Uno dei cyborg cinematografici più famosi della fantascienza cinematografica è certamente RoboCop, protagonista nel 1987 del film diretto da Paul Verhoeven e che in Italia uscì con il titolo: RoboCop - Il futuro della legge. Eppure, nonostante il successo iniziale della pellicola e del personaggio, è stato forse poi sfruttato male come franchise, ma partiamo dal film del regista olandese.
Il film di Verhoeven, sceneggiato da Edward Neumeier e Michael Miner e con protagonista Peter Weller, partiva da un assunto interessante: creare il poliziotto indistruttibile per combattere una sempre più feroce criminalità organizzata e non. Una sorta di giustiziere della notte, con però le tre regole sui Robot create da Isaac Asimov nel dna. Siamo a Detroit, nel futuro. La multinazionale OCP si occupa di sicurezza a tutti i livelli e progetta un sofisticato robot arginare, con l’aiuto della polizia, la criminalità della città di Detroit. Il prototipo, però, si rivela un disastro. A questo punto subentra un nuovo progetto, RoboCop, ossia un robot che possa avere un cervello umano. L’agente di polizia Murphy rimane vittima di un tremendo agguato da parte di alcuni rapinatori di una banca e resta mutilato: è il perfetto candidato per RoboCop. Jones, dirigente della OCP che ha creato RoboCop è realtà in combutta con la criminalità organizzata di Detroit, e il suo Cyborg dalla parte della Legge dovrà invece essere utilizzato per fini personali. A RoboCop è stata cancellata la memoria, ma piano piano, grazie anche alla sua ex-collega, il cyborg riacquista alcuni ricordi della sua vita da essere umano e così anche una qualche forma di umanità. Alla fine RoboCop riuscirà a debellare la criminalità sia all’interno della città sia all’interno della OCP, la società che lo ha creato.
Il “vestito” che Verhoeven sceglie per raccontare questa storia è quello del noir, intriso di violenza allo stato puro, ma anche da una forte componente morale esemplificata proprio dalla figura del cyber-poliziotto. Un misto tra un giustiziere della notte e un samurai, fermamente convinto nella sua missione di recidere le radici della criminalità, ma anche a tenere dritta la barra della legalità.
Ad un solo anno di distanza dall’uscita del film, la Marvel provò a portare RoboCop sul piccolo schermo, sottoforma di cartone animato con il medesimo titolo, che ovviamente si rivolgeva ai bambini, edulcorando dunque le scene di violenza presenti nella pellicola di Paul Verhoeven. In tutto la serie si componeva di appena 12 episodi di 30 minuti l’uno.
Al primo film, seguirono due sequel abbastanza mediocri, nonostante alla regia del secondo venne chiamato il veterano Irvin Keshner, già regista di Guerre Stellari – L’impero colpisce ancora, e per il terzo film della coppia Fred Dekker e Frank Miller. Quest’ultimo era all’apice del successo come sceneggiatore e disegnatore di fumetti. A Miller si deve, infatti, la “riscrittura” e il rilancio di un’icona del fumetto americano come Batman, grazie alle miniserie Batman: Anno Uno (Batman: Year One, 1986) e Il ritorno del Cavaliere Oscuro (The Dark Knight Returns, 1987). Una scelta di cassetta, dunque, che però non produce gli effetti desiderati. RoboCop 2 (1990) e RoboCop 3 (1993) sono due film godibili, ma non all’altezza del primo film. Complice anche il cambio d’attore nelle vesti del cyber-poliziotto: da Weller si passa al mediocre Robert John Burke.Sull’onda del successo del film di Paul Verhoeven, e dei suoi due sequel, anche il Piccolo Schermo dedica uno show (1994) al superpoliziotto metà uomo e metà macchina.
Nella Detroit del 2005, dominata dalle multinazionali e dalla violenza urbana, agisce Robocop (Richard Eden): un cyborg entro cui sopravvivono i ricordi e la sensibilità del poliziotto Alex Murphy, ucciso e parzialmente risuscitato dalla multinazionale OCP. Robocop ha il compito di neutralizzare la sempre più aggressiva criminalità che infesta la metropoli. Nel suo compito è coadiuvato dal sergente Stan Parks (Blu Mankuma) e dalla collega Lisa Madigan (Yvette Nipar).
La serie televisiva ha il merito di mantenere l’atmosfera cupa presente nelle pellicole e l’ottima caratterizzazione del personaggio, che vive a metà tra le sua esistenza puramente tecnologica e le pulsioni umane che ha conservato. Purtroppo, le continue polemiche sulla violenza in Tv e sull’uso delle armi (in America all’ordine del giorno), incidono pesantemente sul risultato finale. Gli script si “ammorbidiscono” troppo, in ossequio alle direttive della Skyvision Entertainment, produttrice dello show.
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