Fin dalla sua entrata sul Detroit Mirror nell’ottobre 1931, il mento aguzzo di Dick Tracy aveva sempre garantito ai lettori spigoli, azione e squadratura psicologica, consentendo al personaggio di proiettarsi ;;oltre la soglia del Ventesimo secolo con l’irruenza di un proiettile. Col suo equilibrio perfetto basato su un disegno espressionistico e storie realistiche, pervase da una violenza poco edulcorata, il detective di Chester Gould stava dando al mondo dei fumetti uno scossone analogo a quello prodotto nel giallo dal genere hard boiled. Non a caso, infatti, il cugino più prossimo di Tracy ;;è il g-man X9 disegnato da Alex Raymond su testi del giallista Dashiell Hammett (una delle colonne della rivista Black Mask), seguito a ruota dall’agente infiltrato Red Barry del quasi omonimo Will Gould.
Queste strips riempiono gli anni Trenta di pugni ansiosi di colpire, raffiche di mitra a volontà (quelle dei celebri Thompson 45 a tamburo) e soprattutto crimini efferati, contrastati da poliziotti dai modi spicci, in linea al clima feroce dei tempi del proibizionismo. Una crudezza quasi al limite della censura, che appassiona il pubblico come il mix di sesso & legnate del Trono di spade, ma che con Tracy si proietta anche nella modernità tramite metodologie scientifiche forensi e dispositivi tecnologici alla CSI.
Il congegno narrativo approntato da Gould è solido nella struttura quanto rigido nell’ideologia, fondata su contrapposizioni morali più nette del bianco e nero delle sue tavole, in cui l’azione ben orchestrata mette in secondo piano lo spirito reazionario di fondo. Bene e Male, Buoni e Cattivi privi di sfumature intermedie si scontrano nelle pagine di Dick Tracy in una lotta per la sopravvivenza in cui la punizione – se possibile mortale e perfidamente dantesca, è la fine inevitabile di chi pesti i calli alla legge.
L’equazione cattiveria/deformità è sottolineata da Gould con una grafica caratterizzante in cui l’estrema bruttezza è garanzia di perversione o, come minimo, di colpevolezza. Lo illustra la sfilata di ceffi alla Georg Grosz che il regista Alain Resnais ha catalogato con affetto sulle pagine di Giff-Wiff e che il make-up cinematografico ha riproposto nei vari serial e films della Republic Pictures e della RKO.
Il crimine dunque è principalmente nemico dell’estetica. I volti normali di Tracy, quelli dei suoi colleghi Pat Patton e Sam Catchem attestano dirittura morale, al contrario di quelli anormali dei villains, tutti sociopatici, sadici e fuori di testa. Il bestiario non ha limiti e arricchisce le storie di figure sempre più mostruose come Pruneface, la spia dalla pelle plissettata, o il killer dai lineamenti miniaturizzati Little Face, o ancora gli animaleschi The Mole e Rhodent. Abituati alla consueta libertà delle invenzioni fisionomiche di Gould, i lettori degli anni Sessanta non
devono sorprendersi troppo quando le avventure gialle della striscia finiscono con l’aprirsi alla SF, nella parentesi che fan e detrattori hanno definito “Space period”. Come abbiamo visto, i ritmi serrati e cronachistici delle storie, conditi da esasperazioni al limite del credibile, sono il punto di forza del fumetto insieme alle robuste dosi di scienza applicata alle indagini. A queste componenti, però, nel corso del tempo
vanno ad aggiungersi delle correzioni di rotta che cercano di agganciare il pubblico irretito dalla crescente concorrenza televisiva. Negli anni Cinquanta, perciò, acquista rilievo la vita familiare del poliziotto ritratto insieme alla moglie Tess Trueheart, la figlia Bonnie Braids e il figlio adottivo Junior in siparietti che tingono la scena di sfumature soap.
Nel decennio dopo, essendo approdato in un mondo ormai più spaventato dall’atomica che dalle gang di strada, l’azione di Tracy si sposta ancora in un territorio diverso e porterà lo scontro al crimine dai marciapiedi delle metropoli alla desolazione dei crateri lunari.
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