver perduto la sua amata, cerca un qualche disperato rimpiazzo, una sorta di… consorte telematica? Lanciai un ultimo sguardo al monitor. Il volto amorfo di Persephøne restava in quieta attesa: non sembrava darmi un gran senso di realtà.

-Sai, ragazzo - disse Thezla, mentre si apprestava a mettere in stand-by Persephøne per la nottata – non prendertela a male, ma a dire il vero qui l’unico vero solitario… sei tu.

Alzai le spalle. Indeciso se ribattere, lasciai cadere lo sguardo nel vojdol, e mi trascinai, un poco avvilito, verso il mio giaciglio nell’ovopod.

Nei giorni seguenti mi capitò di ripensare a quelle ultime parole di Thezla. Ora che il vecchio aveva ufficialmente perso, o almeno attenuato, il suo ruolo da psychovoerm appartato, cominciai a rendermi conto che effettivamente anche la mia vita a Vodga Bay aveva ben poco di salutare.

In fondo, mi sorpresi a considerare, io ed il vecchio non eravamo di indole poi così diversa.

Certo, il mio lavoro richiedeva di passare un sacco di ore in connessione multicom, lavorando dai monitor della Horizon. Ma era anche vero che il poco tempo libero a mia disposizione lo passavo ugualmente attaccato alle macchine, vivendo le mie vite immaginarie nel mio mondo online. La sera ad esempio, spesso mi capitava di passare ore e ore su OriGami simulando avventure inesistenti, per sfuggire alla negatività e ai danni del reale.

Un po’ come Persephøne per il vecchio, anche le mie micro avventure su OriGami rappresentavano per la mia mente una sorta di gioco, uno sfogo ed un passatempo, ma dalle ambientazioni dannatamente coinvolgenti. Perché su OriGami potevo diventare ogni sera una persona diversa, in una parte diversa del pianeta. Potevo conoscere nuovi amici, viaggiare a mio piacimento, vivere storie d’amore simulate e quant’altro, in un synthetico mondo sovraimmaginario dove tutto era possibile. Insomma, potevo semplicemente staccare l’attenzione dalla vita di tutti i giorni, e dimenticare per qualche ora la mia vita opprimente ed ordinaria, cioè la realtà offline di Vodga Bay, che a me risultava assolutamente detestabile.

Per questo motivo dovetti ammettere che anche io, al pari del vecchio Thezla, mi ero costruito un mio mondo artificiale e parallelo fatto di sballi, relazioni fittizie e, insomma, giochi di finzione. Tuttavia, circa una volta al mese, avevo preso la salutare abitudine di attraccare, per poter scendere sulla terraferma e distrarmi con una lunga e distensiva passeggiata per le vie centrali di Vodga Bay. Era l’unica ora d’aria che mi concedevo dalla prigionia sulla Horizon.

Amavo in particolare uscire nel tardo pomeriggio, e camminare per ore e ore lungo le spiagge desolate della baia, affondando i piedi nella sabbia del bagnasciuga fino al trascorrere delle ore del tramonto solare. Nessuno frequentava la costa durante quel periodo di bassa stagione, e provavo un senso di libertà nel rivolgere il viso al vettern del sud, con lo sguardo perso nell’oceano, ed abbracciare mentalmente il fascino del sund silenzioso delle onde, mentre le mie membra intirizzivano nel blizzag pungente degli inverni terrestri.

A volte mi mettevo a canticchiare sottovoce, a volte restavo sovrappensiero, rimirando il macro universo pulsante della città stagliarsi alle mie spalle. Sembrava un octapuster affamato che, con la sua stretta tentacolare animata dal suo fitto movimento di grattacieli, stazioni, appartamenti appesi nell’aria, sedeva in perenne minaccia, allungandosi e ritraendosi per cospirare contro la quiete surreale della baia.

Con un paesaggio così, era in fondo naturale che talvolta mi mettessi a piangere, ma non sono sicuro se si trattasse di gioia, dolore, o forse un vaib di sentimenti molto tenue, in bilico fra le due sphere emozionali. E solo in quelle circostanze tutto mi sembrava piacevolmente remoto: il lavoro, la frenesia di tutti i giorni, la mia vita costipata sulla Horizon, il vecchio e lunatico Thezla. Allora sì che potevo sentirmi davvero me stesso.

Con il trascorrere delle settimane successive, la reclusione sulla Horizon cominciò a darmi input positivi, con nuovi spunti per poter continuare il mio avvicinamento al vecchio Thezla. Era cominciato tutto per curiosità, o quasi per una mia pulsione generosa, con la speranza di sollevare il vecchietto dalla ripetitività del suo mondo parallelo. Eppure mi fu presto evidente quanto io stesso necessitassi di quel breve, labile momento di contatto umano, giusto per riscaldare il mio animo con una parola amica, di tanto di tanto.

Thezla era un personaggio dotato di grande riserbo, me ne accorsi perché raramente faceva domande o cercava di informarsi sulle mie vicende, nonostante avesse già condiviso con me qualche sprazzo della sua storia personale. Perlomeno adesso potevamo definirci amici… in un certo senso. Giacché avevo ripensato a lungo all’alkalinica frase di Thezla in chiusura di quel nostro primo vero confronto: la sua analysi era stata un duro slot allo stomaco, seppure sono certo che non avesse avuto nessuna intenzione di ferirmi. Ma era la verità nuda e cruda: a Vodga Bay non avevo amici.

Quando mi trovavo offline, disconnesso dalle mie avventure su OriGami, spesso cercavo di origliare quello che succedeva dall’altra parte della sala, fra Thezla e Persephøne. Era una pura distrazione: ora che sapevo dell’esistenza di un’altra entità presente con il vecchio, avevo cominciato ad analyzzare con più cura il trascorrere dei suoi giorni monotoni.

