L’apice della critica verso qualsiasi forma di potere si evidenzia nel complesso ciclo di Dune di Frank Herbert. Anche qui ritroviamo una forma di dominio di tipo imperiale. L’Impero dell’universo conosciuto abbraccia l’intera galassia, ed è composto come in Asimov da soli esseri umani (benché la varietà di mutazioni esistenti apra la strada anche all’idea di specie post-umane o comunque ormai troppo diverse dalla razza di partenza). In Dune l’Impero è monocratico di nome ma non di fatto: il sovrano, l’imperatore-padiscià, non possiede in realtà che un potere teorico la cui unica forza si fonda sul comando dell’esercito dei Sardaukar, la più feroce potenza militare dell’Impero. E benché il potere imperiale venga tramandato ereditariamente, esso dipende comunque dalla buona volontà delle Grandi Case, un complesso di famiglie nobili alle quali è delegato il comando assoluto su determinati mondi e sistemi stellari. Perciò l’Imperatore comanda solo attraverso le Grandi Case; il suo potere è inoltre limitato da una forza mistico-religiosa profondamente addentra ai processi decisionali, quella del Bene Gesserit; e dalla potenza economica della Gilda spaziale e della CHOAM. L’idea di diffusione e frammentazione del potere risponde a una precisa volontà di Herbert di dipingere un universo a tinte medievali: dal punto di vista scientifico, l’assenza di qualsiasi tecnologia di alto livello – fatta eccezione per i viaggi spaziali – viene spiegata con la superiorità del credo religioso che in un feroce jihad bandì per sempre computer e robot. A livello politico l’assetto medievale dell’universo di Herbert è garantito da una sistema di potere chiaramente ispirato alla fragilità dell’istituzione imperiale medievale. L’Imperatore è tale solo dietro consenso della Chiesa, qui rappresentata dalle Bene Gesserit che in definitiva controllano anche il processo ereditario della casa regnante; il suo potere è mediato dall’azione dei feudatari e dei vassalli, veri amministratori delle terre imperiali; la sua forza è soggetta ai gruppi che stringono i cordoni della borsa, ossia mercanti e banchieri qui rappresentati dai membri della Gilda.Questa struttura viene distrutta dall’azione personale di Paul Muad’dib, il “Mahdi”, che ancora una volta sostituisce alla legittimità tradizionale quella carismatica. Muad’dib accentra in sé tutti i poteri: come capo del più forte esercito della galassia, quello dei Fremen, egli distrugge il potere politico dell’Imperatore-padiscià e dei suoi Sardaukar; come leader religioso egli si pone al di sopra dell’ordine del Bene Gesserit, di cui è il frutto superiore; come capo del pianta Arrakis egli controlla l’estrazione della spezia e dunque la base dell’economia galattica («Il mio governo è l’economia», sostiene in un passo di Messia di Dune con profondo realismo). Storicamente, Frank Herbert compie una scelta coerente con l’impostazione che egli conferisce al suo romanzo: al modello decadente di “impero cristiano” frammentato e corrotto sostituisce la forma monocentrica più tipicamente islamica dove il leader politico è anche capo spirituale - il mahdi, l’ayatollah - e dove la differenza tra Stato e religione scompare. Eppure il potere di Muad’dib, che diventa in tal modo assoluto quanto e forse più di quello dell’Impero di Palpatine in Star Wars, non è migliore del precedente.
A questa conclusione giunge Herbert nel secondo capitolo del ciclo, Messia di Dune, e poi soprattutto al termine del quarto L’imperatore-Dio di Dune. In Messia, l’impero di Muad’dib ha superato di gran lunga le sue aspettative e ha scatenato violenza a livello galattico e l’introduzione di forme dispotiche di religione che, pur facendo capo a lui, sfuggono al suo controllo. In un passo del romanzo si legge una sorta di “regola ferrea” degli imperi: «Non è certo al momento della loro creazione che gli Imperi mancano di uno scopo. Quando, invece, si sono fermamente consolidati, gli scopi si smarriscono e vengono sostituiti da vaghi rituali». Così era per il Trono del Leone Dorato, ossia l’impero del suo predecessore, feudale e tradizionalista, così diventa dopo soli pochi anni per l’impero religioso di Muad’dib la cui spinta rivoluzionaria, una volta esauritasi, cede il passo al ritorno dei rituali del potere che corrispondono alla legittimità tradizionale.
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