— Lei porta gli occhiali.

— Certo.

— Curioso, è così… retrò.

— Fa parte del mio lavoro.

— Anche il vestito? E i baffetti?

— Si, stiamo lavorando sulla Belle Epoque.

Livia Ciardi sorrise, affascinata. Quando le avevano affidato quell’incarico si era addirittura arrabbiata. Ma gli sviluppi erano migliori del previsto. L’uomo davanti a lei, capelli neri corti, lineamenti gentili e uno splendido frac, era bellissimo.

— Un reportage sul mondo editoriale e cinematografico?

Livia si piazzò le mani sui fianchi e lanciò uno sguardo feroce a Peter Fox.

Il Direttore, arroccato dietro la scrivania, sogghignò. Con il grosso corpo incastrato nella sedia, i pollici infilati nelle bretelle rosse e la camicia tesa sulla pancia prominente incuteva al tempo stesso timore e simpatia. 

— Non lamentarti! Sarà il servizio di punta del prossimo numero — esclamò, con la voce incarognita dalle troppe sigarette.

— Detesto i tipi della Fabbrica. Snob, pieni di frasi contorte e idee stravaganti — ribatté lei.

Per tutta risposta Fox indicò un faldone zeppo di fogli.

 — Studiati la pratica, lì c’è tutto quello che ti serve. Ti prenderò appuntamento con Eugene Ferraro, un pezzo grosso della Fabbrica. Mi deve un paio di favori, non mi dirà di no. Mi raccomando — concluse con una strizzatina d’occhio. 

— Vacci al massimo. Sciogliti i capelli, slaccia l’ultimo bottone della camicetta e levati il reggiseno. Così c’è più movimento, là davanti.

Livia stava per replicare, ma si fermò. Inutile, con Peter. Era fatto così. Sbirciò il malloppo e lo prese con un sospiro. Aveva una settimana per farsi una cultura.

L’insegna olografica riversava in strada immagini tridimensionali di ogni genere. Esplosioni, onde oceaniche e valanghe di neve, accompagnate da realistici effetti sonori. La Fabbrica di Personaggi. Un nome roboante, in stile hollywoodiano. Livia si infilò nelle porte girevoli, simili a vecchie turbine in ottone. Fu come trovarsi nel retro di un palcoscenico, al cambio dei costumi. Automi in stile retrò correvano cigolando su e giù per la sala. Manifesti animati ripetevano le battute di film famosi. Il pavimento era un caleidoscopio colorato di scacchi lampeggianti. Sul soffitto una astronave pulsava al ritmo delle cinque note di Incontri Ravvicinati.

Le si avvicinò un elegantissimo James Bond. — Desidera qualche informazione? — chiese con voce profonda.

“Caspita” pensò Livia impressionata “Questa gente ci sa fare sul serio.” Batté le ciglia con malizia e rispose. 

— Ho un appuntamento con il signor Ferraro.

— Oh, la giornalista — disse l’altro accendendosi una sigaretta. Indicò il pacchetto. — Ne vuole una?

— No grazie, signor…

— Bond. James Bond.

Livia si morse un labbro. Domanda cretina!

Ottenute le indicazioni vagò per quel manicomio, perdendosi subito. Alla fine un addetto alla sicurezza la accompagnò all’ufficio di Ferraro. Attraversarono un paio di porte con controlli e codici di accesso. Un’area per soli addetti ai lavori, pensò compiaciuta.

E ora eccola lì, a parlare con quella specie di David Niven dai modi affabili e sensuali.

— Così lei è un fabbricante di personaggi? — chiese.

Ferrero esitò. — Creatore. Ci piace definirci così.

— Può descrivermi il suo lavoro?

— I produttori investono milioni nei film. Non vogliono più correre il rischio di un flop al botteghino. Non parliamo poi degli editori! Detestano pubblicare un romanzo che non venda.

Fece una pausa. Livia lo ascoltava con attenzione.

 — I personaggi! — continuò Ferrero — sono loro l’anima di una sceneggiatura o di un romanzo. Se funzionano, la storia viene da sé. La tecnologia ci offre opportunità in passato sconosciute.

— Inventare personaggi? È questo che fate?

 L’altro sorrise. — No. Quello lo fanno gli autori. Ci inviano schede dettagliate delle loro creazioni. L’eroe principale, il perfido antagonista, la bellezza fatale e così via. Noi impostiamo i dati nel bio-scanner, modelliamo i tre-D e li realizziamo in carne e ossa, clonandoli da cellule umane. Il computer impianta nel cervello il carattere e la personalità. Così gli sceneggiatori hanno modelli reali. Possono sentirli parlare, studiarne comportamenti e interazioni. Farli agire in scena. Correggono errori e incongruenze e editano il testo finale senza incertezze.

— Deve essere costoso!

— Oggi è un processo abbastanza economico. Oserei dire alla portata anche di medie case editrici. Mi creda — disse alzando l’indice della mano destra. — Nessun scrittore o produttore si accontenta più una versione su carta. Vogliono  vedere, prima di tirar fuori i soldi.

Livia si accigliò. 

— E i cloni, che fine fanno?