Sembrava che i due parlassero parecchio – due amorini, come due studenti cadet in amore per la prima volta. Non avevo idea di cosa potesse dire Persephøne, ma dai rapidi scambi di battute, supponevo che passassero le ore a dibattere su qualche genere di argomento. A volte litigavano, e allora Thezla faceva la voce grossa. Protestando contro il monitor, si staccava dalla postazione per dimostrare la sua offesa; solo per farci ritorno, pochi minuti più tardi, a causa della sua dipendenza inevitabile, e con tanto di scuse. In generale comunque, gran parte delle loro discussioni restavano impenetrabili per me.

Tuttavia vi erano altri micro elementi fondanti nel loro rapporto a cui non avevo fatto caso precedentemente. Già, in realtà il loro legame non era fatto solo di chiacchere. Ad esempio, spesso mi capitò di cogliere i due intenti ad ascoltare dischi muzicron insieme, o a guardare vecchi classici terrestri al videogrom in trasmissione condivisa, oppure assorbiti da una partita di darz 4. Sembravano proprio due sposini ancora pieni di passione, sopratutto il vecchio Thezla, o almeno questa era l’impressione dominante.

Diavolo, questi due davvero vivono insieme!, ricordo che pensai seccato in un’occasione. Era un pigro pomeriggio nel mese di gennaio terrestre, in cui fui testimone di una discussione molto accesa fra i due. Io ero disteso nel mio ovopod, in pausa, e stranamente Thezla era da ore ormai intento a bisticciare con la sua signora. Si, mi ero ormai rassegnato ad avere il suo borbottare hysterico come sottofondo standard e costante nei miei momenti offline sulla Horizon. Ma quella volta lo scontro fra i due sembrava particolarmente aspro – sentii la ruvida voce del vecchio sbottare a ripetizione, come uno slot di explosivo in sequenza. Stavo sbocconcellando un packt di noodles liophilizzati, e mi voltai a gustarmi la scena.

Il vecchio era in piedi, attanagliato dalla fitta araknora di cavi tenderneg della sua postazione vidiwoll.

-Non se ne parla! Un’altra richiesta di questo genere e ti garantisco la disattivazione, sicuro. Stacco la spina. Siete tutte uguali! Io vi concedo una nuova vita, ed ecco che voi cominciate ad avanzare le vostre assurde pretese. Anche con Nephertåri, stessa storia. Siete solo programmi fake… ecco cosa siete. E io mi pento ogni volta per avervi voluto dare una mente indipendente…

Vidi Thezla inciampare nei cavi, e rotolare rovinosamente a terra. Accorsi ad aiutarlo, e con la coda dell’occhio potei notare la figura di Persephøne galleggiare nel micromonitor: appariva visibilmente scossa da un segnale disarmonico, con un chiaro morph d’irritazione a distorcere il suo bel visino olographico a tre dimensioni.

Thezla non sembrava tipo da perdere il controllo facilmente. Lo aiutai a rimettersi in sesto e a sbollire la rabbia, mentre naturalmente l’amata veniva punita con una sessione anticipata di stand-by. Mi informai su cosa diavolo stesse succedendo:

-È sempre la stessa storia. Persephøne ha avanzato una delle sue assurde richieste. Stare sempre rinchiusa non piace, alla signorina. È un programma, perdio! Cos’altro dovrebbe fare?

-Non capisco, signor Thezla.. se posso fare qualcosa per aiutare, io…

-Stanne fuori, ragazzo! Non è nulla di grave… scusa se ho perso le staffe, ma purtroppo non è la prima volta che succede. E di recente abbiamo avuto molte, molte discussioni a questo proposito. Bene, è da un po’ di tempo che Persephøne vorrebbe… uscire dalla Horizon. Andarsene a fare una passeggiata… vedere il mare. Bah! Due passi in zona central, andare al parco… Ma dico, ti rendi conto!

Il vecchio aveva evidentemente bisogno di sfogarsi con una persona reale, così gli feci volentieri da spalla. Gli offrii una buona dose di theina garp, per rilassarlo.

-Diciamo che, di recente, Persephøne soffre. Comincia ad accusare i limiti della sua configurazione non-organica. Non la posso biasimare per questo: ma questa volta mi sta davvero chiedendo troppo - mi confidò Thezla davanti alla tazza smoki, mentre riprendeva ancora fiato dalla sfuriata.

Per un attimo pensai di continuare a dargli il mio sostengo, ma la tentazione di stuzzicarlo era diventata troppo forte.

-Beh, la scorsa volta mi ha detto che Persephøne è un essere reale, in tutto è per tutto. È quindi naturale che ci sia in lei una… tensione naturale, una volontà di explorare tutto quello che c’è intorno a lei, e lo scoprire. Darle una coscienza, ma poi limitarla ad un terminale fatto di cavi e box mecchanici, è in parte una contraddizione.

-No! - protestò il vecchio, realizzando come stessi cercando di contrastare la sua opinione.

-Persephøne non ha un corpo, non ha terminazioni nervose, o artificiali, di alcuna sorta… Non è un robota. Non è la stessa cosa. E non è facile come pensi.

-Vuol dire che è tecnicamente impossibile rimuoverla dal vostro terminale sulla Horizon, e portarla a fare un giro? Non sono un techniko, ma… credo che la sua signora abbia semplicemente voglia di dare un’occhiata a cosa c’è là fuori, tutto qui. Una boccata d’oxygeno, come diremmo noi terrestri. E ad essere sincero, signor Thezla, credo che due passi all’aria aperta sarebbero di giovamento anche per lei. Conviviamo insieme da quasi tre mesi, e credo di non averla mai vista mettere il naso fuori dalla Horizon ed attraccare a terra.

