Cesare aveva fatto costruire una piccola tribuna in legno per i suoi ospiti, e io mi accomodai lì, insieme con i senatori e alcuni giovani tribuni e vecchi centurioni. Lui non c’era, e questo creò un certo disappunto.Quando finalmente il sole spuntò, e la nebbia si dissolse, sul grande spiazzo pianeggiante finalmente lo vedemmo, attorniato da una decina di uomini armati dei suoi moschetti. Mi disse più tardi che erano operai specializzati delle sue officine, che si erano offerti volontari, ma lui comunque più tardi li premiò con più denaro di quanto avrebbero guadagnato in una vita di lavoro.Dall’altra parte del Campo Marzio, a qualche stadio di distanza, c’erano un centinaio di gladiatori, armati di spade e picche. Parevano insieme feroci e confusi, incerti su che cosa li attendesse.– Per Giove, ha armato gladiatori e li ha lasciati liberi! – Ricordo che esclamò Metello Celere, con la sua pronuncia blesa e affettata, da vero aristocratico. – Ma è pazzo, quest’uomo?Poi sentii che Cesare dava gli ordini ai suoi, con voce chiara e squillante.
– Puntate! Mirate! – E vidi che gli uomini alzavano le loro armi contro i gladiatori. – Fuoco!
Un rumore tremendo ci assordò, un fumo nero si levò dalle armi, e dieci schiavi caddero al suolo, uccisi o feriti dalle palle di piombo dei moschetti.
– Che sortilegio è mai questo? – Chiese Metello Celere, confuso.
– Caricate! – Ordinò immediatamente Cesare, e i suoi uomini si affrettarono a farlo. – Puntate! Mirate! Fuoco!
I suoi uomini erano ben addestrati, e una nuova scarica esplose quasi subito. Di nuovo il rumore nelle orecchie, di nuovo il fumo e la puzza e, soprattutto, di nuovo altri gladiatori caddero. I gemiti dei feriti cominciarono a levarsi, alti, rompendo il silenzio di quella mattina fredda e nebbiosa. Il terreno si stava arrossando di sangue, e molti dei gladiatori apparvero spaventati. Erano però uomini coraggiosi, avvezzi alla morte: mentre Cesare faceva sparare la terza carica, decisero di andare all’assalto.Caricarono, urlando in modo spaventoso, proclamando la loro voglia di uccidere. Li vedevo avanzare, contro la linea dei fucilieri, e contro Cesare, che se ne stava impassibile proprio davanti a loro. Se i gladiatori fossero arrivati a contatto, lui sarebbe stato il primo a cadere.Fu, naturalmente, un massacro. Nemmeno uno dei gladiatori riuscì ad arrivare al termine della corsa. Morirono tutti, falciati dai fucilieri di Cesare.Per settimane ho avuto incubi terribili, dopo quel giorno: rivedevo quei momenti, un caos di sangue e paura, di morte, come mi immagino potrebbe essere una battaglia nell’Averno. Quando chiudevo gli occhi rivedevo quei corpi straziati, gli occhi stupiti, il sangue dappertutto, risentivo le urla, strazianti, degli uomini colpiti, e percepivo la puzza di polvere da sparo, più forte a ogni scarica, che entrava nelle nostre vesti, nella nostra pelle. Rimasi tutto il giorno successivo alle terme per togliermela di dosso, e dovetti bruciare la tunica che indossavo. Da allora non riesco più a sentire quell’odore senza avere la nausea.Cesare rimase molto soddisfatto dall’esperimento, che fu considerato un grande successo. Pompeo Magno ne fu informato e, nonostante i brontolii dei conservatori al Senato, dotò le sue legioni dei moschetti, e più tardi dei cannoni di Cesare.
– Che spettacolo tremendo! – Gli dissi io alcuni giorni dopo. Lui mi guardò, come se non capisse. – Tutti quei morti!– Erano gladiatori. – Commentò lui, senza attribuire troppa importanza alle mie parole. – Certo, avevano un valore economico, ma era necessario sacrificarlo.
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