— Be’, allora saremmo in due. — Amos sentì fluire nel sangue l’ormone del potere. Sapere che la Difesa della Nuovissima era impegnata a cercare la droga in qualche laboratorio chimico segreto o in qualche pianta proibita lo fece sentire pieno, sicuro, padrone del proprio destino. Se avessero saputo che era estratto dal midollo spinale, che era il corpo umano a produrre una sostanza illegale. Gli sfuggì un sorriso beffardo.PQ-9 estrasse dalla tasca un cilindro di alluminio. Sembrava un bossolo di un antiquato proiettile. Lo aprì aiutandosi con una tenaglia, dentro, su un letto gelatinoso, riposava una piastrina circolare, grande quanto una falange. Ribaltando le leve della tenaglia attivò uno stantuffo sulla cui testa era stata applicata una ventosa. Con un gesto sicuro e preciso prese la piastrina: era sottile come una pellicola.
— Non c’è più tempo. Sbrigati!
Amos si spogliò e consegnò i vestiti al cyborg che li gettò dentro a un dissolutore di materia.
— Al tuo risveglio ne avrai di nuovi.
Il giaciglio era duro solo all’apparenza. Si adattò alle linee dell’apparato scheletrico e delle fasce muscolari. Steso supino, Amos non capì il motivo di tanta attenzione. Eppure erano solo corpi morti, e dubitava che tanta premura nascesse da chissà quale rispetto per i defunti.
La voce di PQ-9 lo distolse da quell’ennesimo dubbio. — Applicherò questa membrana sul plesso solare. — Con la mano libera indicò una zona all’altezza del suo diaframma. — È termosensibile. Il calore scioglierà lo strato esterno, liberando il principio attivo che inibirà le funzioni vitali, provocandoti un arresto cardiocircolatorio temporaneo. È l’unico modo per passare il check in, devi essere morto. La tua fortuna è che non hanno pensato per quanto. Si crede sempre che sia definitiva, ma in questo caso la falce del Tristo Mietitore ti sfiorerà, lasciandoti una ferita superficiale. Eppure intensa, non dimenticherai mai questa esperienza. — Sentì lo sguardo di PQ-9 insistente, sembrava cercasse uno scintillio di lucidità. — Appena ti sarai addormentato, attiverò il binario magnetico che trasporterà la capsula nel tamburo in fondo alla parete. Verrai sparato nelle condotte sensoriali del Cubo, passerai sette blocchi di controllo prima di arrivare alla Sala del ricongiungimento. Io sarò lì ad aspettarti. Assisterò alla tua rinascita. — Un ghigno indecifrabile affiorò sulle labbra del cyborg. — Sei pronto?
Amos annuì. Sentì il contatto freddo dell’applicatore, uno soffio di aria compressa fuoriuscì dai fori laterali. La pelle, a contatto con la testa dell’arnese, si alzò, infine fu spinta con forza verso il basso.
PQ-9 studiò la zona colpita. Con l’indice sfiorò una piastra nella parte posteriore della capsula. Si illuminò. Una serie di lampeggi. Era stata attivata la chiusura dello sportello. Amos si scosse in preda a un ripensamento, ma si accorse che l’intenzione era rimasta chiusa nelle pareti del pensiero: non riusciva a muoversi. Un pizzicore intenso pulsava poco sotto lo sterno, si propagò sul busto e infine sugli arti. Come una macchia d’olio.
Urlò. Dentro di sé. La faccia del cyborg riempì la sua visuale.
— Dimenticavo. Non sarà piacevole.
Una morsa gli afferrò il cuore. Una pressione fulminea lo trafisse. Lacerazioni e crampi lo avvinghiarono.
Si stava inabissando.
Non lievitava.
Nessuna leggerezza, né pace.
Sprofondava, schiacciato dal peso della vita.
La morte non era impalpabile.
Era greve.
Emerse.
I polmoni squarciati da lame d’aria. Respirò e rimase senza fiato.
Una luce abbacinante lo investì, il freddo lo sferzò. Quindi un tonfo, il primo. A seguire altri sempre più decisi e intensi. Il cuore urlava al mondo.
La nascita era greve quanto la morte.
Bianco, il velo gelatinoso si diradò lasciando emergere i colori e le ombre dell’ambiente. Anche il ronzio alle orecchie si disperse nei suoni che riempivano la realtà.
Amos fece uno sforzo enorme per mettersi seduto, era morto per pochi secondi ma la muscolatura sembrava uscire da una lunga inattività. Il cyborg controllava una fila di nicchie, incasellate come un grande alveare. Dovevano essere le celle della vita perenne. Le pareti che le contenevano svettavano alte e diafane, Amos non ne vedeva la fine, sperò che fossero i suoi occhi ancora offuscati.
— Piaciuto il viaggio? — Lo schernì PQ-9.
Non rispose. Un senso di oppressione gli strappò le parole. Si sentiva schiacciato dai tutti quei corpi che si ergevano come mura, che costituivano parte della struttura del Cubo. Gli fischiavano le orecchie ed era certo che fossero i lamenti delle anime rinchiuse in quella dimensione di dolore. Il fischio si tramutò in parole. Parole dure e astiose di cui non comprendeva in pieno il significato, ma piuttosto il suono. Una melodia di cose perdute.
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