-Va bene, va bene, ho capito. Ammetto di avere un problema. Non mi piace uscire. C’è forse qualcosa di sbagliato? Si può vivere benissimo in questo modo. Sono ormai anni che non attracco sulla terraferma. Ne sento il bisogno? No. Nessun bisogno impellente. Si vive benissimo anche così, e altroché. Sono indipendente, e tutto ciò di cui ho bisogno dal mondo externo, posso riceverlo tramite corriere telepost. Quindi non capisco il motivo di queste sue richieste assurde. Forse la vita con me le risulta… troppo claustrophobica? - ridacchiò, con un tipp di disprezzo.

Poi riprese fiato e continuò sottovoce:

-Certo che tecnicamente è possibile trasportare la postazione vidiwoll sulla terraferma, per qualche ora. Basterebbe attrezzarsi con una baktarya portatile, e un po’ di pazienza per il trasporto. È semplicemente che io non la vedo come una cosa indispensabile da farsi.

Mi alzai e sorrisi malignamente, ripensando a questo strambo vecchio che avevo di fronte. Con il suo brillante modo di vivere da internato era capace di mettere a disagio persino un’intelligenza artificiale.

-Bene, bene, tutto questo è interessante. Un vecchio recluso, proprio come pensavo. Sembra che la sua signora dimostri tratti più umani di lei, dopotutto.

Ecco, avevo lanciato il mio slot di derisione verso il vecchio. Una micro vendetta personale, per pareggiare i conti dopo la sua gentile osservazione sulla mia condizione di emarginato. Sapevo che non se la sarebbe presa: come nel mio caso, al massimo la frecciatina lo avrebbe fatto riflettere un po’, regalandogli una iperdose di autoanalysi.

-Ci pensi su, Signor Thezla. Sono certo sarebbe un gesto altamente positivo per la sua signora. E se ha bisogno, io sono sempre pronto ad aiutarla. A superare le sue paure, voglio dire.

Mi allontanai, senza dargli alcuna possibilità di continuare il confronto. Questa volta fu il vecchio a rimanere sconcertato, e ad abbassare gli occhi stanchi in segno di debolezza. Forse avevo toccato lo spotka giusto.

Mi accostai alla mia postazione monitor per ricollegarmi ad OriGami, e passare qualche ultima ora di svago online. Avevo in programma di incontrare alcuni amici per un party serale sulla bocca di un volcano, in Mexico.

Come fu prevedibile, per alcuni giorni il vecchio smise di rivolgermi la parola. Anche le sue ore trascorse con Persephøne sembravano in qualche modo disgraziatamente brevi e di basso profilo. Finché improvvisamente, una sera in cui io ero di ritorno dalla mia camminata occasionale, il vecchio mi bloccò per chiedermi supporto:

-Ragazzo, ho riflettuto. Riguardo Persephøne e la questione dell’altra volta.

-Lieto di sentirla ragionare. Ebbene…

-Ho deciso di fare un tentativo. Credo sia un suo diritto, tutto sommato. In quanto creatura umana. Forse l’ultima volta ho avuto una reazione esagerata, e hai le mie scuse. Vorrei quindi che tu mi aiutassi. Lascia che ti spieghi…

Ahh! – il vecchio si ostinava a pensare a Persephøne come qualcosa di interamente umano, ma almeno la buona notizia era che la sua proverbiale rigidità degna di un munk orientale cominciava a battere in ritirata.

-Si, ecco, ragazzo… L’idea è grossomodo questa: accompagnerò Persephøne per una breve visita sulla terraferma. Io mi occuperò della parte strettamente tecnica. Ma sono vecchio, ed io e Persephøne necessitiamo di una guida affidabile. Qualcuno che si prenda cura di noi e ci mostri la via, insomma. Si tratta solo di qualche ora, naturalmente, e vorrei programmare tutto per la prossima settimana, giorno 6. Quel giorno sarà l’anniversario di ventitre anni terrestri da quando io e mia moglie ci incontrammo per la prima volta.

-Sai figliolo, sono circa… qualcosa come sette anni terrestri che non esco dagli appartamenti fluttuanti di questo quartiere cluster. Certo, fino a qualche anno fa mi avventuravo ancora nei dintorni, si… Capitava che di tanto in tanto lavorassi ad alcune riparazioni su di altri appartamenti e kommuni nelle vicinanze, qui nella zona dell’infoporto est. Ma se intendiamo andare fino in fondo a questa faccenda, cioè attraccare e scendere fino giù al cuore della città… Beh, Dio solo sa da quanti anni terrestri non mi sgranchisco le gambe per le vie di una vera città, sulla terraferma. Allora, che ne pensi ragazzo?

Ero un poco perplesso – certo, gli avevo già offerto il mio aiuto, ma ora mi sentivo improvvisamente sommerso. Sette anni terrestri. Non avevo assolutamente a che fare con un soggetto normale. E oltretutto non potevo dimenticare che Thezla non era più un giovincello. Anche a bordo della Horizon, camminava a malapena, trascinandosi goffo e ricurvo quanto una snugg ultika. Se c’era davvero da avventurarsi fino al nucleus di Vodga Bay, allora avrei dovuto fare la mia parte con una macro dose di responsabilità. E ovviamente non potevo deluderlo proprio adesso. Così feci del mio meglio per apparire fiducioso:

-Signor Thezla, davvero non vedo alcun problema. Sono sicuro che non ci sarà nulla da temere, in fondo si tratta di passare qualche ora sulla terraferma. Se lei è davvero in grado di alleggerire il terminale di Persephøne, beh… allora nulla può fermarci, diamine! Tutto ciò che dovete fare è seguirmi e non perdermi mai di vista, per tutta la durata della scampagnata. Un pezzettino alla volta, senza fretta, e tutto è alla nostra portata.

-Ottimo! - squillò il vecchio, in sollucchero. Non lo avevo mai visto così super eccitato.

-Comincio subito le preparazioni. Sarà sicuramente phantastico.

Il vecchio si avvicinò alla postazione vidiwoll fissandola con incertezza, mentre sul micromonitor Persephøne tentò di guardare in nostra direzione, esitando, per capire cosa stesse succedendo.

