Dopo un lungo periodo passato praticamente senza leggere (tre mesi, non ho mai passato tre mesi senza leggere dall'età di dodici anni), pressato dal lavoro e da impegni vari, alla fine sono riuscito a ritornare alle amate pagine stampate.
E il caso ha voluto che ricominciassi con un Urania dedicato a Robert Anson Heinlein, uno degli autori che amo maggiormente.
Il mestiere dell'avvoltoio contiene un romanzo breve e quattro racconti, più che fantascienza il fantastico in tutte le sue forme.
Insomma un Heinlen che non ti aspetti, diverso dal rigoroso scrittore della storia futura e delle avventure spaziali narrate con attenzione alla plausibilità scientifica, ma non per questo meno affascinante.
Il mestiere dell'avvoltoio (The unpleasant profession of Jonathan Hoag, 1942)
Questo romanzo breve prende le mosse da una premessa particolarmente intrigante: Jonathan Hoag è un uomo apparentemente normale, ma che non sa qual è il suo lavoro e soprattutto ignora la natura della sostanza rossastra che si ritrova sotto le unghie.
Quando la fa analizzare da un medico questi lo scaccia scortesemente e anche, se lo assicura che non si tratta di sangue, non gli rivela la natura della sostanza.
Allora Hoag si rivolge a una coppia di investigatori privati, Ted Randall e sua moglie Cynthia, per scoprire cosa fa durante la giornata; i due, per quanto perplessi, si preparano a pedinarlo e a guadagnarsi qualche centone facile, ma le cose andranno diversamente da quanto pianificato.
Da questo avvio appantemente semplice si dipana una storia piena di suspence e mistero, risolta alla fine in modo decisamente originale.
La casa nuova (...and he built a crooked house, 1941)
E con questa siamo arrivati alla nona pubblicazione di questo racconto.
Lo lessi per la prima volta su Antologia scolastica, un Urania che in copertina mostrava appunto questa strana e pericolosa casa.
Un incipit fantastico, un racconto che ogni volta sembra nuovo, unico cruccio che in questa edizione manca il disegno del tesseratto.
Loro (They, 1941)
Un ospite di un ospedale psichiatrico, un'ossessione senza senso che gli fa credere di essere vittima di un complotto, un triste caso simile a centinaia di altri casi del genere.
Quando la vita diventa brutta rifiutare la realtà può essere una comoda via di fuga e chi cerca di riportartici diventa fatalmente il nemico.
Un racconto che ha perso un po' dello smalto che aveva settanta anni fa, probabilmente il più debole dell'antologia, comunque piacevole da leggere.
La nostra bella città (Our fair city, 1949)
La corruzione non è un'invenzione dei nostri tempi, il giornalista Pete Perkins denuncia gli oscuri maneggi del sindaco, inutilmente sino a quando trova l'alleato più improbabile e impensabile che si possa immaginare.
L'uomo che vendeva elefanti (The man who traveled in elephants, 1959)
Probabilmente il racconto più intimista di Heinlein, una storia lontana migliaia di anni luce dalle avventure spaziali e dalle storie avventurose a cui ci ha abituato lo scrittore californiano, ma non per questo meno coinvolgente.
Tutti voi zombies (All you zombies…, 1959)
Quando Heinlein si cimenta con i viaggi nel tempo scoppiano i fuochi d'artificio, come in Un gran bel futuro (By his bootstraps, 1941) anche qui ci troviamo di fronte a un paradosso, al simbolo alchemico dell'Uroboro, il serpente che si morde la coda, in una danza che da qualche parte deve avere una falla... solo che è difficile trovarla.
Il mestiere dell'avvoltoio è un'antologia che gli appassionati di fantascienza non dovrebbero perdere, un perfetto esempio di come Heinlein sappia coniugare stile e idee in modo praticamente perfetto.
Dare una personalità a un personaggio come Micina, il mulinello protagonista di La nostra bella città, creare una complessa struttura temporale o immaginare l'umanità come una gigantesca opera d'arte sono cose che solo i grandi autori riescono a fare.
E grande Heinlein lo era davvero, spero che le vendite di elefanti gli stiano andando bene.
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