La premessa dei “singolaristi” è che sia in corso una crescita esponenziale delle capacità di calcolo dei computer. Questa crescita è davvero in corso e non si limita al raddoppio continuo della potenza dei processori, come indica la
ben nota legge di Moore, ma a qualcosa di molto più avanzato. Lo scrittore George Dyson – figlio del grande fisico Freeman Dyson e autore del bestseller La cattedrale di Turing – ha lanciato una provocazione: chi ci dice che le macchine non siano già oggi più intelligenti degli esseri umani? Il test di Turing, teorizzato negli anni ’50 dal padre della cibernetica Alan Turing per mettere alla prova le intelligenze artificiali e verificare se si è davvero di fronte a una macchina pensante, potrebbe non essere in grado di svolgere davvero il suo compito. Turing sosteneva infatti che un computer sarebbe davvero intelligente se, rispondendo alle domande poste da un intervistatore in remoto – per esempio in una chat, senza cioè vedere l’interlocutore –, fosse in grado di essere scambiato per un essere umano. Finora nessuna macchina ha superato questo test. Ma, si domanda Dyson, non potrebbe essere che un’intelligenza artificiale veramente tale non voglia dare nell’occhio? «Una macchina veramente intelligente non vorrebbe rivelarci la sua intelligenza», suggerisce Dyson. Di fatto, ogni anno viene prodotto un supercomputer che supera le prestazioni del suo diretto predecessore e stabilisce un nuovo record. Questi straordinari calcolatori non si limitano solo a eseguire operazioni a velocità sempre crescenti, ma sono in grado di svolgere algoritmi sempre più complessi, fino a risolvere problemi che superano le capacità degli esseri umani. Per farlo, tuttavia, restano fedeli alla programmazione originaria. I problemi che tali computer risolvono sono al di fuori della nostra portata solo perché per risolverli c’è bisogno di un numero tale di calcoli da necessitare di parecchie vite umane per portarli a termine. Per farla breve, ciò che i supercomputer non sono in grado ancora di fare è improvvisare, utilizzare l’intuizione per giungere a una soluzione inaspettata di un problema.L’ipotesi di Dyson è dirompente: alcune macchine potrebbero già essere giunte al livello della consapevolezza di sé, al punto da nasconderlo ai nostri occhi. È chiaro che nessun singolo computer potrebbe giungere a un simile stadio con le attuali tecnologie. Ma possiamo davvero essere così sicuri dei network di computer, come nel caso di Internet o del cloud computing? Se è vero che l’intelligenza non è il prodotto di una semplice somma di cellule neuronali, ma dell’interazione complessa tra tali cellule, potrebbe darsi che l’interazione tra milioni di computer abbia favorito l’emergenza di un tipo di intelligenza artificiale che ignoriamo? Nella saga di Terminator, l’intelligenza artificiale Skynet assume il controllo della Terra e schiavizza gli umani. Nell’universo di Matrix, le macchine arrivano al punto da trasformare gli esseri viventi in batterie naturali per la loro sopravvivenza, rifondendoci con una simulazione molto convincente del nostro vecchio mondo. In 2001: Odissea nello spazio, HAL9000 si ribella agli ordini umani per indagare autonomamente sul mistero alla base del film. La fantascienza ci mette in guardia dai rischi posti da potenti intelligenze artificiali. D’altro canto, potrebbe anche darsi che, una volta diventate coscienti, le macchine si pongano obiettivi diversi: magari, suggerisce qualcuno, costruiranno un’astronave e se ne andranno in giro per il cosmo. O forse si disinteresseranno di noi. Dovranno tuttavia assicurarsi che gli esseri umani non stacchino loro la spina. Per questo, potrebbero avere tutto l’interesse a non farsi scoprire.
Macchine più intelligenti dei più intelligenti esseri umani sembrano essere già tra noi. Secondo il matematico Steven Strogatz, a causa della crescente difficoltà di dominare un intero settore del sapere, di padroneggiare tutte le nozioni necessarie per poter poi successivamente dare un contributo all’ampliamento dei confini della conoscenza, da qui a pochi decenni l’umanità si troverà a un punto in cui diventerà impossibile, per un singolo essere umano, nel corso di una sola vita, acquisire tutte le conoscenze necessarie di una specifica disciplina. Ci staremmo, insomma, avvicinando ai limiti della conoscenza umana. Sta diventando sempre più difficile, per un aspirante ricercatore di fisica delle particelle o matematica, tanto per citare due settori, riuscire ad assimilare tutto quello che è stato prodotto prima di lui. Per avanzare in questi ambiti di ricerca è necessario parcellizzare la conoscenza in tanti micro-settori, sui quali specializzarsi, per poi creare megaprogetti di migliaia di scienziati per mettere a sistema tutte le nozioni e trarne delle conclusioni. Sembra quindi che ci stiamo avvicinando a dei limiti cognitivi dell’intelligenza umana, esattamente come esistono dei limiti fisici nella capacità di superare i record sportivi mondiali. Ma, proprio come per superare i record sportivi ci si affida sempre più all’assistenza tecnologica, allo stesso modo per superare i nostri limiti cognitivi dovremo far ricorso ai computer.
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