Delos 19: Racconto racconto di Vittorio Curtoni
DEI RICORDI
Vittorio Curtoni non ha bisogno di presentazioni: è uno dei migliori autori italiani. Questo racconto, uscito anni fa sulla rivista "Oltre...", è una delle sue storie più bradburiane.
"Vorrà dire memorabilia" sbuffò Piero, irritato. Dover stare fermo sulla porta di casa a discutere con qualcuno che cercava di vendergli un prodotto o l'altro era una delle cose che odiava di più.
"No, no." L'uomo scosse la testa con aria grave. "Di stupidi memorabilia è pieno il mondo. Noi non trattiamo souvenir, mio caro signore. Non mi sarei mai permesso di disturbarla per rifilarle qualche cianfrusaglia da due soldi. Quello che io le offro è un concetto radicalmente nuovo. Una rivoluzione nel modo di vivere del ventesimo secolo."
L'uomo fece una pausa meditabonda, poi abbassò gli occhi sulla valigetta ventiquattro ore che stringeva in mano. Adesso mi chiede di entrare, pensò Piero, per asfissiarmi coi suoi discorsi pubblicitari. Nemmeno morto.
"Vede" riprese l'uomo, alzando la testa e fissandolo con un'intensità anche troppo esplicita, "ricordare è una delle cose più facili di questo mondo. Non esiste un solo imbecille che non sia capace di farlo. Dimenticare, invece... Ah, dimenticare è la grande arte ignota alla specie umana. Dimenticare le cose importanti, intendo. Sradicare per sempre ogni minima memoria di tutto ciò che ci ha ferito, che ci ha fatto del male. Un collega che odiamo, un'amante che ci ha lasciati senza spiegazioni, una madre troppo invadente o aggressiva..."
"Per favore, per favore." Piero agitò la destra nell'aria, per interrompere la minacciosa marea di parole che sentiva fremere nel tono dell'altro. "Mia madre è stata la migliore donna del mondo, e io sono felicemente sposato da una ventina d'anni. Nessuna amante mi ha mai piantato in asso. E in ogni caso, quello che lei sta dicendo non ha senso. E' assurdo. Senta, ho parecchie cose da fare..."
"Però qualche collega da dimenticare ci sarebbe, suppongo" insinuò l'uomo, con un sorrisetto complice. "Ma non importa, ci arriveremo col tempo. Per adesso, le chiedo solo di mettere da parte la sua incredulità e accettare in omaggio uno dei nostri smemorabilia. Si tolga il gusto di fare una prova. Non le costerà una lira e non la impegnerà in nessuna maniera. Solo una semplice prova dimostrativa."
"Non pagherò niente? Non dovrò firmare qualche carta?" domandò Piero, sospettoso.
"Nessuna firma. Nessun pagamento. Se resterà soddisfatto dello smemorabilia e deciderà di continuare a servirsi dei nostri prodotti, concorderemo la cifra di volta in volta, a seconda della difficoltà del ricordo da eliminare. Ma le garantisco che le nostre tariffe sono estremamente contenute. La qualità del servizio ci interessa molto più della consistenza del profitto."
Già,le solite balle, pensò Piero, sospettoso. Ma in fin dei conti, quello strano commesso viaggiatore gli stava offrendo un campione gratuito; e soprattutto, accettare avrebbe significato toglierselo dai piedi.
Con un sorriso ammaliante, l'uomo si accoccolò sulla soglia di casa. Aprì la valigetta nera e la sistemò sulle ginocchia. "Allora?" chiese. "Con cosa vogliamo cominciare? Qualcosa di semplice, direi, ma anche di significativo. Lei non deve avere dubbi sui risultati che otterrà."
"Dimenticare qualcosa, dice..." mormorò Piero. Aveva la vaga sensazione di essere preso in giro, di fare la figura del cretino; ma se si trattava di uno scherzo, qualcuno si era dato parecchio da fare per organizzarlo, e stare al gioco era quasi doveroso. Dopo pochi secondi di riflessione, schioccò le dita. "Okay, ci sono. Un gatto. Un gatto nero. Quel bastardo di Flu. Si è mangiato i miei due pappagallini quando avevo cinque anni, e io ho dovuto sopportarlo finché non è morto perché mia madre gli era troppo affezionata. Lo avrei strangolato con le mie mani... Lo odio ancora. Lei può davvero farmelo dimenticare?"
