«Non c'è dubbio che la ragione fondamentale del successo della "Trilogia" sta nel fatto che si tratta di un libro di storia. Chi vi si addentra, può non conoscere Gibbon, Toynbee o Marx, ma la sua reazione sarà certamente quella dell'amatore di storia che si aspetta dallo "specialista" un racconto e insieme una spiegazione del racconto: lieto abbandono al possente fiume degli avvenimenti, ammirata gratitudine per l'autore che ha capito tutto e ci conduce con mano esperta nel labirinto, piacere per ogni nuovo groviglio che si forma dopo lo scioglimento del precedente, assoluta fiducia nella plausibilità delle connessioni, delle corrispondenze, degli incastri». Così Fruttero e Lucentini, due dei maggiori esperti di fantascienza italiani, introducono la saga della Fondazione (o Trilogia galattica) nella sua ultima edizione pubblicata (Mondadori 2004).
Quali sono le due costanti del grande affresco storico dipinto da Isaac Asimov nella Fondazione? La prima, la caduta dell’Impero galattico. La seconda, la teoria della prevedibilità della storia. Come vedremo, sono due idee perfettamente legate. Santo Mazzarino, il più notevole storico italiano dell’età romana, nel suo classico storiografico La fine del mondo antico apriva l’opera con questo capitolo: “Prologo su due idee antichissime: impero universale e crisi dello stato”. Il capitolo discute dell’antica idea di impero e di come l’impero sia destinato sempre a cadere. L’Impero di Trantor è identico all’impero di Roma, l’urbs, la città, in questo caso Roma, nel nostro caso Trantor, coincide con l’orbs, il mondo, l’universo. Ma Stati tanto grandi finiscono per forza di cose per crollare, perché omnia orta intereunt, tutto ciò che nasce ha una fine (Sallustio), anche le cose eterne come l’Impero galattico. Hari Seldon, in Preludio alla Fondazione, rimane sconvolto dalle parole di Demerzel che presagiscono la prossima fine dell’Impero. «L'Impero Galattico non poteva finire, proprio come l'universo non poteva finire. O meglio, solo se l'universo avesse cessato di esistere, sarebbe scomparso anche l'Impero», pensa Seldon. È esattamente ciò che penseranno tutti i contemporanei della caduta dell’Impero romano nel momento in cui il barbaro Alarico, nel 410, saccheggerà la Città Eterna. Il declino di uno stato immenso come quello dell’Impero galattico è lento, come lento è il declino dello stato romano, iniziato verso il 200 e terminato duecentocinquanta anni più tardi.
Ma il declino dell’Impero galattico viene visto nelle opere di Asimov anche e soprattutto come fine di un’età dell’oro. Ebbene, è proprio questa la brillante idea che così tanto riesce a equiparare la Fondazione con una determinata corrente della filosofia della storia, quella dell’inevitabile corruzione dei tempi. Nel primo capitolo di Fondazione il giovane Gaal Dornick giunge per la prima volta nella sua vita a Trantor, la" align="right"> capitale della galassia. Seldon gli fa notare come la decadenza stia prendendo il sopravvento ovunque: nelle infrastrutture del pianeta, nell’amministrazione dell’Impero, nel sentimento stesso del popolo, sempre più oppresso dalla burocrazia. In Preludio alla Fondazione Demerzel fa notare a Seldon il rumore dell’Espressovia (una specie di metrò) mentre corre sulle “rotaie”. Nei tempi precedenti il treno non produceva il minimo rumore, e correva nel silenzio più totale. È la condizione tipica della decadenza dei tempi e dei costumi. Lucrezio ci tramanda questo passo: «E già, scuotendo il capo, il vecchio aratore sospira di frequente; lamenta la sua fatica vana, e confronta il tempo d’oggi coi tempi che furono; loda spesso le fortune del suo genitore». La decadenza dell’Impero galattico è il simbolo della fine di un’età dell’oro che già Esiodo nell’antica Grecia teorizzava: da un’età di prosperità e benessere l’uomo è destinato a corrompersi sempre più, finendo in un’età del ferro, dove il duro lavoro è l’unica cosa che gli garantisce il sostentamento. Gli abitanti di Trantor, che hanno di che sfamarsi grazie ai venti mondi agricoli che provvedono ai loro fabbisogni, finiranno per dover coltivare da soli il cibo nel momento in cui il crollo dell’Impero e il saccheggio del pianeta provocherà la fine definitiva della prosperità. Come Roma, con i suoi milioni di abitanti che si sfamavano grazie alle derrate della Campania e dell’Egitto, si spopola e diviene cittadina di agricoltori con la fine dell’impero, così Trantor dopo il saccheggio si spopola: dai 40 miliardi di abitanti giunge a poche centinaia di migliaia di individui, «e il grano cresceva nelle immense isole spartitraffico», mentre i trantoriani spogliano il metallo delle cupole per costruire le proprie macchine così come i cristiani spogliavano i monumenti di Roma dal marmo per edificare nuove chiese.
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