Le avrai già sentite tutte. Isk la troia e Isk la vergine. La città di vetro. Solida ed effimera, fugace ed eterna. La città nella città. Tutti i cliché delle guide. Il vecchio usava l’analogia del castello di carte […] Butta giù un paio di carte dalla cima e dalla cima soltanto. La cima può crollare o restare in piedi. E se anche crolla si può ricostruire, addirittura utilizzando le stesse carte. Ma se prendi una carta dal fondo tutto l’edificio è in pericolo. Per quanto la cima possa essere salda. E una volta che il livello più basso è crollato, crolla tutto il resto. Il vecchio lo sapeva. Io lo so. Felix lo sapeva. Persino il ragazzo là dentro lo sa. Ma sembra che voi non lo sappiate… (Effendi, Capitolo 28)
Effendi, nelle librerie dalla scorsa estate, è il secondo volume della «trilogia arabesca» di Jon Courtenay Grimwood ambientata ad El Iskandryia, Alessandria d'Egitto: ma un'Alessandria d'Egitto che non è mai esistita sulla nostra linea temporale.
Collocata in una dimensione storica alternativa in cui la prima guerra mondiale si è conclusa immediatamente con accordi diplomatici e la seconda non è mai stata combattuta, El Iskandryia è una città ottomana, città di scambi, crocevia di culture, fusione di stili architettonici e abitudini, in bilico tra oriente e occidente.
O almeno lo è stata: i tempi della città libera sono agli sgoccioli, provata com'è da intrighi interni, ingerenze straniere e gli eterni conflitti religiosi.
In questo scenario africano sempre più instabile, ritroviamo i protagonisti di Pashazade: Ashraf al Mansur, detto Raf, neo-ispettore capo dai dreadlock biondi, i sensi geneticamente potenziati, una memoria eidetica e una volpe artica nella testa che gli parla e lo guida nelle scelte, ma che adesso sembra stia morendo. Accanto a lui, la nipotina Hani, agorafobico genio informatico, e la bellissima Zara bint-Hamzah, di cui Raf ha rifiutato la mano ed è perdutamente innamorato.
Insieme dovranno scagionare Hamzah Effendi da un processo per genocidio che rischia di minare alle fondamente l'intero castello di carte su cui è stata costruita El Isk.
Grimwood gioca con maestria col tempo: se in Pashazade si muoveva sostanzialmente lungo due linee temporali (il presente di El Iskandrya e il passato a Seattle), qui ci troviamo di fronte a un vero puzzle di date e luoghi.
L'aspetto più spiazzante del libro è infatti la collocazione della prima parte in parallelo con gli eventi di Pashazade, riletti dalla prospettiva di altri personaggi. Scopriamo così i retroscena del primo incontro tra Raf e Zara, le motivazioni del matrimonio combinato con la figlia di Hamzah, la retata nella discoteca Club degli Hachichins.
La complessità dello scenario e del periodo storico che abbraccia sono affrontati dall'autore senza nessuna concessione al lettore, che è chiamato a uno sforzo di concentrazione non da poco per riempire i vuoti della narrazione e mettere ordine alle tessere del puzzle.
Ma chi è disposto ad affrontare la sfida, sarà premiato con una storia che affronta tematiche importanti e attuali, dagli eserciti di bambini alle mutilazioni femminili, passando per le intelligenze artificiali e, naturalmente, una storia d'amore difficile e toccante.
Ancora una volta, tra i vicoli e le vie monumentali di El Isk, su tram-ristorante e immense navi da crociera, il lettore va in cerca dei personaggi che ha amato nel precedente romanzo, quell'eccentrica famiglia di disadattati costituita da Raf, Hani e Zara (a cui si aggiunge qui il fratellastro Avatar), dalle cui azioni dipenderà la sopravvivenza di El Iskandrya.
È stato osservato che la trilogia di Grimwood ha il limite di non aver saputo prevedere gli scenari geopolitici attuali. Persino in questo secondo capitolo, definito dall'autore «il più politico e arrabbiato» perché parla di bambini soldato, omicidi rituali, mutilazioni femminili, responsabilità dell'occidente, l'aspetto religioso è tenuto ben lontano dal centro della riflessione.
Eppure il punto di forza del romanzo è proprio questa capacità di spostare lo sguardo dalle interpretazioni più diffuse dei conflitti in corso, grazie alla distanza ucronica.
Ancora di più in giorni come questi, si rivela preziosa una riflessione libera da pregiudizi religiosi e da facili interpretazioni storiche, e del resto questa è da sempre la prerogativa della migliore fantascienza.
Il romanzo è arricchito da un'Introduzione dell'autore all'edizione italiana e da un glossario per i termini arabi (un appunto all'ebook: si sarebbe potuto collegare il glossario con note interattive).
Ottima come sempre la traduzione di Chiara Reali, che sa rendere al meglio il ritmo vorticoso del romanzo e al tempo stesso alcune scene di sospensione quasi poetica, come l'agghiacciante scena dell'armata di bambini che avanza sotto i colpi dell'esercito con la sola protezione di stracci e amuleti.
L'autore
Nato a Malta e cresciuto tra estremo oriente, Gran Bretagna e Scandinavia, Jon Courtenay Grimwood è autore di numerosi romanzi di fantascienza e fantasy, oltre a scrivere per numerose testate britanniche (The Times, The Telegraph, The Guardian, The Independent). Ha vinto due volte il premio per il miglior romanzo di fantascienza assegnato dalla BSFA (British Science Fiction Association) ed è stato più volte candidato ai maggiori premi di settore. I suoi libri sono stati tradotti e pubblicati in tutto il mondo. Jon Courtenay Grimwood vive tra Londra e Winchester con la moglie, la scrittrice Sam Baker. Dopo Pashazade, Effendi è il suo secondo romanzo di fantascienza a essere pubblicato in Italia da Zona 42.
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