"Ma certo." L'uomo infilò una mano nella valigetta, prese qualcosa, e strinse la mano a pugno. Chiuse la valigetta, si rialzò con una flessione armoniosa delle gambe, e sorrise. "Tenga" disse, porgendo a Piero una minuscola statuetta di plastica che rappresentava un gatto nero. "Lei non ha idea di quante persone abbiano un animale o un altro da odiare... E' la prima volta, per lei. Occorrerà un po' di tempo, diciamo una settimana. Se non le dispiace, ripasserò fra una decina di giorni."
Piero prese la statuetta e la rigirò fra le dita. "Cosa devo farci?"
"Assolutamente niente" gli garantì l'altro. "Sarà il nostro smemorabilia a fare tutto. Lo lasci su uno scaffale, su un tavolo, dove preferisce. Vedrà ." Tese la destra e regalò a Piero una vigorosa stretta di mano. "E' stato un piacere conoscerla, signor Finzi. Ci rivediamo fra una decina di giorni."
Girò sui tacchi e si avviò sul pianerottolo. L'ascensore era a un paio di metri dalla porta. Dopo avere premuto il pulsante, l'uomo si voltò verso Piero, che stava chiudendo la porta, e gli disse: "Lei non lo sa, ma Flu ha già cominciato a sparire dalla sua mente."
Quando l'uomo tornò, esattamente dieci giorni dopo, Piero lo fece accomodare subito in soggiorno. Lo stava aspettando da ore, con un nervosismo, un'ansia che non riusciva a spiegarsi. Aveva persino spedito sua moglie, Clara, a trovare la sorella, per avere campo libero.
L'uomo si accomodò sul divano e accettò con un cenno del capo la sua offerta di una birra gelata.
"E' straordinario, sa" gli disse Piero, tornando dalla cucina con due lattine e due bicchieri sul vassoio. "Mi è successo qualcosa... Ricordo che lei è venuto a offrirmi uno smemorabilia, una cosa che serve a dimenticare, e io l'ho accettato... Ora, il punto è che non ricordo più cosa dovessi dimenticare, e questo può solo significare..."
"Che lei ha dimenticato" sorrise l'uomo, strappando l'anello di latta. Ci fu un plop smorzato, poi il gorgoglio sommesso della birra versata nel bicchiere. "Come le avevo promesso. Ha visto? Dov'è lo smemorabilia?"
Piero si guardò attorno nella stanza, in preda al panico. "Anche questo volevo dirle. Non so più dove l'ho messo. A essere sincero, non so nemmeno..."
Con un sorriso sempre più sereno, l'uomo si alzò, si avvicinò alla parete di fronte al divano, e prese qualcosa dal carrello del televisore.
"Eccolo qua" disse, rimettendosi a sedere. Aveva in mano una piccola statua di plastica: un gatto nero. Aprì la valigetta, vi depose la statuetta. "Splendido, signor Finzi. Flu è sparito."
"Flu?"
"Il gatto nero di sua madre. Lei lo odiava. Ha mangiato i suoi pappagallini."
"Non è vero. Mia madre non ha mai avuto un gatto nero. E io ho tenuto i pappagallini fino a..." Piero boccheggiò. "Gesù Cristo. Era questo che dovevo dimenticare? E l'ho dimenticato?"
L'uomo annuì. Il suo sorriso era quasi paterno. "Esatto. E la prego di non spaventarsi. E' tutto perfettamente normale. Se eliminiamo un ricordo dal passato, è chiaro che tutte le altre memorie devono ristrutturarsi, riorganizzarsi. Il nostro cervello non può accettare vuoti, o incoerenze. Adesso lei non ricorda più Flu, ma in compenso ha la certezza di avere continuato ad allevare senza alcun incidente i suoi pappagallini. Stupendo, non trova?" L' uomo sorseggiò lentamente la birra. "A un trauma doloroso si è sostituito un ricordo piacevole. Personalmente, mi pare che non si sia mai visto niente del genere sulla faccia della Terra." Un ghigno divertito si insinuò sulle sue labbra. "Peccato per gli psicanalisti. Dovranno tutti chiudere bottega."
"E chi se ne frega degli psicanalisti?" borbottò Piero, sottovoce. Il vago stato di eccitazione che provava sin dall'inizio si era comunicato alle sue mani, scosse da un tremito leggero ma incontrollabile. "L'altra volta, lei mi ha parlato anche di persone, giusto?"
L'uomo annuì.
"Quanto costa eliminare il ricordo di una persona?"
"Dipende. Il legame di parentela è molto importante. Una moglie o un fratello possono costare parecchio. Un amico, decisamente meno, e comunque lei è un cliente nuovo. Sono autorizzato a offrirle tariffe particolarmente favorevoli. Di chi si tratta?"