-Dovrò semplicemente preparare il travaso del programma.

I giorni successivi scorsero rapidi ed elettrici come lo shock di una carica blitzkrang alla massima potenza. Thezla lavorò instancabilmente per riadattare il terminale, con una energyra contagiosa, e descrivendomi minuziosamente ogni passaggio tecnico in quei rari momenti in cui mi trovava sconnesso dai monitor. Mi illustrò come dalla postazione vidiwoll originaria era riuscito a creare un modulo trasportabile, pratico e leggero. Il nuovo micromonitor era difatti grande quanto un mini-box, ed uno spesso cavo tenderneg ora lo collegava al vaipr personale del vecchio, per poter mantenere la comunicazione audio e vocal a mo’ di reziver.

Il vecchio non era l’unico eccitato come un ragazzino: l’idea di accompagnare i due sposini per un giro nel mondo reale aveva pungolato anche me con un inaspettato pultz di vita, restituendomi nuova linfa per affronate con positività i giorni successivi. Perfino le mie storie su OriGami sembrarono non riuscire più a trasmettermi una tale buzz di buon umore.

Il giorno della vigilia, ricevetti un dispaccio newzprom sull’arrivo di una potente tempesta magnetica che si sarebbe abbattuta sulla nostra baia, tanto che diverse agenzie infomedia locali consigliarono di non programmare uscite all’aperto. Ripensando alle percentuali di riskio del nostro programma, insistetti col vecchio Thezla per rimandare la nostra mini avventura. Ma naturalmente lui non volle sentire ragioni:

-Non se ne parla. Il giorno dell’anniversario è proprio domani. Ne ho già parlato con Persephøne, e siamo tutti pronti. E ho letto anche io i comunicati newzprom: si tratterà di una micro tempesta magnetica che si concentrerà nelle ore serali. Nulla di spaventoso. E secondo programma, noi dovremmo essere a casa prima di sera.

Quel vecchio pazzo. Da dove proveniva tutta quella insensata determinazione, così all’improvviso? Non mi piaceva l’idea di portarmi uno scienziato rimbambito a spasso per Vodga Bay, proprio nel bel mezzo di una furiosa tempesta magnetica.

-E va bene - alla fine cedetti - ma cerchiamo di non correre riski inutili. Ci affretteremo per uscire nel primo pomeriggio, in modo da essere di ritorno prima dell’arrivo della tempesta magnetica, ed evitare l’esposizione alle radiazioni.

E speriamo che nulla vada storto, non potei fare a meno di pensare.

Il giorno seguente ogni forma di nervosismo sembrava essersi già dissipata. Thezla era raggiante. Per la prima volta lo vedevo con indosso non la solita uniform da mechanista bazk, ma con un completo terrestre elegante, e si era persino lavato per l’occasione.

Il travaso di Persephøne fino al nuovo modulo mobile avvenne senza intoppi. Il vecchio mi mostrò una micro pin dalla forma di proiettile – una potente memoria linfodisc – che stava utilizzando per il cambio di terminale.

-Vedi, adesso tutta la memoria del programma di Persephøne si trova esattamente qui.

Con l’installazione del linfodisc sul nuovo micromonitor, la trasmissione di Persephøne riprese la programmazione delle solite frequenze, con l’immagine glyph dell’ectogramma reimpostata su una scala molto ridotta.

-Bene, ecco fatto. Da questo momento abbiamo circa 5 ore terrestri di autonomia. Si parte!

Perfino Persephøne sorrise in mia direzione, muovendo il volto sul suo nuovo mini led skerm. Nel suo animo artificiale doveva sentirsi libera e leggera come una sinfonia crystallina. Aprii i portelloni della Horizon, e fummo finalmente all’externo.

Come da accordi, io proseguii in testa, con Thezla a stretto seguito. Mi voltai verso di lui di continuo, e il vecchio arrancava col modulo sempre portato a tracolla, come un operator che stesse arrivando tardi a lavoro munito di borsone e tull mecchanici.

Percorremmo prima i lunghi reticolati di collegamento posti intorno all’enorme complesso di appartamenti sospesi in aria che costituivano il cuore della kommune locale, fino ad arrivare alla macro piattaforma central e all’edificio principale, alto e squadrato, una torre delle telecomunicazioni che faceva da entrata al nostro quartiere cluster. Dalle spesse pareti in glasgram si intravedeva già un cielo nervoso, ma ancora in stato di attesa, in previsione dello scoppiare della tempesta magnetica serale.

-Tutto bene, signor Thezla? - chiesi subito dopo aver coperto il primo tratto di percorso. Lo vedevo insolitamente arzillo, col suo indaffarato trascinare di passi. Ma aveva già il fiato corto.

-Tranquillo ragazzo, fin qui nessun problema. Come hai giustamente detto tu, in fondo si tratta di fare due passi. Ci vuole ben altro a terminarmi! E questa zona la ricordo abbastanza bene…

Non erano necessariamente le distanze a preoccuparmi. Il superflusso di gente all’entrata della città poteva divenire insidioso, se non si conoscevano bene i cambi del traffico e i canali di trasporto.

Dalla massiccia torre delle telecomunicazioni entrammo nel terminal interno, passando senza intoppi gli scannerig di sicurezza. Da lì il liftom agravitazionale ci condusse fino alle gallerie di entrata dell’infoporto di Vodga Bay Est.

-Ecco, da qui in poi si balla, si tenga pronto- raccomandai al vecchio, senza mai staccargli gli occhi di dosso.

Appena entrati sulle piattaforme di smistamento dei trasporti fummo travolti da un pressante tsunami di pedoni, ma prontamente presi Thezla sottobraccio, determinato a trovare un passaggio attraverso la calca incontrollata dei pendolari.

