È sempre stato particolarmente difficile per il pubblico europeo immedesimarsi nell'incarnazione dello spirito americano per eccellenza: Capitan America. Superman, per la distinta concorrenza, incarna ed ha sempre incarnato ideali molto simili ma la sua natura di alieno ed i poteri semidivini hanno contribuito ad iconizzare e ad estrapolare dal contesto una scala di valori invece molto tangibili per Steve Rogers. Un giovane idealista degli anni Quaranta trasformato dal siero del supersoldato in una perfetta macchina da guerra si porta uno strascico difficile da aggiornare ai tempi moderni. Il passato militare di Capitan America, il suo schierarsi spesso con gli ideali governativi o comunque, anche nei momenti di rottura, il non potersi mai liberare completamente dalle pastoie ideologiche e politiche rendono Steve Rogers un personaggio complesso e il più delle volte ostico al pubblico non prettamente statunitense.
Mark Millar prima ed Ed Brubaker in un secondo momento cominciano, nei fumetti, un percorso di destrutturazione e ricostruzione del personaggio quasi impossibile da concepire, tentato con risultati altalenanti per almeno trent'anni prima di loro, che non solo riuscirà a rendere credibile uno degli unici supereroi a camminare con addosso la bandiera americana ma lo porterà anche a brillare di una luce mai avuta prima oltreoceano. Se Capitan America è un soldato non deve per forza essere quel soldato sempre in grado di mostrare in ogni momento quanto i soldati, soprattutto quelli americani, siano ineccepibilmente e moralmente perfetti. Mark Millar, nel Capitan America reinventato ad hoc per gli Ultimates, recupera il suo passato di combattente e di reduce dal più grande massacro della storia, la Seconda Guerra Mondiale, mostrando le cicatrici mai rimarginate che il conflitto mondiale ha lasciato nella sua anima e soprattutto mettendo per la prima volta in luce la spietatezza necessaria a qualsiasi soldato, anche un supersoldato, per sopravvivere in quelle circostanze. Steve Rogers diventa più incisivo, più violento e meno incline a compromessi, un uomo magari incapace di districare il classico nodo gordiano ma perfettamente in grado di tagliarlo in due all'occorrenza. Millar attacca il personaggio anche da un altro lato, quello del superstite di un'epoca lontana. Il suo Capitan America, complice anche il fatto che si è risvegliato da poco nell'era moderna, non è per nulla a suo agio nel mondo di oggi, non lo capisce a fondo e non riesce a far collimare appieno i valori della sua gioventù con quanto ha sotto gli occhi ogni giorno. Si sente solo ed isolato, incapace di avere rapporti umani se non con casi limite di alienazione come Thor o Tony Stark. Con i suoi difetti e con le esasperazioni di alcuni tratti da sempre presenti in Capitan America, Mark Millar è però in grado di rendere il personaggio, alla fine del suo percorso, più umano, più immediato, più maturo ma allo stesso tempo più facile all'immedesimazione. Ed Brubaker finisce l'opera sulla controparte in continuity traghettandola completamente nella modernità ma da premesse simili a quelle di Millar. Riaggiustandone a piccoli passi la storia e limandone gli spigoli con lavoro da certosino Brubaker costruisce uno Steve Rogers similissimo a quello del suo collega scozzese ma chiaramente sveglio nell'epoca moderna da molto più tempo. Uguali premesse ma molti più anni di attività non hanno cancellato completamente la durezza del supersoldato ma lo hanno reso, magari in facciata, solo un poco più diplomatico anche se magari allo stesso tempo più cinico e disilluso. Se si aggiunge alla miscela un'ambientazione spionistica piena di livelli di grigio, in cui nulla è quello che sembra e soprattutto in cui non esiste mai una certezza univoca si può intravvedere, alla fine della strada, una figura ben diversa da quella di partenza.
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