La svolta ufficialmente è avvenuta alla fine degli anni '90, grazie a Half-Life. Ma un enorme contributo, in tempi più recenti, lo ha dato anche la Starbreeze di The Chronicles of Riddick e The Darkness, riaffermando con forza che i first person shooter possono rivelarsi fantastici linguaggi interattivi per raccontare una storia. Adesso a tornare sull'argomento è Machinegames, software house al debutto solo sulla carta. In questo nuovo studio, fondato a Uppsala in Svezia, si ritrovano infatti proprio molti ex Starbreeze. A loro il compito di raccogliere il testimone di una delle saghe simbolo del genere, Wolfenstein, con un nuovo episodio che si riallaccia allo sparatutto del 2009 firmato dagli statunitensi Raven.
Nel gioco sono passati diciassette anni da allora. B.J. Blazkowicz, il soldato americano protagonista, ha perso la memoria e vive rinchiuso, dimenticato da tutti, in un manicomio. Quando esce, scopre che il mondo è cambiato: i nazisti hanno vinto la guerra e il futuro è nelle loro mani. Si apre così Wolfenstein: The New Order, ambientato in una versione alternativa degli anni '60, dove Machinegames sviluppa un tema caro alla fantascienza, l'ucronia. Ma dall'incipit è impossibile non cogliere già altri elementi che da sempre hanno destato l'interesse degli autori di science fiction, come il confine tra realtà e immaginazione. Il videogame, pubblicato da Bethesda, uscirà a fine maggio per Pc e console di entrambe le generazioni, quindi sia Ps3 che Ps4, sia Xbox 360 che Xbox One.
Un certo occultismo, tipico della saga, sembra aver lasciato spazio a una fantascienza maggiormente tecnologica, in cui i nazisti tengono in pugno i popoli per mezzo di avveniristiche armi ed eserciti robotici. Il teaser, sulle note di All Along the Watch Tower, è emblematico. Nelle risorse in rete, anche tanti altri filmati che aiutano a calarsi, rileggendo in alcuni casi gli strumenti della propaganda attraverso la chiave dell'ironia, in questi particolarissimi Sixties all'ombra della svastica. Il videogame vero e proprio si preannuncia comunque piuttosto tetro, oltreché un progetto ambizioso. Come nel cult Bioshock o del resto negli stessi The Chronicles of Riddick e The Darkness, l'attenzione è totalmente rivolta al singleplayer, in ossequio ai principi di quella scuola che professa uno strettissimo legame tra azione e narrazione, al punto di concepirle spesso l'una in funzione dell'altra.
Il tutto viene enfatizzato dalla scelta registica della visuale in soggettiva, che eleva il coinvolgimento, mentre la cinematograficità delle scene è garantita da un motore grafico, l'id Tech 5 (già sfoggiato in Rage), che vanta uno dei più spettacolari sistemi di rendering e specialmente accuratissime animazioni facciali. Anche se, in un'opera come Wolfenstein: The New Order, forse la curiosità principale sarà osservare come ora un team nordeuropeo, nella Svezia della Trilogia Millennium di Stieg Larsson, del Ritorno del maestro di danza di Henning Mankell e dell'Uomo laser di Gellert Tamas, a due passi dalla Finlandia di Iron Sky, dalla Norvegia di Dead Snow e dalla Danimarca dell'Ombra del nemico, Paesi che continuano a riflettere e confrontarsi con gli incubi del nazismo, affronterà il discorso rispetto ai vecchi videogame.
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