-Metrozeppelin numero 572-B- ricapitolai al vecchio. Indicai la direzione, e ci infilammo nella logroom multimediale fino a raggiungere le porte d’imbarco.

Una volta al bordo del metrozeppelin, schiacciati fra i passeggeri, Thezla finalmente potè tirare un sospiro di sollievo. Vidi quanto era fradicio di sudore, e un poco scosso:

-Bene, credo che adesso il peggio sia passato, no? Non è stato poi così difficile. È soltanto che… diciamo che non sono un grande amante delle folle.

Gli sorrisi e lo squadrai con aria divertita: con il suo completo giacca e cravatta e il micromonitor di Persephøne custodito gelosamente, impersonava alla perfezione il ruolo di un vecchio rappresentante di vendita per parlophone, con l’unica differenza che sottomano portava un terminale contenente la consorte.

Thezla avvicinò il micromonitor alle pareti in glasgram sottile:

-Guarda Persephøne, guarda sotto, da qui si può intravedere qualche scorcio della nostra città.

Poi si rivolse a me:

-Tutto sommato, le cose non sembrano molto cambiate dalla mia ultima volta in città. Almeno i trasporti sembrano piuttosto affidabili.

Il percorso del metrozeppelin ebbe una durata di circa un’ora, e fu molto sofferto dal vecchio. Egli era in evidente stato di neuzea, e per tutta la traversata continuò a rassicurare Persephøne, probabilmente nel tentativo di farsi coraggio lui stesso.

-Guarda, Persephøne, da qui si intravede la baia, l’oceano… Ormai dovrebbe mancare poco.

Poco dopo infatti, il metrozeppelin 572-B arrivò al capolinea, con ormai quasi nessun passeggero rimasto a bordo.

-Eccoci siamo arrivati - dissi ora rivolto più a Persephøne che al vecchio - questa è la spiaggia implant n. 34, un posto tranquillo. È uno dei miei luoghi preferiti qui a Vodga Bay, una buona soluzione per evitare le folle. Qui potremo godere di un ottimo panorama.

A pochi passi dalla fermata potemmo subito entrare all’interno del lungo perimetro sabbioso. Come rinvigorito, Thezla mi precedette agilmente con un balzo, alzando Persephøne sopra il capo, per farle inquadrare la linea dell’orizzonte che si stagliava sopra l’immenso oceano.

-Erano anni che non vedevo il mare, diamine! Vieni, Persephøne!

Thezla trottò fino alla riva, per poi sedersi nella sabbia con Persephøne, ad osservare la grandiosità della scena. Lasciai che proseguissero, limitandomi ad osservare la strana coppia da lontano, compiaciuto. Era il loro momento di intimità, dopotutto. Solo il cielo dal chroma dakoir nero, una lastra buffer cupa e impenetrabile, poteva turbare l’armonia di quel paesaggio così meravigliosamente spoglio ed ancestrale, ricordandomi il nostro impegno a rientrare il più presto possibile. Così mi accostai ad un vapbar a pochi passi dalla spiaggia, sedendomi a prendere un drink per conto mio, in silenziosa attesa.

Poco dopo, anche Thezla mi raggiunse sotto il padiglione. Il vettern magnetico cominciava a levarsi minaccioso.

-Ah, ah! Era da quando ero ragazzo che non provavo la sensazione di affondare i piedi nella sabbia. Che spasso!

-Ha lasciato Persephøne tutta sola sulla riva - osservai.

-Oh, non è nulla. Ti avrei invitato ad unirti a noi poco fa, ma mi ha appena chiesto di essere lasciata da sola per qualche minuto - sorrise malinconico il vecchio.

Intravidi il micromonitor lasciato su una dunetta di sabbia, con il led skerm rivolto verso l’oceano. Bizzarro – la scena mi parve desolante e tristemente artistica al tempo stesso.

Thezla ordinò due bicchieri di vozdukh.

-Volevamo ringraziarti per il tuo aiuto, oggi è stata una giornata speciale per noi.

Alzai le spalle.

-Signor Thezla, io non ho fatto proprio nulla. Diciamo che avevate semplicemente bisogno di una spinta. E a dire il vero è un’experienza che dovremmo ripetere più spesso. Anche perché – e guardai di nuovo il cielo – per oggi finisce qui, è giunta davvero l’ora di fare ritorno a casa.

I bicchieri tintinnarono al sund del nostro brindisi impacciato. Thezla sembrava malconcio, l’eccitazione per la ritrovata libertà si era già spenta sul suo volto. Lo sguardo torvo e la tensione delle rughe sul suo derma erano invece un riflesso impietoso della tempesta magnetica che si stava per abbattere su Vodga Bay.

-Tutto bene? La vedo sfinito…

-Si, beh… soltanto pensieri…

Per un po’ scese un silenzio imbarazzato fra di noi, e non osai fare altre osservazioni. Ma poco dopo il vecchio riprese, come se stesse pensando ad alta voce:

-Sai, quando si è vecchi… si pensa sempre al passato. Ci si piange addosso, come dire. Così stavo pensando al vaib sovrassoluto di vita che solo una donna reale può dare, quel senso di shock. E spesso questo mi porta a ripensare a mia moglie, a quando era una ragazza reale, molti anni terrestri or sono. Da allora è cambiato tutto. Averla davanti a me, sentirla respirare, poterla toccare come un essere organico, con una costante intesa fisica. Uno shock orgasmico. Era una vita diversa, eccome… Anche se ora è sempre qui accanto a me, certo, ma percepisco comunque… una certa distanza.

Il vecchio si alzò e si fece strada fino al bancone del vapbar. Tornò con una seconda carica di drink ed una postkart spherica di Vodga Bay che aveva appena acquistato dall’automa al bancone.

