La nausea divenne orrore quando quei latrati acuminati si fecero più chiari, uniti a ripugnanti forme diaboliche che mi erano attorno portate da un vento cosmico. Ombre annaspavano tra mille abissi che ribollivano in un mare vermiglio: un Oceano di sangue.
Lo Spettro del Dominio
Ero dunque alla fonte del Male. Quel Male insidioso, che stava distruggendo il mio popolo rendendolo schiavo e che si stava insinuando nella mia essenza.
Indotto da quel suono distorto e quelle immagini provai una rabbia sorda. Iniziai a delirare. Correvo a precipizio verso la follia.
Il Male proveniva da tutte le direzioni: era immateriale e incorporeo. Mi chiedevo come lottare contro quel qualcosa che mi ottenebrava la mente.
Erano timbri astrusi, facce deformi, fisionomie mostruose, esalazioni nauseabonde tra colori foschi.
Ebbi un moto di odio assoluto.
Stavo impazzendo e iniziai a rotolarmi su quel suolo ghiacciato.
Nella mia ragione da una parte si stava instillando il germe del Male assoluto mentre dall’altra sentivo che quell’energia negativa si stava nutrendo delle mie forze per alimentare se stessa e divenire sempre più forte.
Fu quello il momento che si rivelò lo Spettro del Dominio di cui mi aveva parlato Dumakis. La sua natura indefinibile si palesò attraverso tre immani facce esangui unite tra loro e che mutavano continuamente aspetto. La bocca, in comune, era impressionante. Ampia e con denti marci, tozzi e levigati. Dalle fauci venivano fuori pezzi triturati di esseri non morti. Una massa magmatica di strane esistenze aliene. Ma vi erano anche eumani.
Erano stati ingoiati e gemevano tormentati, avvolti in quella specie di bocca centrifuga. Gli occhi di quella creatura raccapricciante avevano insita una malvagità che mai avrei potuto concepire se non l’avessi vista. La visione compariva a tratti invadendomi per poi sparire, insidiandomi e attirandomi a sé.
Ogni istante mi sentivo sempre più risucchiato
E come un’immagine proiettata vedevo la mia faccia di un giallo cadaverico fagocitata da quel flusso malefico. Il mio viso si stava modificando in un ghigno cattivo rassomigliante a quella dell’entità mostruosa.
Quel frastuono contorto continuava a portare con sé rappresentazioni di un mondo corrotto e disgustoso. Esso cresceva tra intrighi nella notte più bieca e tenebrosa. Un’infinita oscurità nella quale i popoli erano oppressi. In quel caos ebbi la lucidità di pensare che era un mondo in netto contrasto con quello che anelavo per la mia Materam. Un mondo allevato nella speranza e nell’uguaglianza. Nell’azzurro e nella luminosità: nell’Utopia.
La forza dell’Utopia
Oramai pensai che avrei perso il senno e sarei stato divorato da quel grumo intangibile. Ma mi accorsi che i miei pensieri limpidi potevano fronteggiare, respingendoli, quelli fuorvianti che mi giungevano dal flusso malefico emanato dallo Spettro del Dominio.
Compresi allora che era attraverso la forza dell’equilibrio e del giudizio che dovevo lottare! Dovevo scacciare quella visione tetra e sudicia con la forza dell’armonia! Contrapporre all’abiezione e all’egoismo del potere folle e malefico, l’integrità e la libertà. Era quella la potenza dell’Utopia, cardine del nostro Libro Sacro.
Stremato e terrificato ma aggrappandomi a quelle idee notai che alla rappresentazione dei miei pensieri, le ombre arretravano. Stavo irretendo lo Spettro che vedevo sgomento. Che ululava rabbioso non riuscendo ad assorbirmi. Pur fiaccato da quello sforzo continuai al massimo delle mie capacità concentrandomi sulla luminosità della vita, al raggiungimento della felicità del mio popolo. Due forze opposte si fronteggiavano. Poi ci fu un rantolo prolungato cupo e sconquassato come di un animale sanguinario che si contorce ferito a morte. La visione sinistra e contorta dalle tre facce esangui e gigantesche si fece sempre più debole e scolorita fino a quando la vidi sfaldarsi e deflagrare assorbita dal cosmo scuro ed eterno.
Una eco lugubre mise fine a quella tortura.
Mi risvegliai da quella catalessi nel divino cimitero dei patriarchi
Riaprii gli occhi stranito e spossato come uscito da un incubo.
Ero immobile, ansante e con il sajo fradicio di sudore.
Avevo ancora mani e braccia incrociate nella posizione del profeta.
Non sapevo quanto tempo avessi passato in quella catatonia. Forse il tempo della caduta di pochi granelli di sabbia di una clessidra.
Mille occhi mi osservavano.
Ero circondato da un silenzio tombale.
Il mio popolo fermo e silente mi fissava.
Tutt’intorno era devastazione.
Molti, giunti agguerriti, erano muniti di mazze, picconi e armi primitive, altri di sofisticati congegni a proiezioni letali.
Temetti per la mia vita.
Ma poi gli sguardi, dapprima smarriti, mutarono.
Dopo qualche istante li vidi posare le armi e prostrarsi ai miei piedi, intonando l’inno alla mia persona in segno di dedizione.
Un bambino era davanti a me, aveva il Tomo Sacro tra le mani.
Me lo porse.
Alla pagina XXIV scorreva un titolo:
“L’affermazione dell’Utopia tra gli eumani”: nelle immagini che fluivano non c’era alcuna distinzione tra gli individui, tutti erano gioiosi e vestiti allo stesso modo.
Sulla pagina appresso i termini, Libertà, Giustizia e Felicità campeggiavano a caratteri cubitali che si ripetevano all’infinito.
Avevo compreso!
“Sollevatevi e non vi prostrate mai più ai miei piedi. Né ai piedi di alcuno”, dissi mentre scioglievo il mio sajo ceruleo -segno distintivo del potere assoluto dei patriarchi- liberandomene per sempre.
Poi acquietato, cinsi i miei simili tra le braccia, mischiandomi a loro.
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