Una legge fondamentale dello spettacolo hollywoodiano vuole un individuo normale in circostanze straordinarie. Nel motore dei cinecomics Marvel non c’è una lotta tra classi sociali o tra visioni ideologiche: di solito è lo scontro tra l'ordinario e lo straordinario, con il continuo rimescolarsi mimetico delle due forze. Il supereroe calato in circostanze

Dopo anni e anni di successi il filone superomistico ha cominciato a sviluppare riflessioni metalinguistiche e sottogeneri molto specifici. Il “superoreoe con superproblemi” di Stan Lee si è evoluto al punto tale da coincidere con la persona comune, magari un giustiziere solitario e psichicamente tarato. La rivoluzione è cominciata sul finire degli anni '80 con gli epocali fumetti di Alan Moore e Frank Miller: Watchmen e Il Ritorno del Cavaliere Oscuro. Supereroi sporchi, egocentrici e spesso corrotti. Al cinema la svolta si è avuta nel 2004, con il cartoon targato Pixar Gli Incredibili. La decomposizione del superman tradizionale è completa: la coscienza dell'eroe si frantuma nei componenti di un’intera famiglia, coinvolgendo anche i bambini. Le avventure assumono toni da commedia, quasi parodistici. Le commedie Defendor (2009) e Kick Ass (2010) mettono meglio a fuoco ricodificando sia il concetto di vigilante violento e destrorso, sia la retorica dell'eroe nella vita di tutti i giorni. Protagonisti persone comuni senza superpoteri che decidono di combattere il crimine armati solo del loro entusiasmo. Con le loro alterne fortune, questi outsider sono veri e propri detriti sociali che lottano per il fantasma di una identità.
Nonostante la vena comica, anche in questi film resta intatta la propulsione epica del film tipicamente hollywoodiano: il contrasto tra una prima e una seconda fase nella vita del supereroe, un passaggio da un mondo ordinario ad uno straordinario con approdo a un nuovo equilibrio. La matrice mitica del viaggio dell'Ulisse contemporaneo si riveste di riferimenti presi dalla cronaca e dall'attualità tecnologica. Così, film apparentemente schematici come i fumettoni, hanno qualcosa da dire sulla mobilità sociale del singolo o sul mutamento di un'intera collettività. Eroe e società viaggiano insieme, formano una presa di coscienza dandosi una mano a vicenda.
L’immaginario di questi ultimi 15 anni, fortemente condizionato da eventi luttuosi che preludono a invasioni barbariche e a possibili scontri di civiltà, sembra bisognoso di nuovi impulsi e di nuovi valori condivisi. Valori di quelli che fanno schierare da una parte o dall’altra. Ma non è facile mettere tutti d’accordo. Sono lontani i tempi spensierati in cui il nascente villaggio globale si permetteva di giocare con gli stereotipi culturali. Una delle storie più scorrette di Topolino risale al 1931 e si intitola Topolino e gli zingari. Qui viene sbattuta in copertina l’alterità sotto forma di gitani. All’epoca una pubblicazione mainstream poteva tracciare allegramente delle linee di demarcazione tra noi e loro, tra civiltà e barbarie. Recentemente in Italia, un’annunciata copertina di Topolino che mostrava i personaggi Disney con le matite alzate in segno di solidarietà verso i disegnatori trucidati dai terroristi islamisti è stata ritirata in tutta fretta dall'editore Panini. Non a caso oggi, per parlare di razzismo, la narrativa popolare targata Marvel e DC Comics può far leva su alieni e mutanti, comode e rodate metafore basate su decenni di addestramento.
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