Nella fretta di parlare, Piero quasi si strozzò con la birra. "Un amico d'infanzia. Quel figlio di puttana di Antonio Caroli. Non ho mai dimenticato la volta che..."
L'uomo alzò una mano, corrugò la fronte. "La prego. Preferisco ignorare i particolari. Restare impregnato dai drammi personali di tutti i miei clienti sarebbe uno stress eccessivo. Non sono tenuto a farlo, e in ogni caso, sarebbe del tutto inutile." Puntò gli occhi su Piero. "Duecentomila lire le sembrano troppe?"
Piero infilò la mano nella tasca della giacca. Prese il portafoglio, estrasse il libretto degli assegni e lo appoggiò sul tavolino davanti al divano. "Ha una penna?" chiese in tono sognante.
L'uomo riaprì la valigetta. Gli porse una penna, e con quella, una statuetta di plastica multicolore. Rappresentava un uomo di mezza età, coi baffi, i capelli brizzolati, e un accenno di pancia. Piero la studiò con una certa perplessità. "Ma Antonio non ha..."
"La cosa è del tutto priva d'importanza, signor Finzi" gli assicurò l'altro, suadente. "Per lei, questo è Antonio. La somiglianza fisica è superflua. E' solo un simbolo, capisce? Non potremmo mai preparare smemorabilia personalizzati. Questo significherebbe un aumento notevole dei costi che verrebbe a incidere..."
"Okay, okay" lo interruppe Piero, e cominciò a compilare l'assegno. "Se lo dice lei, mi fido. Questo è Antonio." Alzò la testa e guardò l'altro, ansioso. "Quanto tempo?"
"Cinque giorni, signor Finzi. Ormai le cose si sono messe in moto."
Alla visita successiva, Piero era una molla che saltellava avanti e indietro per il soggiorno, incapace di fermarsi. L'uomo lo scrutava con quei suoi occhi pacati, tranquilli, e fumava con invidiabile compostezza un sigarillo dall'aroma signorile.
"Lo so che è successo un'altra volta" cominciò Piero, contorcendosi le mani mentre passeggiava frenetico nella stanza. "Lei mi ha fatto dimenticare qualcuno di cui non ricordo più niente, una persona che mi ha fatto del male..."
"Un suo vecchio amico" mormorò l'uomo. "Le dice niente il nome Antonio?"
Piero si fermò di scatto, ma fu solo un attimo. Poi ricominciò ad aggirarsi come un'anima in pena. "No. Deve essere stato un bel bastardo, se ho deciso di dimenticarlo, e mi creda..." Si portò alle spalle dell'uomo, dietro il divano. Per qualche arcano motivo, preferiva non doverlo guardare in faccia. "Adesso mi vede così nervoso, ma è solo perché c'è qui lei. In realtà, io mi sento molto meglio. Molto meglio. Ho l'impressione di essermi scaricato di dosso un peso terribile... E anche se non so di cosa si tratta, so che è successo qualcosa. Grazie a lei."
L'uomo esalò una boccata di fumo e non disse niente.
"Mi stavo chiedendo..." Piero fece il giro del divano e si mise a sedere a fianco dell'altro. "Cancellare i ricordi del passato è una cosa. Non so proprio come diavolo facciate, e francamente non voglio neanche saperlo, ma se io decidessi di far sparire qualcuno che mi sta vicino tutti i giorni? Che so, il mio capoufficio, o mia moglie? Tenga presente che parlo solo in via puramente teorica." Una risatina nervosa. "Com'è possibile? Cosa succederebbe a queste persone?"
L'uomo spense il sigarillo nel posacenere e scrutò Piero con l'aria del professore universitario messo di fronte a una domanda banale. "Ma niente, è ovvio. Scomparirebbero dalla sua esperienza, non dalla realtà. Lei non le ricorderebbe più, quindi non esisterebbero più, per lei. La nostra percezione della realtà sta tutta qui..." L'uomo si batté la punta dell'indice su una tempia. "Come diceva Kant, fra parentesi. I nostri smemorabilia servono solo a impostare i parametri dell'esperienza mentale. Nel mondo esterno, non cambia nulla, ma il mondo soggettivo può essere rivoluzionato fino a eliminare tutte le fonti di dolore, di ansia, di stress. In parole povere, noi offriamo universi a misura del singolo individuo." Un lampo ironico guizzò nei suoi occhi, svanì subito. "A misura d'uomo, se mi concede il luogo comune."
Piero abbassò la testa, deglutì. Aveva la gola arida. "Quanto costa una suocera?" chiese, con una certa difficoltà.
