– Sì. Papà, non scordarti il gelato. Sai già quale piace, a me.– D’accordo... – Lo ordinarono. Il contrasto fra crema e cioccolato fondente ricordò a Fosco il bianconero del tv.
Stavano al chiuso, in mezzo a una folla imponente ma ordinata. Oltre la grande vetrata frontale a tutta parete, la campagna appariva un guazzabuglio di macchie fumose interrotte da spiragli più chiari. Le poltrone erano ad anfiteatro. Poco dopo, dagli altoparlanti una voce rimbombante nella sala chiese silenzio:
– Signori, attenzione. Vedrete in anteprima l’attività dell’Atmospherion, il rivoluzionario depuratore della En-plen-air, ormai definito Grande Ventilatore e già sperimentato con successo in alcune metropoli tra le più inquinate del nostro pianeta. Usate gli occhiali scuri e restate ai vostri posti… Pronti?
Nella grande sala cadde il silenzio. Si spensero le luci, e nel buio improvviso il grigio scuro della campagna oltre il vetro si delineò contro il cielo simile a uno schermo tv acceso su un canale morto. Cresceva un rombo, come l’avvicinarsi di un elicottero.
– Signori: l’Atmospherion entra in azione.
Succedeva qualcosa, fuori. Salivano vortici fumosi, quasi si stesse formando una tromba d’aria. Qualunque cosa fosse il Grande Ventilatore, aspirava i veleni e probabilmente li filtrava.
– Hai paura? – chiese Fosco. Chiara lo abbracciò, e fissando la campagna a occhi sbarrati disse: – No, papà.
Il vortice era un rumore che saliva, saliva ancora, faceva vibrare suolo e poltrone. – Non abbiate alcun timore! – tuonò l’altoparlante. – Ancora pochi minuti…
Era incredibile cosa accadeva oltre il vetro. Aria e campagna erano scompigliate, sferzate, rivoltate come guanti, aspirate. Si udirono schiocchi come spari, rimbombi, il pavimento vibrò, mentre il cielo finalmente schiariva, sempre più. – Gli occhiali! – disse Fosco. La luminosità stava diventando insopportabile, meno male che avevano a disposizione quei filtri per la vista. Molti erano scattati in piedi e gesticolavano, rumoreggiavano. Qualcuno urlò. Accanto a loro una donna anziana salì addirittura sulla poltrona: ma insomma, che succedeva là fuori?
Un coro di urla fece tremare le mura. L’altoparlante esplose: – Potete uscire… In ordine, prego.
Fosco si voltò per chiedere a Chiara se volesse andare a vedere: ma si accorse che la bambina non c’era.
Imbambolato si mise in coda, sperando che sua figlia lo chiamasse col localizzatore. Dalla grande vetrata pioveva una luce intensa, mai vista, quasi fosse un giorno del giudizio o della creazione. Sballottato, finalmente giunse alla porta. Uscì.
Si accorse di restare abbagliato perfino con gli occhiali scuri. Intravide un cielo strano: senza nuvole. Non era mai stato così. Il ciclone era cessato, svelando un’esplosione di raggi solari. In giro non notava danni, le poche piante erano intatte, eppure… C’era un che di diverso... Ma cosa? Non capiva.
Qualcuno lo tirava per una manica. Si girò, e finalmente vide Chiara. Senza occhiali! Le disse agitato: – Così ti fa male!
– Ma papà… è bellissimo – rispose lei sorridendo felice e saltellando. – Eccoli! Io li conoscevo già, sai? Papà, io li ho sognati, tante volte! – Si chinò verso il terreno.
– Sognato… Chi? Cosa? – Vedeva i soliti arbusti, erbacce, fiori striminziti. Sbirciò anche lui a occhio nudo, ma prudentemente, a palpebre semichiuse. D’accordo, continuava a percepire una differenza eppure non individuava quale. – Che vuoi dire, Chiara? – insistette.
– Quel signore con la barba bianca… papà, mi ha chiesto come mi chiamo. Era tanto contento e piangeva un po’ e poi mi ha detto sorridendo: “Chiara, guarda bene le piante e i fiori!” Allora li ho visti. Vedi pure tu, papà? Questi sono rossi, gialli, quest’altro è blu, l’ha detto il signore con la barba, e io li sognavo proprio così! Si chiamano: colori.
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