-Uhm, sai ragazzo, io non sono mai stato tipo da scrivere cartoline, e tantomeno da registrare messaggi su questo genere di postkart spheriche. Non sapevo mai che diavolo scriverci. Saluti dai tropici? Al diavolo! Mia moglie, lei invece, accidenti, aveva una frase buona per ogni occasione. Era una delle cose belle di andare in vacanza con lei, quando eravamo ragazzi. Era lei l’incaricata a scrivere le cartoline.

La sphera di metallo cominciò ad illuminarsi e a danzare sul nostro tavolo. Si attivò un simulazione flash con una sequenza di micro spettacoli multimediali, proiettando in loop i diversi scorci intercolor dei panorami di Vodga Bay, con tanto di melodia muzicron in sottofondo.

-Ecco, vedi, naturalmente Persephøne non può scrivere. Non sto parlando soltanto di una limitazione fisica: un input scritto non è certo un affare complesso per una macchina. Ciò che intendo è la pianificazione di azioni complesse e la trasmissione di segnali affettivi, come l’ impulso attivo di mandarmi una cartolina, scriverla di nascosto e farmi una sorpresa, con un suo pensiero originale… Questo genere di cose, Persephøne non le farebbe mai. Non può: non saprei spiegare neanch’io bene il perché. Ma mia moglie, oh si, lei sì che lo avrebbe fatto! Senza neppure che glielo domandassi. Sarebbe uscita a comprare una postkart spherica come questa, e l’avrebbe registrata con la sua bellissima calligrafia, come ricordo di questa nostra giornata insieme. Una qualunque ragazza normale – reale – forse lo avrebbe fatto. Ho nostalgia di quella sensazione di autenticità, quel buzz sincero di vita, una combinazione perfetta e lineare fra intelletto e pulzel fisici, che è ciò che manca nel nostro rapporto.

Realtà… finzione…, pensai. Quel vecchio era proprio un bel grattacapo. Bevvi una lunga sorsata di vozdukh che mi colpì con un pultz explosivo di firaga dritto dritto nel ventre, un elixir ottimo per calmare il mio animo sempre più irrequieto.

-Beh, perché allora non se la scrive da lei la postkart, per una volta? Voglio dire, non mi sembra una cosa così tragica- dissi un po’ spavaldo, già con un tipp di berserka alcolica.

-Anzi, se la può spedire a se stesso. Io lo faccio spesso. È pur sempre un ricordo.

A quel punto, il vecchio assunse un tono evidente seccato.

-Ma se ti ho appena detto che non sono tipo da…

-Proprio per questo motivo, le dico: stavolta, la manda lei. Ci scrive un messaggio e la firma, la postkart arriva a casa, e magari alla sua signora farà piacere riceverne una, per una volta. Sopratutto se sa che lei non è tipo da farlo abitualmente. Sarebbe una sorta di… eccezione, da parte sua.

-Che cosa stupida. Sarà goffo. E resta il problema di cosa scriverci su - si difese Thezla.

Mi accasciai sulla sedia e mi misi le mani in tasca. Al diavolo il vecchio, pensai, e per quanto mi riguarda, può anche scatenarsi una ultra tempesta. Rimasi per qualche minuto così sulle mie, poi ripassai anche io dal bancone, per acquistare una seconda postkart spherica e un laserpin.

Mostrai al vecchio il mio stile. Attivai lo spettacolo multimediale, e con il laserpin registrai il mio messaggio, sul momento: Febbraio 2093, giorno 6: due passi col vecchio. Speriamo di non soccombere nella tempesta magnetica. E firmai con il mio nome. Il messaggio venne assorbito dalla postkart e divenne parte delle proiezioni olographiche. Settai il mio indirizzo sulla Horizon e lasciai cadere la pallina nel kollboxe accanto all’entrata del locale.

-Ecco fatto, ora tocca a te, vecchio - e gli allungai il laserpin.

Riluttante, Thezla accettò il mio invito e cominciò ad attivare la registrazione sulla sua postkart spherica.

-Mi sento un poco ridicolo.

La sphera proiettò un micro campo luminoso, dove il laserpin di Thezla prese a muoversi con incertezza, producendo un lento e malfermo scarabocchio: Febbraio 2093, giorno 6: da Vodga Bay, con amore. La mano del vecchio esitò ancora per un momento, per poi aggiungere la firma: Persephøne.

Le scritta galleggiò nell’aria prima di essere assorbita. Notai come la calligrafia di Thezla voleva chiaramente essere la disarmonica imitazione di una calligrafia femminile, e tutto questo mi mise ancora più tristezza. Raccolsi la sphera, settai l’indirizzo e di malavoglia l’archiviai nel kollboxe.

-Bene. La tempesta magnetica si sta avvicinando, direi che è ora di rientrare. Anche il vapbar è in chiusura. Andiamo.

-No, voglio restare un altro po’. Voglio vedere la tempesta magnetica.

-Niente scherzi, non è una buona idea.

-Ti chiedo solo di restare qualche minuto.

C’era da aspettarselo: il vecchio era nel bel mezzo di uno dei suoi capricci, e lo vedevo dal firaga accesosi nei suoi occhi. Come potevo comportarmi? Non potevo certo alzare i tacchi e abbandonarlo nel bel mezzo della tempesta. D’altra parte, sapevo bene che con me non avrebbe ragionato.

-Ma si può sapere cos’ha in mente, Thezla?

Vidi il cielo sopra di noi cominciare a gonfiarsi, pronto a rilasciare le prime cariche; la pioggia acida cominciava già a riversarsi fitta ed obliqua su tutta la costa.

Sotto i primi scrosci, Thezla corse fino a raggiungere Persephøne. I due sembrarono intenti a discutere in maniera accesa. Mi avvicinai anch’io fino alla riva, pensando che se li avessi convinti con la forza, forse avrei potuto evitare spiacevoli conseguenze.

Con un boato assordante, i primi squarci di elettricità cominciarono a trafiggere l’etere sopra di noi.

