Anche Shibai sorrise, ma era un sorriso di chi sa bene cosa sta dicendo. - È la prima volta che fai il turno sulla torretta orientale, Nori. Non è strano che tu non ne abbia mai sentito parlare. È una storia che si cerca di tenere il più possibile segreta.
Nori continuò a fissarlo, ma il suo sorriso canzonatorio cominciò lentamente a spengersi. - Ma stai parlando seriamente? -, domandò.
Shibai si limitò ad annuire a tornare a guardare verso la profonda oscurità che separava i due fronti in guerra. - È da molto tempo che penso di seguirli anch’io -, mormorò. - Non te ne ho mai parlato prima. È un’usanza dei soldati: bisogna prima vederli, e poi conoscere la storia. Altrimenti nessuno ci crederebbe.
- Qual è questa storia? -, chiese Nori. Non avrebbe tenuto in alcun conto quelle parole, se non fossero state di Shibai. Aveva sempre avuto dell’amico la massima considerazione.
E Shibai gli raccontò la storia. Gli Invisibili – gli aveva raccontato l’amico – erano disertori di entrambi gli schieramenti che avevano deciso di allearsi e creare una comunità nelle viscere della terra di nessuno. Pacifisti, avevano voluto non semplicemente darsi alla macchia e mettersi in salvo, ma cercare insieme di chiudere le ostilità in un qualche modo che mettesse d’accordo entrambe le parti. A quanto ne sapeva Shibai, dai racconti degli altri soldati, quella comunità esisteva da quasi quindici anni e contava migliaia di persone. Erano partiti da nuclei sparsi, prendendo possesso di vecchie linee di trincea abbandonate; col tempo erano venuti a conoscenza gli uni degli altri, avevano iniziato ad unire le forze e a consolidare le loro posizioni. Per evitare che incursioni degli eserciti dei due fronti li scoprissero, avevano iniziato a scavare in profondità e a costruire una rete di cunicoli, gallerie e bunker con poche uscite all’esterno. Avevano avuto anni e anni per mettere a punto quell’immenso complesso, che si estendeva quasi ininterrottamente per tutto il fronte di guerra. Utilizzando il metallo dei mezzi abbandonati sul campo, avevano ben presto ottenuto tutto il necessario per la costruzione delle gallerie; le armi e le munizioni dei soldati morti nelle incursioni degli eserciti contendenti venivano prese e utilizzate. Inizialmente, nei primissimi anni di esistenza, gli Invisibili avevano avuto la necessità di compiere quotidiane incursioni nei campi dei due eserciti per rubare scorte alimentari in quantità. Quelle incursioni avevano insospettito i comandanti, ma nessuno aveva mai avuto l’idea che i responsabili fossero proprio sotto i loro piedi. Col tempo gli Invisibili erano riusciti a estendere le gallerie oltre le fortificazioni delle trincee, potendo così inviare alcuni uomini dietro le linee del fronte e procurarsi il cibo senza più destare sospetti. Secondo le voci, gli Invisibili avevano addirittura iniziato a coltivare ortaggi e allevare alcuni tipi di animali – galline, tacchini – sottoterra, grazie a sofisticati meccanismi che avevano realizzato.
Pur nelle enormi difficoltà in cui versavano, gli Invisibili erano riusciti col tempo a rendere confortevole la loro esistenza. Dopo aver messo a punto la costruzione dell’enorme complesso e aver reso irrintracciabili le sue entrate - tanto da non dover più preoccuparsi delle numerose scaramucce che i due fronti combattevano nella terra di nessuno -, gli Invisibili avevano dotato le loro gallerie, i loro magazzini e le loro fortezze sotterrane di tutti i confort possibili; era stato bandito l’equipaggiamento di guerra, e si era ricreato un ambiente che fosse il più possibile vicino all’idea di “casa”: letti, poltrone, tavoli, sedie, librerie, scrivanie, cucine, bagni. Tutto ciò che mancava nelle trincee (con alcune eccezioni, specialmente per gli alti ufficiali) era disponibile sotto la terra di nessuno. Era necessario che tutti si mantenessero vigili, continuassero a esercitarsi con le armi e a prevenire possibili irruzioni; ma in generale la vita scorreva – a quanto almeno si diceva – tranquilla e pacifica. Erano state cancellate le distinzioni di grado, i privilegi, le gerarchie. Gli Invisibili appartenevano a una comunità libera ed egalitaria, dove la proprietà era stata completamente abolita cancellando così la fonte prima di attrito e di contesa tra le persone. Le decisioni erano prese a maggioranza, con voto libero e democratico, e chi non era d’accordo generalmente accettava poi di seguire la volontà dei più, ma poteva anche abbandonare il proprio gruppo e trovarsi uno spazio dove vivere autonomamente senza interferire nelle attività della comunità. La comunità divideva le mansioni in base alle competenze dei suoi membri, e la società degli Invisibili era del tutto autosufficiente non soltanto sul piano meramente produttivo, ma anche su quello intellettuale: correva voce che, preoccupati dall’eventualità che la guerra prendesse una piega distruttiva, gli Invisibili avessero iniziato da molti anni ad ammassare nei sotterranei della terra di nessuno tutto il sapere e la cultura che la civiltà avesse prodotto, in modo da preservarla per usarla come base di un’eventuale ricostruzione del pianeta.
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