Tutto era incominciato, per Massimo, con l’arrivo di un’email pubblicitaria. L’Omniaflor, una grossa – ma finora a lui ignota – azienda transnazionale con diramazioni varie nel settore floro‑faunistico gli aveva inviato un rutilante, particolarissimo catalogo di piante ornamentali.
Quel giorno, come d’abitudine, Massimo trascorreva la mattina nel giardinetto, sul retro della sua casa di periferia. Sedeva al sole nella poltrona di legno imbottito, il computer posato sulle ginocchia. Era un portatile con funzioni e programmi insoliti: dalla macchina uscivano cavetti che andavano a collegarsi a sensori innestati nelle piante. Una cuffia era posta a cavallo del cranio calvo di Massimo.
Linda era uscita con un’amica. - Vado a fare compere - gli aveva detto, già vestita di tutto punto alle 8,30.
- Compere di che? - aveva risposto Massimo, in giardino nella sua poltrona, senza sollevare lo sguardo dallo schermo.
Linda gli aveva risposto prima di andare via, pure Massimo non ricordava cosa gli avesse detto. E in effetti, delle compere di Linda a lui importava relativamente. In casa c’era già tutto quanto servisse. Sicuro. Quello di sua moglie era un pretesto per allontanarsi da lì: Linda, poco a poco – s’era accorto Massimo – aveva capito che la mattinata, per suo marito, era ormai qualcosa di sacro, specie se c’era buon tempo. Dacché era andato in pensione, l’anno precedente (con un esaltante addio alle scartoffie d’un ufficio statale), si dedicava alla sua vecchia passione quasi a tempo pieno: dal primo mattino alle tredici era seduto lì, per il suo ‘dialogo’ con le piante.
Il giardinetto in terreno battuto, con vialetti piastrellati, annoverava un vigoroso cespo di rose gialle, una malva, una vite selvatica, gerani, rododendri, begonie, anthurium, fresie, felci, convolvoli, un’edera. Dal centro geometrico del terreno prorompeva una palma di venti metri; la circonferenza del tronco alla base superava i tre metri. Elastica e col gagliardo pennacchio di foglie al vento, la palma era il suo orgoglio benché periodicamente i grossi semi, come proiettili, ogni tanto gli piombassero sulla testa. Quel giardinetto poteva in realtà sembrare a occhi estranei il passatempo modestissimo, forse addirittura squallido, d’un pensionato sbandato dall'addio al lavoro: non era affatto così...
Da anni Massimo si era attrezzato, e ‘parlava’ con le sue creature. Le parole, diffuse o indirizzate alla palma, o a una felce, provocavano a loro volta una risposta elettrica nella biologia della pianta. Tutta la flora circostante era monitorata con microapparati su foglie, tronchi, radici, collegati a un analizzatore d’onde che tramite un’interfaccia traduceva la reazione elettrica del vegetale in risposta sonora, la quale tornava a Massimo nella sua cuffia. Il suono ricevuto induceva Massimo a un’ulteriore stimolazione, e così via.
Agli inizi – circa un decennio prima – lui ne aveva accennato a Linda, che di botanica sapeva poco o nulla.
- Vedi - le aveva detto - queste reazioni io le paragono un po’ a quelle elettriche del muscolo d’un braccio. Una specie di riflesso meccanico. Ma interessante, perché…
- Certo, certo…
A questo punto l’attenzione di Linda era chiaramente altrove mentre in lui, dannazione, cresceva il dubbio che di questi esperimenti gli sfuggisse qualcosa. Qualcosa di importante: ed era il motivo per cui doveva continuare a indagare.
Era stato così che, col trascorrere del tempo, Massimo si era accorto non senza stupore di essere nel giusto. Pur non possedendo un cervello come il nostro, né cellule nervose, le piante disponevano comunque di centri o gangli d’un qualcosa che le rendeva sensibili, sensitive.
Per esempio, aveva verificato che inviando al cespo di rose una certa parola, avrebbe ricevuto (tradotto in stimolo sonoro) un ‘rumore’ riconoscibile: come se alla stessa domanda fosse stata data la stessa risposta. E così con le altre specie. Le piante inoltre non si limitavano a crescere: agivano. Anche sotterraneamente – via radici – e con la chimica delle loro foglie. Perfino quelle autunnali così belle e colorate, cadute e sparse sul terreno, non erano ‘morte’: avevano precise finalità chimiche, stagionali, sul suolo e sulle radici sottostanti.
Massimo scopriva così, silenziosamente, accanto al nostro, un universo d’insospettabile ricchezza. Non aveva ancora decifrato ciò che realmente esso gli diceva: poteva trattarsi d’un messaggio importante, d’una nuova grande rivelazione che avrebbe trasformato il mondo. Ed era sicuro che un giorno sarebbe stato lui a scoprirlo.
- Per la meraviglia - aveva detto un giorno a Linda - resterai a bocca aperta. Sappilo. E rischierai di non riuscire più a richiuderla.
Era immerso in pensieri del genere quel giorno, seduto al sole in poltrona, quando vide materializzarsi nel computer l’email il variopinto catalogo dell’Omniaflor.
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