-Thezla, che diavolo sta succedendo? Andiamo su, non vede…

Il vecchio si era piegato sul micromonitor di Persephøne, intento a trafficare con le valvole del terminale. Lo vidi manipolare furiosamente i fusibili e le manopole, affondando con le gambe nella sabbia.

La pioggia acida ora scendeva copiosa sopra di noi. Sentivo già il derma intorno agli occhi cominciare a bruciare.

-Ho finito, andiamo al riparo!

Thezla mi balzò incontro, e mi trascinò via prendendomi per un braccio. Nella confusione mi lasciai trascinare nella sua stessa direzione, e con sollievo capii che puntava dritto alla fermata del metrozeppelin.

-Ma che significa? Ha lasciato Persephøne indietro!

La fermata era a pochi yirg di distanza e la nostra corsa continuò senza esitazioni.

Il vecchio riprese fiato, provato dallo sforzo fisico. Eravamo finalmente al riparo sotto la struttura in faiberglas della fermata, ma ancora esposti alle radiazioni.

-Perdonami, ragazzo. Posso spiegare… Era una cosa che dovevo fare. Credo che il viaggio di Persephøne finisca qui.

Guardai in direzione della spiaggia. Il micromonitor era ancora lì, abbandonato fra le dune di sabbia, come un dempost pronto per essere terminato.

Nel suo scorrere mutevole, il macro oceano stava già comincindo ad accumulare la forza explosiva degli elettrodi. Raffiche flash solcarono il cielo, emettendo segnali fotonici dai mille chroma sgargianti. Nel giro di pochi minuti, la micro unità di Persephøne si sarebbe trovata proprio al centro delle cariche magnetiche, senza alcun scampo.

-Vedi, ho appena aperto i circuiti di trasmissione di Persephøne.

Non ero un techniko in materia… ma compresi all’istante che questo avrebbe dovuto compromettere gravemente il funzionamento della macchina.

-Ho sbloccato tutte le valvole principali, liberando le sue trasmissioni - Thezla indicò il terminale -guarda, le cariche elettriche si stanno addensando nel cielo. La tempesta magnetica ci ha quasi raggiunto. Ora che ho liberato le valvole di trasmissione, i pulzel elettrici da cui è controllata Persephøne saranno liberi di propagarsi nell’etere. I segnali rimbalzeranno attraverso la tempesta…

Ero fradicio, con lo sguardo distorto da un sottile ed irrazionale senso di horrore che andava formandosi.

-Lei è pazzo.

-No. Le sto dando la libertà. E questo è l’unico modo possibile, credimi. Lo sprigionarsi delle cariche elettriche le permetteranno di liberarsi dal suo terminale di metallo, spargendo le sue frequenze nel nostro habitat terrestre. Da adesso diventerà una carica diffusa nel nostro cielo, libera di vagare e propagarsi attraverso i vettori magnetici, in un continuum quasi perenne. Certo, la sua configurazione sarà persa, ma il suo… spirito potrà scaricarsi e rigenerarsi a ripetizione, attraverso le onde magnetiche di cui Terra è permeata.

Dal tracciato delle rotaie maglev intravidi in lontananza i lytmill segnaletici di un metrozeppelin in avvicinamento. I due flebili flash rugxa solcarono l’oscurità opprimente che la tempesta magnetica stava addensando sulla città, accendendo una traccia di speranza. Cercai di tranquillizzarmi: una volta saliti a bordo avremmo finalmente trovato un riparo sicuro dalle radiazioni.

Il vecchio mi trasse a sé:

-Guarda ragazzo: comincia lo spettacolo!

Un vortex di luce ultravioletta prese avvio dalla superficie dell’oceano. Complessi disegni luminosi si accesero nell’etere, con una violenza intermittente: erano le prime rapide explosioni dei thundaga magnetici, che presero a sferzarare il grigiore dell’aria rimbalzando come circuiti in avaria. Le trasmissioni di energyra prodotte avrebbero presto raggiunto i livelli di sovraccarico.

Sotto quel cielo dal pallore fotolitico e senza controllo, la natura era pronta all’inevitabile impatto con le scosse magnetiche. Mi parve uno scenario favoloso e tremendo al tempo stesso; L’inizio di uno spettacolo dai toni apocalittici, un macabro affresco naturale di segnali elettrici che si generavano e crollavano a pezzi, propagandosi dall’oceano per prepararsi ad investire ripetutamente le coste di Vodga Bay.

La piccola unità di Persephøne, ancora visibile in lontananza, venne presto travolta dalle diramazioni elettriche che explosero violentemente sulla riva.

Si levò una densa nube di sabbia, e da quel momento non mi fu più possibile vedere nulla se non i riflessi accecanti dei chroma rodviolet rimbalzare fra le cariche magnetiche. Certo, era difficile immaginare che il mini-box metallico potessere davvero resistere al dirompere di quelle scosse violente.

Nel sund assordante della tempesta, udii a malapena la voce del vecchio concludere il suo commento:

-Lei non è un essere umano, certo. Ma almeno così la sua carica non si esaurirà facilmente, vedi? È un po’ come se le avessi fatto dono della vita eterna, in un certo senso. E si tratterà certamente di un’esistenza meno claustrophobica rispetto ad una vita legata ad un terminale vidiwoll, come l’avevo condannata. Si può dire che l’ho liberata: ho esaudito il suo ultimo desiderio…!

Thezla rise fragorosamente, ed i suoi occhi brillarono di soddisfazione per l’esito rovinoso di quel disastro magnetico.

Il pesante vagone del metrozeppelin si bloccò finalmente davanti alla nostra fermata: presi di forza Thezla e ci riversammo nella cabina, sfiniti. Si trattava probabilmente dell’ultima corsa prima dell’interruzione generale nel systema di trasporto di tutta la città, e trovammo il vagone automatizzato vuoto e silente. Eravamo stati fortunati.