La volta successiva, l'uomo gli fece un'offerta che non poté rifiutare. L'offerta della settimana: quattro persone al prezzo di due. Due parenti e due conoscenti, o amici. Piero fece sparire sua sorella, sua cognata, il capoufficio, e un insopportabile immigrato argentino che non aveva nessuna voglia di lavorare e continuava a chiedergli soldi.
Si sentiva meglio, enormemente meglio. Il suo telefono squillava meno, pochi bastardi lo disturbavano al citofono. Il suo mondo stava diventando pulito, profumato. Magari un po' vuoto, ma tanto ordinato.
Poi ci fu l'offerta speciale per gruppi di rompiscatole organizzati. Sei gruppi al prezzo di tre. Sparirono tutti i testimoni di Geova, i vigili, i casellanti dell'autostrada, i farmacisti, i drogati, e i macellai, che Piero aveva sempre odiato. Non per niente era vegetariano.
Passeggiando fra le strade semideserte della città, provava un ineffabile senso di soddisfazione. Era come vivere in uno di quei vecchi film di fantascienza degli anni Sessanta, dopo una catastrofe: tutto a sua disposizione, e nessuno a dargli fastidio. Prendeva frutta e verdura dai banchi dei negozi, perché aveva fatto sparire anche i verdurai, per quanto non se ne ricordasse, e non pagava niente; e non gli costava una lira il noleggio delle videocassette; e come era bello vivere in un mondo dove luce, gas, telefono e benzina, e tante altre cose, gli venivano regalate dalle benevole entità che vegliavano sulla sua esistenza.
Non che lui avesse mai conosciuto un mondo diverso, a dire il vero. Tutto era sempre stato così. La splendida pace della solitudine totale; la bellezza di poter tornare al suo appartamento da scapolo, senza la voce stridula di una moglie, i piagnistei e i problemi dei figli.
L'aurea tranquillità di un pianeta deserto.
Così, restò molto sorpreso quando sentì squillare il campanello della sua porta, un afoso pomeriggio di agosto. Andò ad aprire, e si trovò di fronte uno sconosciuto, un uomo con un sorriso soddisfatto sulle labbra e una valigetta ventiquattro ore, nera, stretta in pugno.
"Lei chi è?" gli chiese Piero, aggressivo. "Non la conosco. E comunque, lei non può esistere. Io sono l'unico essere umano del mondo."
L'uomo annuì. Come se conoscesse già la strada, indifferente alle mani che cercavano di trattenerlo, attraversò il corridoio ed entrò in soggiorno.
"Lei ha perfettamente ragione" disse. "Io sono soltanto una sua allucinazione. La solitudine può fare brutti scherzi, a volte."
L'uomo si fermò al centro del soggiorno. Appoggiò la valigetta sul divano e si chinò ad aprirla.
"Senta" disse Piero, "se crede di potersi intromettere in questo modo nella mia tranquillità, si sbaglia. Mi sono occorsi anni per riuscire a trovare la pace. Lunghi anni di doloroso lavoro su me stesso, di autoanalisi. Se lei pensa..."
L'uomo si rialzò, si girò. Aveva qualcosa in mano. Una statuina di plastica, o di un materiale simile. Rappresentava un uomo di mezza età, coi baffi, i capelli brizzolati, e un accenno di pancia.
"Non è vero" disse lo sconosciuto. Sembrava quasi che ringhiasse. "Lei non ha fatto niente. Niente di niente." Quel sorriso mellifluo rispuntò sul suo viso. "Ma io sono una semplice allucinazione. Non sono qui per giudicare. Le ho portato un regalo."
"Un regalo?" balbettò Piero. Non sapeva perché, ma aveva la fronte coperta di sudore freddo. "E cosa sarebbe?"
"Non cosa, amico mio." L'uomo attraversò la stanza a grandi passi. Arrivò davanti al carrello del televisore e mise giù la statuetta. Poi si voltò a guardarlo. "Lei vuole sapere chi è."
"Ma lei non può..." strillò Piero. Era paralizzato, incapace di muoversi.
"Oh, certo che posso. Mi ha autorizzato lei."
Lo sconosciuto si girò di nuovo, gli mostrò le spalle. Si chinò a carezzare la statuetta. "Questo, per lei, è Piero Finzi" disse.
Poi si rialzò, lanciò un'occhiata distratta alla stanza vuota. Andò al divano, prese la valigetta, la chiuse.
Uscì accostando dolcemente la porta, senza sbatterla.
(14 giugno 1991)
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