Protetti delle ultime ombre si arrampicarono sul costone roccioso, evitando la scalinata principale di ingresso, e si nascosero in una pineta. Cartero aveva ben pensato di portare delle focacce con un po’ di carne secca. Attesero l’intera mattinata poi al pomeriggio si mossero lungo un sentiero nella boscaglia, arrivando al tramonto alla porta principale, affollata all’inverosimile. L’andirivieni di pellegrini e visitatori si perdeva in una confusione assoluta. Byron, perplesso, vide una lunga fila di carri stipati di botti, balle di fieno, bottiglie e verdura. Donne con l’abito giallo portavano in testa sacchi di sementi e gabbie piene di pollame o conigli. Contadini e monaci spingevano a colpi di bastone un gregge confuso di pecore, maiali, ovini e asini.Meglio così, pensò, confondersi con la folla sarebbe stato più facile.— Giorno di mercato? — chiese Cartero con un sussurro, camminando a testa bassa.
— Mai saputo di un mercato a York — rispose Byron guardandosi attorno. — Probabilmente riempiono le dispense in vista della marea. Buon per noi — indicò con un cenno del capo la cupola di rame, infuocata dagli ultimi raggi del sole. — Quella è la biblioteca. Infiliamoci in qualche taverna e aspettiamo che faccia buio.
— Pensate di bussare alla porta e chiedere una visita? — disse Cartero ironico.
Byron lo guardo male. — C’è un orto botanico adiacente all’edificio — replicò. — Circondato da un muro di cinta. Ho trovato le planimetrie in un vecchio trattato. Una volta entrati lì basterà forzare una finestra per introdursi nell’atrio.
— La porzione riservata alla custodia dei libri sarà senza dubbio protetta — fu la preoccupata risposta. — Monaci di guardia, portoni chiusi, labirinti complicati. Non vedo come…
— Basta! — ammonì Byron nervoso, infilandosi il cappuccio in testa — Non ho mai detto che sarebbe stato facile. Io voglio scoprire la verità sulla profezia delle Tre Lune. Non sei obbligato a seguirmi. Se vuoi, trovati pure un nuovo padrone.
Cartero sorrise e mimò un affettuoso inchino.
Con un pessimo stufato nello stomaco e una stanchezza che l’eccitazione non riusciva a eliminare Byron e Cartero, a notte fonda, percorsero in silenzio gli stretti vicoli attorno al monastero e arrivarono sotto il muro dell’orto botanico, alto circa tre metri. Byron aveva immaginato di lanciare una corda con grappino e issarsi su, ma con sorpresa vide una delle porte laterali socchiusa. In fondo alla via un uomo, di sicuro un contadino, sembrava attendere impaziente.
Si fermarono a distanza di sicurezza. Dopo un po’ un monaco, la veste bianca e marrone tesa sul ventre gonfio e l’andamento barcollante, uscì e si diresse verso l’uomo. Byron strattonò Cartero e corse silenzioso sino all’uscio. Intravide il contadino consegnare un paio di polli, legati per le zampe.
— Viveri supplementari – mormorò entrando. — I monaci giardinieri non devono certo soffrire la fame.
Il giardino botanico occupava un intero lato della Biblioteca. Camminando sui sentieri di ghiaietto Byron osservò di sfuggita i cartelli piantati nelle aiuole o appesi ai tronchi. Erbe curative, essenze aromatiche, piante rare. In quel luogo erano raccolte gran parte delle essenze conosciute. Oltre a qualcuna probabilmente nota solo alla Chiesa.
Il colpo di fortuna sembrava aver avuto effetto. Una porta di accesso della Biblioteca era socchiusa, in attesa del ritorno del monaco.
Byron la spinse piano. Un lungo corridoio si perdeva nell’interno dell’edificio.
Esitò un secondo, poi disse: — Vado io. Tu rimani qui, nascosto dietro quei cespugli. È bene garantirsi una via di fuga. Non intervenire per nessun motivo.
Visto il cenno di assenso di Cartero, si fece coraggio e entrò.
Camminò per alcuni minuti. A dispetto della temperatura esterna lì dentro faceva freddo. Sentì sul corpo la carezza gelida dell’aria umida. Il fiato si condensava in sbuffi bianchi e l’ambiente sapeva di chiuso e polvere. Gli arazzi sbiaditi alle pareti, il pavimento di marmo, le panche di legno scuro e qualche quadro corroso dal tempo rendevano l’ambiente tetro e lugubre.
Al termine del corridoio si apriva l’accesso principale, un portale rifinito da colonne dorate. Le ombre danzavano sulle pareti, animate da fiaccole infisse su anelli di ferro. Byron si fermò, perplesso. L’interno sembrava illuminato. Non aveva pensato di incontrare qualcuno, nella biblioteca. Forse un monaco dedito in qualche ricerca personale. Si fece coraggio e varcò la soglia.
Si fermò, stupito.
La sala era enorme. Le pareti perimetrali occupate da scaffalature piene di ogni sorta di volume, lo spazio centrale costellato da file e file di armadi, bacheche, vetrine, persino carri, riempiti di libri dalla copertina di cuoio scuro, rotoli di pergamene, fogli rilegati con corda e spago. Sul pavimento pile di volumi di ogni altezza si alzavano come stalagmiti.
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