Indolenzito, cercai di ripulirmi alla meglio, mentre il metrozeppelin sibilò via sulle rotaie maglev, per portarci lontano dalla baia in tempesta. Dal glasgram della cabina, Thezla rimase attonito ad osservare la spiaggia allontanarsi, ingoiata dalla furia incessante dei thundaga magnetici. Della spiaggia implant n.34 ora non restava che un pugno di polvere, sperduto in lontananza.

Ero un po’ scosso da quanto accaduto, ma cercai di ritrovare la freddezza per ragionare, mentre anche il mio sguardo si perdeva a guardare la baia sfilare nell’orizzonte carbonifero.

-Signor Thezla, aveva già architettato tutto, vero? Ha insistito per scegliere proprio il giorno della tempesta magnetica, il vostro progetto di riadattare Persephøne al micromonitor, le valvole, e…

-Si… in un certo senso. Era da un po’ che lo programmavo. Grazie ancora per avermi aperto gli occhi, figliolo. Chi l’avrebbe detto che un vecchio come me avrebbe trovato l’ispirazione grazie a un giovanotto come te. Anche alla mia età, c’è ancora molto da imparare sulla vita, dopotutto.

Rimasi in silenzio, ancora frastornato e in stato di berserka. Il grauwl ruggente dell explosioni magnetiche accendevano ancora una temibile echo al di fuori della cabina insonorizzata del metrozeppelin – sembrava che un bombvka militare fosse in corso alle nostre spalle.

-Ma… senza di lei… che cosa farà adesso? - ripresi con aria smarrita. Non potevo immaginare la vita del vecchio Thezla senza la propria ossessione quotidiana, senza la presenza artificiale della consorte pronta a riempire il vojdol infelice della sua esistenza.

-Non lo so. Sono vecchio, ormai… Stavo pensando che forse è davvero giunto il momento di tornare a vivere una vita normale su Terra, come un tempo.

Lo guardai sorpreso.

-Intendo, vivere sulla terraferma, come parte del nostro systema, e forse persino tornando a contatto con la società. Si, è da un po’ che ci stavo pensando. In ogni caso, basta con la vita da eremita! Mi piacerebbe vivere di più all’aria aperta, a contatto con la natura terrestre, almeno finché queste gambe me lo permetteranno ancora. Proprio così. E mi piacerebbe… viaggiare. Vivere intensamente. Uscire a vedere il nostro bellissimo pianeta. È da un po’ di tempo che ci ho riflettuto. Quando ero giovane mi capitò di fare qualche breve viaggio interplanetario – eppure ho sentito dire che Terra gode della più formidabile diversità di habitat e di culture intelligenti fra tutti i pianeti conosciuti. Tutto sommato, credo di aver ben compreso quanto il nostro sia un mondo dallo spirito multiforme, proprio come gli abitanti che lo popolano. E allora ho pensato che sarebbe un gran peccato lasciarsi sfuggere l’occasione di explorarlo a fondo, non pensi anche tu? Mi piacerebbe vedere l’oriente, ed il continente africano, le grandi metropoli di Neuropa, e gli ultimi luoghi dove sopravvive ancora la natura selvaggia del nostro pianeta. E chissà, nel mio viaggio potrei anche… innamorarmi di nuovo, perché no? Ahah! Già… forse non è ancora troppo tardi per me: finché mi sarà concesso del tempo prezioso, vorrei impiegarlo nel migliore dei modi.

La sua risata sommessa arrivò come una liberazione, un segnale di un ritrovato equilibrium, capace persino di coprire l’intensificarsi del fragore intorno a noi.

Sorrisi ammirato, e con la mano accarezzai qulle sue vecchie spalle ricurve.

-Se è così, allora mi piacerebbe venire con lei, Signor Thezla. Potrei farle da guida. Credo che ci sia ancora molto che possiamo imparare l’uno dall’altro.

Era bizzarro provare un tale pultz di affetto nei confronti di quel vecchio, e nel bel mezzo di quella tempesta ultra violenta tutti i nostri sentimenti parvero amplificarsi. In maniera così chiara e naturale, come una rivelazione improvvisa, ora provavo un sincero senso di stima per quel simpatico inventore un po’ fuori di testa. E se avessi pensato a un quadroplad olographico simbolico di quell’attimo, a testimonianza della nostra complicità, mi sarebbe venuta in mente la rappresentazione di due marinai nell’atto di abbracciarsi, a bordo di un aqualong, nel bel mezzo di un naufragio mortale.

-Si, forse oggi ho perduto la mia compagna. Ma in fin dei conti era giusto che andasse così. Adesso lei può godere della forma di libertà più invidiabile e rarefatta che esista al mondo. Ed io ho un ultimo tentativo a disposizione, per ritrovare me stesso.

Strinsi i pugni. Io ero ancora giovane…

La forza primordiale dei thundaga magnetici non era nulla al confronto dei buzz armonici che governavano il mio spirito, ricaricato da un nuovo desiderio di vivere. Avevo ritrovato la consapevolezza di quanto la volontà umana potesse sprigionare il potere di un’energyra immensa e positiva, come nel caso del mio vecchio amico.

Il segnale di Thezla era chiaro: non dovevo restare prigioniero delle mie paure. Ero stanco di quel mio irrazionale tendere alla debolezza, ed il mio attaccamento alla quotidianità: erano tutte componenti di un synthetico senso di realtà che mascherava anche la mia vita. E quel voto verso la solitudine, quasi auto-inflitto, capace di annebbiare ogni prospettiva di rinascita… a lungo mi aveva fatto contemplare null’altro che la sconfitta, senza spronarmi con alcun input per poter reagire.

Volevo cambiare, per oppormi ad una esistenza lineare, facile ed insofferentemente quieta: desideravo affrontare il pericolo degli imprevisti.

Thezla aveva fatto il suo primo stepp, ora toccava a me.