Meno male: Amazon Studios ha deciso di salvare The Man in the High Castle dal limbo delle serie perdute. La notizia è che, dopo questo ottimo pilot, una prima stagione ci sarà. Il serial è un adattamento del romanzo The Man in the High Castle (Premio Hugo 1962) di Philip K. Dick. Al nome del grande scrittore di fantascienza si lega ancora una volta quello di Ridley Scott che nell’ormai lontano 1982 diresse Blade Runner (tratto dal racconto Do Androids Dream of Electric Sheep? ) schiudendo il catalogo delle idee di Dick al grande pubblico (e quindi agli executive hollywoodiani). Qui Scott torna ad offrire il suo contributo alla storia della fantascienza mettendo a disposizione il suo fiuto di produttore.
A giudicare dal pilot, la serie sembra voler restare molto fedele al romanzo di Philip K. Dick, molto ricco di personaggi e sottotrame. Da noi noto anche come La svastica sul sole il racconto ci proietta in un continuum storico dove l'Asse formato da Germania e Giappone ha vinto la guerra conquistando il mondo e dividendosi gli USA. Est ai tedeschi e ovest ai giapponesi. Gli ebrei continuano ad essere perseguitati e la resistenza è in affanno.
I fili da intrecciare sono tanti da riempire di lavoro non pochi sceneggiatori per diverse stagioni. Anche per questo la scelta di La svastica sul sole potrebbe rivelarsi azzeccata: i numerosi subplot possono essere espansi o compressi a piacere. L'impressione è che la Storia (o le storie) possa essere tirata per le lunghe senza annoiare sullo sfondo di questa guerra tra Germania e Giappone che sta per scoppiare (o forse no). Ad esempio il giovane Joe Blake, figlio di un veterano di guerra, è tra i protagonisti della storia e promette di essere un personaggio molto più complesso di quanto sembri a prima vista.
Molto bene le prime sequenze del pilot: i titoli iniziali ci lasciano intuire qualcosa, poi subito siamo gettati in USA durante un 1962 alternativo. Senza troppe spiegazioni, voci fuoricampo o altri sgradevoli didascalismi, lo spettatore mette i pezzi insieme e capisce di trovarsi di fronte ad una società in piena occupazione fascista. La Storia è maneggiata bene e viene fatta trapelare pian piano dai dialoghi dei protagonisti.
In The Man in the High Castle è come se la Storia dell'umanità stesse vibrando ad una certa frequenza e questa, variando di pochissimo, possa cambiare ogni singola concatenzaione di eventi che ha portato ad ogni singolo minuscolo dettaglio. Può cambiare tutto ma possono anche restare invariate alcune dinamiche. Per esempio: gli americani hanno perso la seconda mondiale ma una guerra fredda c’è, comunque, ma con attori diversi.
Affrontare un romanzo così articolato e complesso tramite un serial tv è forse il modo migliore per rendere davvero giustizia alle visioni del grande Philip K. Dick. Nonostante i successi hollywoodiani (da Blade Runner in giù) finora nessun prodotto audiovisivo è riuscito a catturare lo sguardo dello scrittore sulla natura così malleabile della realtà e della percezione umana. Forse solo A Scanner Darkly di Richard Linklater ci ha perlomeno provato...
L'aspetto più divertente di questi anni '60 alternativi vissuti in USA è l’idea di visualizzare le pieghe della routine quotidiana di questi americani sottomessi al giogo dell'Asse. Americani che «hanno perso una guerra e ora neanche ricordano per cosa combattevano» e che vogliono continuare a vivere nonostante il nazismo. Americani che vivono la segregazione razziale: questa volta scontano anche i WASP non solo i neri o gli ebrei. Americani che, di martedì, vengono ricoperti da una strana cenere che fiocca dal cielo. Viene dall'ospedale: una volta a settimana tocca agli storpi e ai malati terminali, ricevere l'appropriata cura nazi.
Nonostante l'uso di CGI per arricchire le scenografie, i colori neutrali e desaturati cercano di suggerire un look and feel oppressivo, vicino a film come Le vite degli altri di Florian Henckel. La crudeltà e l'efferatezza del regime sono in buone mani grazie a Rufus Sewell che interpreta con efficiente inespressività l'ufficiale nazista più temuto.
Costumi e scenografie sono impeccabili. Danno il senso di una Storia scolorita ma nello stesso tempo solleticano la curiosità di scoprire i dettagli di questo spazio-tempo che avrebbe potuto essere e che non è stato. Le immagini più impattanti restano Times Square e i muri delle città americane: un affollamento isterico di insegne e manifesti propagandistici. La svastica sostituisce le stelline nella bandiera statunitense.
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