“Terraformare Marte e marteformare i terrestri”, questo era uno degli slogan del Presidente. E quei ragazzi erano solo all’inizio dell’opera di marteformazione. Dopo l’inserimento dei neuroni non degeneranti, aggregati  in un ippocampo artificiale, indispensabile per il monitoraggio remoto dello stato psichico, sarebbero iniziate le diete farmacologiche per la stimolazione intellettiva. E poi le modificazioni genetiche, epigenetiche e protesiche, volte al rafforzamento fisico indispensabile per affrontare la vita nello spazio. Vincere l’atrofizzazione muscolare e l’osteoposori era stato il più grande successo dei Padri Fondatori.– E dopo Marte andremo oltre, diffondendo nella galassia la Vita, il diritto alla Vita, l’inarrestabilità dell’evoluz... zio... ne ne ne...Il Presidente balbettava. Che accidenti stava succedendo? Qualche problema col segnale video? L’immagine olografica sfarfallò deformando il volto del Presidente, mutandolo. L’interferenza si risolse sul sorriso di un volto diverso. Un volto fatto di denti bianchi, barba bianca, folti capelli dello stesso candido colore. E occhi neri, piccoli, appena distinguibili sotto folte ciglia nivee: Rajendra Chandrasekhar. Il guru indiano. Finch ebbe la sensazione d’essere l’unico a comprendere da subito che quell’intervento del vecchio Padre Fondatore non era previsto, che nessuna benedizione sarebbe venuta dal guru. Che quella era un’incursione abusiva. Ed ebbe l’immediato pensiero che Chandrasekhar godesse di appoggi potenti: non era cosa facile sostituire il proprio faccione a quello del Presidente in mondovisione. 

Il guru tuonò il suo sermone: – Il futuro dell’umanità non potrà mai essere marziano! Non potremo mia allontanarci da Gaia, la nostra Madre Terra. L’anima di ogni uomo ha qui la sua casa! È vana e presuntuosa illusione quella della colonizzazione. Non dobbiamo rivolgerci a ciò che sta fuori, all’illusorio e impermanente cosmo. La vera conoscenza guarda a ciò che sta dentro, al centro dell’esistenza, al centro di noi stessi, al centro della Terra! Lasciare Gaia, significa staccare i corpi dalla loro anima, significa morire! E i Precursori moriranno tutti!

Finch si rivolse al Generale Dirigente, bisognava interrompere quella vergogna. Era incredibile, un Padre Fondatore, un uomo che era stato all’origine del viaggio verso Marte, rappresentava oggi la sua più agguerrita nemesi. Il Generale annuì ai richiami del comandante, ma si mosse senza alcuna sollecitudine. E l’immagine olografica del guru continuò a parlare, a diffondere il suo verbo.

– Io stesso sono all’origine di questa follia! Me ne pento amaramente! Quante cavie animali ho sacrificato in inutili viaggi verso Marte! Tutte creature che ho mandato a morire. Nessun essere terrestre dotato di anima potrà mai giungere vivo su Marte, perché andandosene da Gaia egli se ne va dalla propria anima! Dobbiamo impedire questo inu... ti.. le...

L’immagine scomparve implodendo in un bagliore azzurro. Sguardi perplessi cercarono l’uno nell’altro il conforto di un sorriso ironico. Qualcuno sbraitò una epiteto volgare al guru menagramo. Seguirono risate, fischi, applausi di scherno.

Il comandante Finch ritrovò Baj ai tavoli della mensa. Sedeva solitario in un tavolo addossato alla parete concava della base. Con una mano reggeva l’involucro dal quale aspirava brodo vegetale con una cannuccia, con l’altra stringeva la sua “sfera familiare”.

Finch gli sedette di fronte.

– Il vostro amico indiano ha rinnegato se stesso.

Baj staccò le labbra dalla cannuccia: – Rajendra è un genio. Tentare di capirlo è perdere tempo.

– Non mi interessa capirlo, solo che un Padre Fondatore non dovrebbe rinnegare i propri... i propri figli.

Baj, stringendola tra due dita, sollevò la pallina grigia, suo figlio, innanzi agli occhi del comandante. Porgendogliela. Finch declinò l’invito a toccarla, allora Baj riabbassò la mano e, nonostante la sua fama di taciturno, avviò un soliloquio che era un memoriale.

– Mio figlio era un genio, una mente superiore. Fin da piccolo mi subissava di domande, non le solite stupidaggini da ragazzini, ma domande sensate. E pretendeva risposte sensate. Si interessava di tutto e io amavo stupirlo con le mie risposte. Era una gioia vedere il suo volto illuminarsi di sense of wonder. Una volta mi chiese di spiegargli la ragione degli esperimenti che gli astronauti compivano sulla Stazione Spaziale Orbitante, al di fuori dell’atmosfera terrestre. Gli raccontai delle prove tecniche di combustione. Gli spiegai che nel vuoto cosmico, in assenza di gravità, la fiamma di una candela non assume la terrestre forma a goccia: il calore non va in alto ma in ogni direzione, e la fiamma è una sfera perfetta. Mio figlio godeva di queste rivelazioni. – Baj parlava rivolgendosi alla sfera. – Questa domanda me la fece all’età di sei anni.