Il protagonista del romanzo è lo psiconauta Thomas Qilliam. Ci spieghi che cos’è la psicomanzia e che cosa fa uno psiconauta nell’universo narrativo di Terminal Shock?
Da quello che dicevo sopra si intuisce che anche il mondo della ricerca scientifica deve aver subito qualche cambiamento nel corso dei quasi due secoli che ci separano dagli eventi narrati nel romanzo. Ci sono istituzioni universitarie che cercano di preservare la loro autonomia dalle superpotenze, malgrado le molteplici guerre commerciali a più o meno bassa intensità che si giocano sullo scacchiere del sistema solare. Ma non è facile restare fuori dai giochi quando gli interessi in ballo potrebbero determinare l’ascesa o il fallimento di un progetto di colonizzazione su scala interplanetaria. Per questo sono venuti a formarsi degli ordini, vagamente modellati sull’idea delle corporazioni o gilde medievali. La Divisione Ψ è una di questi e raccoglie tutti gli psiconauti abilitati dell’Ecumene. Gli psiconauti sono gli esponenti di una nuova disciplina, la psicomanzia, in cui ho pensato di far evolvere l’approccio olistico e interdisciplinare della cibernetica, elaborando un approccio multilaterale ai nuovi ordini di problemi posti dalla nuova frontiera. Se vogliamo è una versione scientifica di quello che il connettivismo si prefigge di fare in ambito letterario. Il protagonista è appunto uno psiconauta, come pure Dimitri Rachmaninoff, la sua nemesi. Gli psiconauti guadagnano un ruolo di spicco, non solo in ambito accademico ma anche nella loro influenza politica, quando cominciano a rivelarsi determinanti nell’interpretare le tracce potenziali di civiltà extraterrestri, come ad esempio gli oopart (out of place artifacts, manufatti fuori posto) che sono all’origine della rivalità tra Qilliam e Rachmaninoff.
Premesso che con questo romanzo hai dimostrato di essere uno scrittore di razza, perché hai utilizzato in modo originale un classico scenario della fantascienza, ma la cosa che più mi ha colpito è il linguaggio che hai utilizzato: tecnico-scientifico laddove occorreva, ma senza rinunciare alla fluidità e al ritmo che deve contraddistinguere un buon romanzo…
Ti ringrazio davvero per le tue parole, che mi lusingano immensamente. In realtà la ricercatezza stilistica è non è mai una scelta facile: esige dall’autore uno sforzo mimetico non indifferente e richiede altrettanta applicazione al lettore, che in generale non può che trovarsi spiazzato dal primo impatto con la pagina. Diventa inoltre particolarmente impopolare quando si cerca di adottarla nella scrittura di genere. Non è quindi strano trovarla applicata tanto di rado. Per questo devo dire che la crew di Mezzotints Ebook (che mi preme ringraziare, nelle persone di Alessandro Manzetti, Luigi Acerbi e David Riva) ha dimostrato un coraggio niente affatto scontato nell’accettare l’impostazione stilistica che avevo deciso di dare a Terminal Shock. Sono stato inoltre felice di riscontrare lo stesso approccio anche nell’ultimo lavoro di Alan D. Altieri, che ritengo da sempre un maestro e che a mio giudizio ha scritto con Juggernaut uno dei romanzi italiani (non solo di fantascienza) più importanti degli ultimi anni.
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